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sabato 5 aprile 2025

“Sicilia, l’isola che non ama leggere (neppure i quotidiani). I record negativi della terra del sole” di Davide Romano

 


 

Il deserto delle pagine che avanza nell'isola del sole e dei contrasti. 

 

Indice di lettura in Sicilia: una questione culturale o strutturale?

Gli ultimi dati sulle capacità di lettura di noi siciliani, provenienti dall'Associazione Italiana Editori, non sono soltanto impietosi: sono il ritratto di una catastrofe culturale che si consuma nel silenzio complice delle istituzioni. Come diceva Leonardo Sciascia, nostro illustre conterraneo: "La Sicilia ha questo di tremendo: che tutto vi accade come dovunque, ma con una intensità che altrove non si riscontra". Anche il non leggere, in Sicilia, avviene con un'intensità particolare.

Sapevamo già che il nostro popolo era fra quelli che leggevano di meno in Italia, ma ora il divario con il resto del paese – e in particolare con le province del Nord – e gli altri paesi europei si configura come un abisso incolmabile, una voragine che inghiotte speranze e possibilità di riscatto. Siamo un'isola anche in questo: isolati dalla cultura, dal sapere, dalla conoscenza che si trasmette attraverso la parola scritta.

Pier Paolo Pasolini, che amava la Sicilia ma ne conosceva anche i limiti, aveva intuito questo dramma: "La cultura è una difesa contro le offese della vita". E noi siciliani, a quanto pare, siamo sempre più indifesi.

 

I numeri del disastro: percentuali che raccontano una disfatta

La situazione delineata dalle varie percentuali presentate dall'AIE è davvero drammatica. Nel sud Italia solo il 62% della popolazione ha aperto almeno un libro nell'ultimo anno, mentre in Sicilia il dato è ancora più drammatico: esso si assesta al 60%. Una cifra che fa rabbrividire, se pensiamo che in alcune regioni del Nord si supera l'80%.

E attenzione: bisogna ricordare che "aprire un libro" non vuol dire riuscire a leggerlo tutto. Uno può aprirlo, sfogliarlo, magari guardare le figure, e poi richiuderlo, come si richiude una porta su un mondo che non ci appartiene. E poi bisogna anche valutare di quale testo si sta parlando. Con tutto il rispetto per i ricettari di cucina siciliana (ottima, per carità!), per le biografie dei vari influencer dalle teste vuote e per le raccolte di barzellette che fanno ridere solo chi le scrive, la cultura è altra cosa.

Come diceva Umberto Eco: "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito... perché la lettura è un'immortalità all'indietro". Ma a quanto pare, noi siciliani preferiamo la mortalità della nostra singola esistenza.

 

Lettori occasionali e abituali: un'isola divisa in due

Nel Sud e nelle Isole, inoltre, si registra una più alta percentuale di lettori occasionali, che si limitano a leggere un massimo di 3 libri all'anno. Essi risultano il 37% dei lettori, mentre la percentuale di lettori abituali che leggono anche più di 12 libri all'anno è in linea con il centro nord. Si tratta dell'8% del totale di tutti i lettori.

Abbiamo quindi un'élite di lettori forti, che resistono come Asterix e Obelix nel villaggio gallico circondato dai romani, e poi una massa di non-lettori o di lettori occasionali che sfogliano un libro come si sfoglia un album di figurine: distrattamente, senza passione, senza quella fame di conoscenza che dovrebbe essere il motore della crescita personale e sociale.

Italo Calvino, che di libri se ne intendeva, ammoniva: "Chi usa la letteratura per distrarsi vuole solo utilizzare una facoltà che in lui resta attiva, quella dell'attenzione". Ma l'attenzione del siciliano medio sembra essere catturata da ben altro: dallo smartphone, dalla televisione, dai pettegolezzi di paese che rimbalzano di bocca in bocca più velocemente di un virus.

 

La crisi della carta stampata: un altro tassello del mosaico

Ugualmente drammatica la situazione dei quotidiani e delle riviste. Come indicato dagli stessi direttori di giornale, le vendite continuano a diminuire e ci sono territori centrali della nostra regione che sembrano possedere poche decine di lettori, quasi tutti anziani che presentano delle difficoltà nell'usare il web.

