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lunedì 18 aprile 2016

Le Edizioni La Zisa al Salone del libro di Torino con il romanzo dello scrittore rumeno Radu Pavel Gheo “Buona notte, bambini!”





Le Edizioni la Zisa saranno al Salone del libro di Torino in occasione della presentazione del romanzo del celebre scrittore romeno Radu Pavel Gheo, “Buona notte, bambini!”, che inaugurerà la collana dedicata alla letteratura del suo Paese “dor” . All’iniziativa,  organizzata dall’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica, interverranno, oltre all’autore, i traduttori Mauro Barindi e Maria Luisa Lombardo e il direttore editoriale della casa editrice La Zisa Davide Romano. Appuntamento il 14 maggio, alle ore 16, presso la Sala Romania.



Il libro: Radu Pavel Gheo, “Buona notte, bambini!”, traduzione di Mauro Barindi e Maria Luisa Lombardo, pp. 528, euro 24,00



Banato, 1986. Tre ragazzini, Cristina, Marius e Leopold, tentano di fuggire clandestinamente dalla Romania di Ceaușescu oltrepassando il confine con la Serbia, mentre il loro amico Paul deve rinunciare all’impresa, vittima forse dell’incidente della centrale di Černobyl. I tre amici vengono acciuffati dalle guardie di frontiera e ne patiscono drammaticamente le conseguenze, che lasceranno in loro un trauma indelebile. A partire da quell’episodio, vero nocciolo epico e generatore dei diversi fili narrativi che avviluppano la trama, tra salti spazio-temporali e reminiscenze del dorato passato dell’infanzia dei quattro amici, la storia si dipana in distinte direzioni geografiche e cronologiche (dalla Romania di Ceaușescu degli anni ’80 a quella post-comunista fino agli Stati Uniti degli anni ’90 e 2000), convergenti però sempre attorno ai rapporti che uniscono i quattro protagonisti, rapporti che si trasformano e si lacerano, ora in modo drammatico, ora per esaurimento affettivo, in un crescendo di coinvolgente forza romanzesca che farà centro nel cuore dei lettori.



Radu Pavel Gheo, nato a Oravița (Romania) nel 1969, è scrittore, saggista, redattore e traduttore editoriale. Nel 2001 emigra negli Stati Uniti, esperienza che si riflette nel saggio “Addio, Addio, patria mia…” e in parte anche nel romanzo “Buona notte, bambini!”. Dopo appena un anno, tuttavia, Gheo decide di ritornare in Romania, dove si consacra come scrittore, contraddistinguendosi per una elegante ed eclettica prosa, come il romanzo fantascientifico “Fairia, un mondo  remoto”, 2004, i volumi di racconti “La Valle del Cielo Sereno” (1997) e “Il nome del merlo” (2008) e l’opera teatrale “I old- УП Akbar O Tutti in America”, rappresentata al Teatro Nazionale di Timişoara nel 2007. Nel 2011 ha esordito in Italia come curatore, insieme a Dan Lungu, dell’antologia “Compagne di viaggio. Racconti di donne ai tempi del comunismo” (Sandro Teti editore).

sabato 16 aprile 2011

In libreria: Vittorio Gorresio, “Risorgimento scomunicato”, Prefazione di Gianni Vattimo, Edizioni La Zisa, pp. 200, euro 16,90


Pubblicato la prima volta nel 1958 dall’editore fiorentino Parenti, “Risorgimento scomunicato” raccoglie gli scritti di Vittorio Gorresio per “Il Mondo”, una serie storica di articoli dal titolo “Processo al clero dopo il ‘60”. Storico appassionato, intransigente documentatore, Gorresio traccia una puntuale e puntigliosa ricostruzione delle origini dei contrastati rapporti tra Stato e Chiesa che resero tanto drammatico il Risorgimento. La descrizione dell’intransigentismo clericale rispetto alla progressiva laicizzazione dello Stato italiano ci è fornita dall’autore attraverso la meticolosa raccolta di missive tra membri del governo ed esponenti del clero, cui si aggiungono le dettagliate ricostruzioni degli episodi salienti e del profilo dei personaggi che di questo travagliato periodo storico si resero protagonisti. Vengono descritte, in sequenza, le vicende di una Chiesa, scomunicante e punitiva, addirittura iettatoria, di là dalla trasformazione che, negli anni a seguire, la renderà refrattaria, incapace di stare al passo con la storia, cioè con l’evoluzione della coscienza morale e politica dei cittadini laici. L’attualità del pensiero di Gorresio sta, infatti, tutta nella rilettura storica e cognitiva degli eventi che hanno prodotto il presente, come cita Gianni Vattimo nella sua prefazione: “Se la Chiesa si riduce oggi a una multinazionale […] ciò è anche il risultato dell’uso che essa stessa ha fatto dei suoi strumenti spirituali”.