Indro Montanelli, maestro di giornalismo, diceva: "Un paese che ignora il proprio ieri, non può avere un domani". E noi siciliani sembriamo ignorare non solo il nostro ieri, ma anche il nostro oggi, riportato sulle pagine dei giornali che nessuno legge più.

I quotidiani locali, che un tempo erano il termometro della vita sociale e politica dei nostri paesi, ora sopravvivono a stento, ridotti a contenitori di necrologi e pubblicità di mobilifici in svendita perpetua. Come se la morte e il consumo fossero le uniche notizie che interessano ancora.

 

Le biblioteche: cattedrali nel deserto

Anche il patrimonio librario delle nostre biblioteche risulta essere carente. Esso è molto vecchio e sottodimensionato rispetto alle collezioni delle biblioteche del settentrione. Si sta parlando di circa 1763 libri per mille abitanti contro i 3244 volumi disponibili nel centro nord.

Le nostre biblioteche sembrano essere diventate ciò che Borges, maestro della narrativa e bibliotecario lui stesso, temeva: "Ho sempre immaginato il Paradiso come una specie di biblioteca". Ma le nostre, di biblioteche, sono più simili a un Purgatorio dimenticato: scaffali polverosi, libri ingialliti dal tempo, cataloghi che si fermano agli anni '90 come se il millennio nuovo non fosse mai arrivato.

Ciò non vuol dire che la Sicilia e le altre regioni del sud Italia non presentano collezioni bibliografiche di pregio. La stessa presenza di numerosi archivi statali e regionali nel nostro territorio va contro questa semplicistica lettura, ma come si può immaginare queste collezioni dispongono di volumi alquanto superati e non aggiornati.

Marginale è anche il ridotto numero di accessi alle biblioteche. All'interno della nostra regione su ogni mille abitanti si registrano poco meno di cento accessi alle biblioteche, contro la media italiana, che è di circa 568 accessi. Molto distante la media del centro nord, che si attesta ai 774 accessi.

Antonio Gramsci, nel secolo scorso, scriveva: "Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza". Ma come può istruirsi un popolo che non ha accesso ai libri, o che, pur avendolo, preferisce dedicare il proprio tempo ad attività che richiedono meno sforzo intellettuale?

 

La chiusura delle librerie e delle edicole: un territorio culturalmente desertificato

Una delle cause principali di questa situazione è la difficoltà di accesso ai libri, con la chiusura di centinaia di edicole e di librerie in tutto il territorio regionale. I piccoli centri sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto. In molti comuni siciliani non esiste più un solo punto vendita di libri o giornali. Bisogna fare chilometri per trovare una libreria, e quando la si trova, spesso è una di quelle grandi catene che privilegiano i bestseller e le novità del momento, trascurando la cultura locale e i piccoli editori.

Gustave Flaubert sosteneva che "Leggere per innalzarsi è la cosa più nobile che si possa fare". Ma come si fa ad innalzarsi se non c'è nemmeno la possibilità materiale di procurarsi un libro? È come pretendere che un contadino coltivi la terra senza avere né seme né aratro.

Le librerie non sono solo punti vendita, sono presidi culturali, luoghi di incontro e di scambio, spazi dove le idee circolano insieme ai libri. La loro chiusura rappresenta un impoverimento non solo commerciale ma anche sociale e intellettuale.

 

L'abbandono scolastico: il seme della non-lettura

Un altro fattore determinante è l'abbandono scolastico, piaga che affligge la nostra isola con percentuali tra le più alte d'Italia. I ragazzi che lasciano la scuola difficilmente diventeranno lettori. La scuola è il luogo dove, tradizionalmente, si impara ad amare i libri, dove si acquisiscono gli strumenti per comprendere e apprezzare la lettura.

Maria Montessori, grande pedagogista, insegnava che "Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere". Ma se il bambino abbandona la scuola, quel fuoco non sarà mai acceso, e con esso si spegne anche la possibilità di una vita illuminata dalla conoscenza.

Le statistiche ci dicono che i giovani siciliani tra i 15 e i 17 anni sono i più propensi alla lettura (86%), seguiti da quelli tra i 18 e i 24 anni (79%). Questo dato potrebbe sembrare incoraggiante, ma in realtà è emblematico di un problema più profondo: man mano che si cresce, si smette di leggere. La scuola, finché si frequenta, mantiene vivo l'interesse per i libri. Ma una volta fuori, in una società che non valorizza la cultura, quell'interesse si affievolisce fino a scomparire.

 

La competizione con i nuovi media: una battaglia impari

Non possiamo ignorare l'impatto dei nuovi media sulle abitudini di lettura. Smartphone, social network, videogiochi e piattaforme di streaming offrono un intrattenimento immediato, che non richiede lo sforzo che invece è necessario per leggere un libro.

Marshall McLuhan, visionario teorico della comunicazione, aveva previsto: "Il medium è il messaggio". E il messaggio dei nuovi media sembra essere: perché sforzarsi di leggere quando si può guardare? Perché costruirsi un'opinione quando si può condividere quella altrui con un semplice click?

In Sicilia, terra di contraddizioni, questo fenomeno si amplifica. Siamo tra le regioni con la più alta penetrazione di smartphone e social network, ma con il più basso indice di lettura. Preferiamo scorrere le pagine virtuali di Facebook piuttosto che quelle reali di un libro.

 

Una speranza per il futuro: i giovani lettori

In questo scenario desolante bisogna tuttavia valorizzare alcuni importanti segnali di speranza. La maggioranza dei lettori siciliani risulta più giovane di 25 anni (i lettori dai 15 ai 17 anni sono l'86%, mentre quelli dai 18 ai 24 anni il 79%).

Questo dato, apparentemente positivo, deve però essere interpretato con cautela. I giovani leggono per obbligo scolastico o per genuino interesse? Continueranno a leggere anche dopo i 25 anni, quando saranno immersi nel mondo del lavoro (per chi avrà la fortuna di trovarlo) e nelle responsabilità familiari?

Eugenio Montale, poeta e giornalista, scriveva: "La cultura non è professione per pochi: è una condizione per tutti, che completa l'esistenza dell'uomo". Ma in Sicilia questa condizione sembra essere appannaggio di una minoranza sempre più esigua.

 

L'insoddisfazione come motore di cambiamento

Un altro dato interessante è che buona parte della popolazione siciliana si ritiene insoddisfatta dell'offerta culturale presente all'interno della propria regione e spinge per una valorizzazione del mercato librario interno.

C'è dunque una domanda di cultura che non trova risposta adeguata. C'è una sete di conoscenza che non ha fontane a cui abbeverarsi. C'è un desiderio di crescita intellettuale che si scontra con la povertà dell'offerta.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel suo capolavoro "Il Gattopardo", faceva dire al Principe di Salina: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi". Ma in Sicilia, paradossalmente, sembra che tutto cambi (tecnologie, abitudini, stili di vita) affinché tutto resti com'è: un'isola ai margini della cultura.

 

Conclusioni: un appello all'azione

La situazione della lettura in Sicilia non è solo un problema culturale, ma sociale ed economico. Una popolazione che non legge è una popolazione più facilmente manipolabile, meno critica, più incline all'accettazione passiva dello status quo.

Federico García Lorca, che della Sicilia fu innamorato, scriveva: "Un popolo che non aiuta e non favorisce la sua cultura è un popolo che non solo perde la sua identità ma commette un suicidio sociale". Noi siciliani siamo sul ciglio di questo baratro.

È necessario un piano di intervento serio e articolato: investimenti nelle biblioteche, incentivi per l'apertura di nuove librerie, campagne di promozione della lettura, valorizzazione degli autori locali, collaborazione tra scuole e istituzioni culturali.

Ma soprattutto è necessario un cambiamento di mentalità. Dobbiamo capire che leggere non è un lusso o un passatempo per intellettuali con la puzza sotto il naso. Leggere è un diritto, un bisogno, una necessità per chiunque voglia essere veramente libero.