Vittorio Gorresio, giornalista, scrittore e saggista nacque a Modena da famiglia piemontese il 18 luglio 1910. Inviato speciale e corrispondente di guerra per “Il Messaggero” di Roma, fu tra i più efficaci espositori del dramma del dopoguerra sulle colonne della testata “Risorgimento Liberale”, quotidiano diretto da Mario Pannunzio col quale collaborò anche per il settimanale politico “Il Mondo”. Firma prestigiosa anche de “L’Europeo” di Arrigo Benedetti, Gorresio scrisse una decina di saggi storici ottenendo importanti riconoscimenti giornalistici e premi. Nel 1980 l’autobiografia “La vita ingenua” gli valse il Premio Strega. Lavorò fino a poco prima della sua morte, nel 1982, curando la rubrica “Taccuino” per il quotidiano “La Stampa”.



Le Edizioni La Zisa aderiscono ad “Addiopizzo” e a “Libera” di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati “pizzo free”.

venerdì 20 agosto 2010

Arriva in libreria: Dora Angela Ruvolo, “Ciao, Turin!”, romanzo, Edizioni La Zisa, pp. 160, Euro 9,90




Una storia intensa, in bilico tra una Palermo hippy, lontana ma presente, mai lasciata per sempre e un’elegante e sobria, a volte distante e senza dubbio aristocratica, Torino. Una preziosa saga familiare – nel senso, ormai il più diffuso, di famiglia allargata – in cui i legami si intensificano e si rarefanno, assumendo una consistenza che varia a seconda dei punti di vista.
“Ciao, Turin!”, romanzo d’esordio di Dora Angela Ruvolo, è la storia di una vita. Meglio: della vita di Ruiz, Adele, Laura, Stella, Alfredo. Esistenze affascinanti che si accostano, ma che, come fiumi paralleli, scorrono insieme senza mai toccarsi, se non in apparenza. Una storia d’amore e di vita, a cinque voci.

Dora Angela Ruvolo è nata e vive a Palermo. “Sono nata il 29 febbraio di un anno bisestile, motivo per cui pur essendo nonna di quattro nipoti non ho ancora raggiunto la maggiore età – scrive di se stessa –. So comunque di essere nata nell’anno del Drago di ferro e sotto il segno dei Pesci e nell’ora della Pecora. Ancora non mi capacito d’essere mortale: è l’unico vero problema che non saprò mai risolvere. Se avessi potuto scegliere, credo che avrei evitato di nascere donna e qui: non che mi sia andata proprio male, ma troppe cose della mia reale condizione non mi appartengono.”

Le Edizioni La Zisa aderiscono ad "Addiopizzo" e a "Libera" di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati "pizzo free".

martedì 9 marzo 2010

L'IMBALSAMATORE CHE FINI' IN UN MUCCHIO DI CENERE. UN LIBRO DELLE EDIZIONI LA ZISA NE RACCONTA LA STRAORDINARIA VICENDA UMANA


(LA STAMPA - VENERDÌ 5 MARZO 2010)

L'IMBALSAMATORE CHE FINI' IN UN MUCCHIO DI CENERE

di LAURA ANELLO - PALERMO

Nella città che ha genera­to Cagliostro, il mago della truffa e dell'impo­stura, molti dubitava­no che quella bambina addormentata da novant'anni fos­se di carne e di ossa. È di cera, è una bambola, è una replica recen­te, è frutto di un incantesimo, peg­gio, di una diavoleria. Tutto si è scritto su Rosalia, l'ospite più cele­bre delle catacombe dei Cappucci­ni di Palermo, dove centinaia di corpi sono esposti a sfidare titani­camente il tempo e i suoi sfregi. L'incursione più choccante e pro­fonda nella sicilianità che odora di muffe, di incenso e di morte.

E invece Rosalia Lombardo, spi­rata i16 dicembre 1920, una settima­na prima di compiere due anni, è «la più bella mummia del mondo, supe­riore a quelle di Lenin e di Evita Pe­ron, un capolavoro assoluto». Paro­la di Dario Piombino-Mascali, il ri­cercatore dell'Istituto Eurac di Bol­zano che ha appena portato alla luce la storia del suo autore - Alfredo Sa­lafia, classe 1869 - e i segreti del suo «Fluido della Perfezione», fino­ra sconosciuto. Non un prodigio, ma una miscela di glicerina, for­malina, zinco, al­col saturo di aci­do salicilico.

La storia l'aveva dimenti­cato, Dario Piom­bino-Mascali l'ha disseppellito, interpellando i pronipoti, mettendo le mani sulle sue memorie incompiute (titolo: «Nuovo metodo speciale per la con­servazione del cadavere umano allo stato permanentemente fresco»), seguendone la storia fino alla tom­ba. Gli esiti della ricerca sono finiti in un libretto agile e a tratti sbalordi­tivo, “Il maestro del sonno eterno” (Edizioni La Zisa), tri­buto a un uomo che ha dedicato la sua vita alla «consuetudine gentile di tramandare alla posterità intatte le sembianze dei nostri più cari».