Come diceva Gianni Rodari, scrittore e pedagogista: "Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo". E noi siciliani di schiavitù ne abbiamo conosciute fin troppe nella nostra storia millenaria. È tempo di liberarci anche da questa, la più subdola: l'ignoranza.

lunedì 16 settembre 2024

“Gli italiani? Leggono sempre meno” di Davide Romano, giornalista

 


 

L’Italia, si sa, è un paese di santi, poeti e navigatori. Ma, ahimè, non di lettori. Non c'è bisogno di sfogliare troppi giornali o consultare le statistiche per comprendere una realtà amaramente evidente: gli italiani non leggono. Gli ultimi dati ISTAT parlano chiaro: meno di un italiano su due ha letto almeno un libro nell'ultimo anno. Un dramma culturale, come lo definirebbe Umberto Eco, uno dei pochi intellettuali italiani a difendere con vigore la lettura in un Paese che, paradossalmente, ha prodotto alcuni dei più grandi scrittori e poeti del mondo.

Per capire questa triste verità, basti guardare ai dati forniti da Associazione Italiana Editori (AIE): nel 2023, circa il 40% degli italiani dichiarava di non leggere mai libri. E non parliamo solo di alta letteratura, ma nemmeno un romanzo leggero o un saggio divulgativo. Perfino Antonio Gramsci, nelle sue Lettere dal carcere, lamentava questa tendenza all’apatia culturale, sottolineando quanto fosse fondamentale "formare una coscienza critica". E la lettura, si sa, è lo strumento principe per questo.

 

Il pensiero di scrittori e intellettuali

Cesare Pavese, in una delle sue riflessioni più amare, scriveva: "Un paese che non legge è un paese senza futuro". Pavese, che non solo scriveva romanzi ma li viveva, vedeva nella lettura una forma di resistenza al conformismo culturale. E aveva ragione. Ma la realtà italiana sembra smentire le sue parole: mentre in Francia o in Germania le librerie sono un'istituzione, in Italia chiudono a ritmo allarmante. Montanelli stesso, con il suo stile corrosivo, denunciava già nel secolo scorso una "mediocrità culturale di fondo" nel nostro Paese, sostenendo che “un popolo che non legge è più facile da governare”.

Non sorprende che Norberto Bobbio, filosofo di grande finezza intellettuale, abbia indicato la scarsa lettura come una delle cause della debolezza della democrazia in Italia. Per Bobbio, la mancanza di dibattito e riflessione, che solo i libri possono stimolare, rendeva i cittadini più vulnerabili alla manipolazione politica. Non c'è da stupirsi, dunque, se oggi, in una società dominata dai social media e dalle notizie frammentarie, i lettori critici siano diventati una rara specie in via d'estinzione.

 

La crisi dell'editoria e il declino delle librerie

Siamo nel Paese di Dante, Petrarca e Boccaccio, ma anche in quello in cui, secondo i dati dell’AIE, il 59% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non legge alcun libro. Questa è forse la statistica più allarmante, perché indica non solo una crisi presente, ma soprattutto un futuro culturale sempre più arido. Italo Calvino, nei suoi saggi, parlava della lettura come di "un atto di liberazione", qualcosa che ci permette di vivere altre vite, esplorare mondi sconosciuti, ma anche confrontarci con le contraddizioni della nostra stessa esistenza. Cosa ne sarà di una generazione che preferisce scrollare su TikTok invece di sfogliare le pagine di un libro?

Se poi guardiamo al panorama editoriale, la situazione non è meno desolante. Giulio Einaudi, il grande editore, lamentava già decenni fa che in Italia i libri di qualità faticavano a trovare lettori. Oggi, con la concorrenza delle piattaforme di streaming, dei videogiochi e dei social, la battaglia è ancora più dura. Nel 2022, il mercato editoriale italiano ha registrato un calo delle vendite del 6%, con una chiusura di oltre 700 librerie indipendenti. Un deserto culturale, come lo definirebbe Pier Paolo Pasolini, che in uno dei suoi ultimi interventi pubblici disse: "La cultura è sempre più un privilegio di pochi, un lusso che il popolo non può più permettersi".

 

Lettori: una razza in estinzione?

Viene spontaneo chiedersi: cosa ci aspetta? In un mondo sempre più frenetico e dominato da stimoli immediati, ha ancora senso parlare di lettura? Sì, se pensiamo che la lettura non è solo un piacere intellettuale, ma una necessità per la nostra stessa umanità. Tullio De Mauro, uno dei più grandi linguisti italiani, sottolineava come la lettura fosse un potente strumento di emancipazione personale e sociale. Non leggere, al contrario, significa rinunciare a una parte essenziale di sé, rinchiudersi in una bolla di superficialità che ci rende meno liberi.

E allora, per concludere con una riflessione di Montaigne, "chi non legge non solo ignora le parole, ma le idee". Forse è proprio questo il nodo del problema: l'Italia, Paese di grande cultura, è diventata una nazione di non lettori. E finché non si risolverà questa frattura tra la nostra tradizione culturale e la realtà contemporanea, il nostro futuro, come ammoniva Pavese, sarà irrimediabilmente compromesso.

venerdì 2 agosto 2024

Una proposta per l’editoria indipendente

 


Express. LA RUBRICA DELLA CULTURA CHE FA IL GIRO DEL MONDO. Isabelle Kenyon ha pubblicato un articolo dove illustra i problemi del settore invitando a un «radicale ripensamento»

 

Di Maria Teresa Carbone (il manifesto, 1 agosto 2024)

 

Isabelle Kenyon deve essere una persona coraggiosa e soprattutto dotata di energie non comuni. Non solo nel 2018, a ventun’anni, ha fondato la casa editrice The Fly on the Wall a Manchester, la città inglese dove vive e di cui è una sostenitrice appassionata, ma la manda avanti da sola, pubblicando circa otto libri l’anno – di cui cura l’editing, disegna le copertine, organizza gli aspetti tecnici e gestisce le campagne di marketing. A quanto pare, tutto questo lavoro lo fa anche bene, se nei primi mesi di quest’anno «la sua azienda ha vinto il premio Small Press of the Year per l’Inghilterra del Nord ai British Book Awards 2024, battendo la concorrenza di rivali più grandi e affermati», come fa notare Cara Kilman su una testata locale, I Love MCR.

Tra l’altro, oltre all’attività nella casa editrice, Kenyon scrive e pubblica da anni poesie e di recente si è lanciata nella narrativa con un thriller psicologico, The Dark Within Them, di cui, parlando con Kilman, si dichiara molto orgogliosa. Insomma, a giudicare dalla sua attività, tutto si può dire di Kenyon tranne che sia un tipo rinunciatario e piagnucoloso. Eppure a metà luglio sul periodico specializzato britannico The Bookseller è uscito un suo articolo intitolato senza mezzi termini The sums don’t work, «I conti non tornano», in cui sostiene che «le finanze dell’editoria indipendente sono in crisi nera» ed «è necessario un radicale ripensamento».

Secondo Kenyon il problema si può ridurre a una parola sola: il prezzo – che, detto altrettanto sinteticamente, è troppo basso o, meglio, è troppo basso per le piccole case editrici indipendenti che hanno tirature limitate e una distribuzione ridotta rispetto a quella dei grandi gruppi.

Citando anche altri proprietari di piccole sigle editoriali, Kenyon sostiene che puntare a prezzi sempre più bassi è un errore: «Noi prezziamo i libri in base a quello che supponiamo le librerie venderanno – dice Sam Jordison di Galley Beggar Press – ma siamo arrivati all’assurdo che un paperback può costare meno di una pinta di birra. Il prezzo dei nostri libri dovrebbe riflettere meglio i costi di produzione e permettere a noi e soprattutto ai nostri autori di avere un ritorno economico che rifletta il lavoro fatto». Purtroppo, però, sembra il solito caso del cane che si morde la coda, rileva la responsabile di Emma Press, pure citata nell’articolo di Kenyon: «Per rientrare nei costi di manodopera, produzione e vendita, di una raccolta di poesia tirata in 300 copie, dovremmo fissare un prezzo di copertina di 20 sterline, il che probabilmente, renderebbe ancora meno probabile la vendita di 300 copie».

E allora? Kenyon una proposta ce l’ha, ed è appunto un ripensamento dei prezzi che dovrebbe essere condiviso anche dai grandi gruppi e che dovrebbe tenere conto, oltre che dell’esperienza e della fama dell’autore, anche del tempo impiegato nella scrittura e nell’editing, d’altra parte ipotizzando misure di sostegno per gli scrittori emergenti da ambienti «svantaggiati», e per le biblioteche e le scuole.

Il piano, per la verità non sembra di facile realizzazione, se non altro perché Kenyon pare convinta che la risposta dei lettori a questa rivoluzione sarà positiva. Ma è interessante che per una volta si parli di prezzi e si ammetta in modo esplicito come buona parte dell’editoria indipendente (non solo nel Regno Unito, del resto) si regga su un sistema di (auto)sfruttamento.

martedì 9 luglio 2024

La sfida dell’editoria: il 2024 un anno cruciale

 



Nonostante i tentativi di guardare i dati “dal lato positivo”, la consueta conferenza di gennaio della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri, che traccia l’andamento del mercato editoriale per l’anno appena trascorso, non può non lasciare un po’ di amaro in bocca. Rispetto alle disamine precedenti da cui il libro e l’Italia nel suo complesso uscivano decisamente vincitori sulle crisi cui il mondo era andato incontro (la pandemia su tutte), quest’anno è più marcato il potenziale rallentamento.

 

Dalle analisi di Angelo Tantazzi, presidente di Prometeia, emerge infatti che se da un parte il livello di disoccupazione è rientrato ai valori precedenti la pandemia (addirittura sceso del 2% – e questo è un dato di importanza storica), dall’altra è ancora con il debito pubblico che paghiamo la crisi, molto più degli altri Paesi (la performance migliore nel rapporto Pil/debito è, senza troppe sorprese, della Germania) e il nostro Pil cresce molto poco (dello +0,7% nel 2023 e si stima dello +0,4% nel 2024). Siamo però usciti dalla crisi abbastanza bene: i consumi degli Italiani si sono mossi in linea con quelli dei cittadini degli altri Paesi ma decisamente superiore è stata, in questi ultimi quattro anni, la performance degli investimenti, soprattutto perché, da parte dello Stato, sono state messe in atto azioni di sostegno (per esempio con gli incentivi per le ristrutturazioni). Ecco: d’ora in avanti è prevista una normalizzazione delle politiche, dopo gli anni di emergenza che si sono aperti con la crisi Covid-19, e si restringeranno quindi gli spazi per la politica di bilancio. Con il 2024 terminerà l’impatto sui consumi dei sostegni straordinari, che saranno sostituiti solo in parte dalle misure introdotte dalla legge di bilancio, destinate soprattutto a sostenere i redditi delle famiglie, perciò è da attendersi una contrazione nei consumi. In ambito culturale, in particolare, la 18 app – strumento che aveva funzionato assai bene – verrà sostituite da due diverse “carte” con riduzione di fondi da 230 milioni stanziati a 190, mentre per l’editoria è stato rinnovato il finanziamento del Fondo straordinario che ammonterà, per il 2024, a 14.5 milioni di euro.

 

Per fortuna si sta assistendo al rientro dei prezzi al consumo, trainato da quelli dell’energia (-24.7% mese su mese a dicembre) ma in cui la componente alimentare resta erratica e gravosa, e nonostante, nel corso del 2023, i prezzi dell’energia siano scesi, mediamente dimezzandosi, rimarranno comunque permanentemente più alti (circa il doppio) degli anni prepandemici. Al contempo i salari aumentano ma non recuperano l’inflazione e in Italia restano ben al di sotto della media europea (+3% contro il 4.5%) mentre i tassi di interesse continuano a salire. Quindi, anche se il livello occupazionale è decisamente aumentato (rispetto a fine 2019, nel quarto trimestre del 2023 gli occupati sono 560.000 in più e i disoccupati sono quasi 500.000 in meno), il potere d’acquisto reale del reddito è sceso, ma non la propensione al consumo degli Italiani (che hanno anche intaccato i risparmi), tornata ai livelli prepandemici. È ipotizzabile che nel 2024 la ripresa del potere di acquisto, alimentata dalla discesa dell’inflazione e dalla tenuta del mercato del lavoro, sosterrà i consumi in crescita: la propensione al risparmio è infatti calata, rispetto al massimo del +15.6% dell’anno del lockdown, ma rispetto al 2023 (+6.9%) si stima che torni a salire a +7.4%. Sembra una differenza trascurabile, ma non lo è: ogni punto percentuale incide per 13.7 miliardi annui.

 

E su cosa si concentra il consumo italiano? Negli ultimi anni le spese per affitti, luce, acqua, gas, carburanti, salute eccetera (sostanzialmente legati al rincaro dei costi dell’energia) sono salite di due punti percentuali che hanno quindi corrispondentemente “schiacciato” i servizi non obbligati. I libri sono catalogati tra i beni non durevoli (insieme ad abbigliamento, igiene, cosmesi) e dal 2019 sono scesi di mezzo punto. Si stima che nel 2024, in generale, la crescita dei consumi rallenterà. Le famiglie tenderanno a ricostituire il risparmio e ciò influenzerà negativamente la loro propensione a spendere. Per i libri, dopo il veloce recupero dei livelli prepandemia nel 2022, nel 2023 si è osservato un calo sia dei volumi sia dei prezzi invece dal 2024 si stima l’avvio di un trend di crescita.

 

La sensazione dilagante di “sentirsi più poveri” dipende molto dal livello di reddito: le asimmetrie di ricchezza condizionano i comportamenti di consumo. Le famiglie più ricche detengono una ricchezza media tale da poter garantire lo stesso stile di vita, essendo in grado di sopportare gli aumenti di prezzo, e spostano il proprio paniere di spesa sempre di più verso la componente dei servizi, mentre le famiglie meno benestanti restano condizionate dall’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Quindi se l’inflazione per le prime è stata del +5.7% per le seconde invece è stata del +6.5%.

 

In un panorama generale non esattamente roseo, come ha performato il mercato editoriale?

 

I dati dell’Associazione Italiana degli Editori (Aie), raccolti e analizzati in collaborazione con Nielsen, BookScan e IE Informazioni Editoriali, e riportati durante la conferenza dal Presidente della Federazione degli Editori Europei (Fep) Ricardo Franco Levi, hanno mostrato che l’Italia si piazza al quarto posto tra i grandi mercati europei con un valore complessivo di 3-3.5 miliardi di euro, seguendo Regno Unito (4-4.5), Francia (4.5-5), Germania (9.5-10), in un mercato che complessivamente vale 37-38 miliardi di fatturato e che fa del libro la prima industria culturale europea.

 

In Italia l’editoria trade (romanzi e saggistica) è cresciuta del +0,8% a valore rispetto al 2022 (+14.1% rispetto al 2019) invece ha subito una lieve flessione in termini di copie (-0.7% sul 2022 ma +12.6% sul 2019). Nel 2023 il prezzo medio di copertina dei libri comprati è stato di 15.17 euro, in crescita del +1.5% rispetto l’anno precedente ma ben meno dell’inflazione che è stata invece del +5.7%. Confrontando con il 2019, invece, il prezzo dei libri venduti è cresciuto del +2.6%, contro una crescita generale dei prezzi del +15.7%. Sono numeri che testimoniano la riduzione dei margini di guadagno degli editori, ma anche lo sforzo per tenere bassi i prezzi e non deprimere la domanda di lettura.

 

Le librerie fisiche restano il principale canale di distribuzione di libri, recuperando terreno (il 54.7% del totale contro il 53.5% dell’anno scorso), ma sempre in calo rispetto a prima della pandemia (il 64% nel 2019). Questi trend si individuano, con percentuali lievemente diverse, a livello europeo, ed emerge che il libro di carta resta il preferito dei lettori, anche se guadagnano terreno gli audiolibri, che crescono in Italia del +12% rispetto al 2022, e gli e-book che crescono del +2.5%. Nel complesso, quindi, il mercato editoriale italiano cresce in quest’ultimo anno dell’1.1%. Non sono risultati deludenti, ma preoccupanti se si tiene conto che l'anno prossimo verranno meno, come detto, alcune misure a sostegno della domanda.

 

Il 2024 sarà un anno cruciale per il futuro dell’editoria quindi, anche per un altro aspetto, non direttamente legato al mercato, ma alla sua struttura interna: il 2 aprile, con tutta probabilità, verrà approvata la direttiva europea sull’intelligenza artificiale che dovrebbe garantire la trasparenza delle fonti usate per alimentare i database delle reti neurali. Il tema è delicatissimo perché fortemente interconnesso con il diritto d’autore, e non dobbiamo mai dimenticare che a dar vita ai libri che il mercato dell’editoria perfeziona, pubblica e distribuisce è, in primis, chi scrive. Che va tutelato.


(Fonte: di Valentina Berengo, https://ilbolive.unipd.it/)