Uno scienziato (anche se i suoi studi di chimica e anatomia furono da autodidatta), ma anche un arti­sta. Il suo momento di gloria con la «rimessa in forma» del cadavere del­lo statista siciliano Francesco Cri­spi, morto nell'agosto 1901 a Napoli e sottoposto lì a un procedimento non efficace. «Salafia, nove mesi do­po, gli fece una serie di iniezioni sot­tocutanee - racconta Piombino-Ma­scali -: riempì di paraffina disciolta in etere le porzioni temporali e le guance, sostituì i bulbi oculari con protesi vitree, rimodellò naso, orec­chie e labbra, chiuse la bocca, rein­nestò capelli e baffi ormai caduti». La vedova era strabiliata.

Tre mesi dopo, nell'agosto 1902, quel cadavere sul catafalco faceva un figurone. E così in tutte le com­memorazioni successive in cui il povero corpo-feticcio veniva mostrato al pubbli­co: nel 1904, nel 1905, nel 1910 e ancora nel 1914. Inorriditi? Già. Adesso è diffici­le parlare di morte, superare la rimozione col­lettiva, vincere il tabù. Ma dagli an­tichi Egizi agli anni Trenta del No­vecento le cose sono andate diver­samente, attraverso tecniche di pietrificazione, eviscerazione, disi­dratazione, bendaggi. «Un'arte mil­lenaria - dice Piombino-Mascali - in­terrotta con le due guerre mondiali, quando le perdite umane all'ordine del giorno segnano una caduta di inte­resse verso i costu­mi funebri, verso la dignità del corpo».

Da Crispi in poi, per le mani di Sa­lafia, passarono prelati, aristocratici e altoborghesi, mentre i poveracci continuavano a finire nelle fosse co­muni senza alcun maquillage. Inevita­bile allora nel 1909, lo sbarco a New York, dove l'imbalsamatore fondò una società, garantendo pure il servi­zio «soddisfatti o rimborsati». Qui congreghe di scienziati e cassamorta­ri si stupirono compiaciuti dei prodigi del professore, ispezionando cadave­ri ed eccependo su colorito, consisten­za, aspetto. Parabola veloce, che si concluse nel 1912. Poi il ritorno in Sici­lia e altri corpi da eternare.

Tra questi, Rosalia, la bambina delle catacombe. La sua radiografia rivela la presenza di tutti gli organi interni, di una struttura ossea intat­ta e pure di una boccetta di vetro collocata dietro la testa, probabil­mente riempita di illuministici elisir di lunga morte, sostanze anti-muffa. Sulle cause della sua fine è ancora mistero: nel verbale necroscopico si parla di broncopolmonite, ma altre testimonianze si dividono tra difteri­te e tifo addominale.

«Se fosse stata difterite - scrive Piombino-Mascali - l'imbalsamazio­ne del corpo sarebbe stata vietata dal regolamento igienico-sanitario del tempo. La causa di morte, quin­di, fu forse ridimensionata per con­servare per sempre il corpo della piccola». Per Salafia la morte non fu meno inattesa: arrivò il 31 gennaio 1933, tre mesi dopo le sue seconde nozze, per emorragia cerebrale. Ave­va 62 anni. Delle sue spoglie, esuma­te nel 2007, non era rimasto quasi nulla: pochi frammenti dentro un abito blu. Cenere di cenere.

«Se fosse stata difterite - scrive Piombino-Mascali - l'imbalsamazio­ne del corpo sarebbe stata vietata dal regolamento igienico-sanitario del tempo. La causa di morte, quin­di, fu forse ridimensionata per con­servare per sempre il corpo della piccola». Per Salafia la morte non fu meno inattesa: arrivò il 31 gennaio 1933, tre mesi dopo le sue seconde nozze, per emorragia cerebrale. Ave­va 62 anni. Delle sue spoglie, esuma­te nel 2007, non era rimasto quasi nulla: pochi frammenti dentro un abito blu. Cenere di cenere.

«Se fosse stata difterite - scrive Piombino-Mascali - l'imbalsamazio­ne del corpo sarebbe stata vietata dal regolamento igienico-sanitario del tempo. La causa di morte, quin­di, fu forse ridimensionata per con­servare per sempre il corpo della piccola». Per Salafia la morte non fu meno inattesa: arrivò il 31 gennaio 1933, tre mesi dopo le sue seconde nozze, per emorragia cerebrale. Ave­va 62 anni. Delle sue spoglie, esuma­te nel 2007, non era rimasto quasi nulla: pochi frammenti dentro un abito blu. Cenere di cenere.


L'autrice:

LAURA ANELLO VIVE A PALERMO E SCRIVE PER «LA STAMPA» DI CRONACA, COSTUME E CULTURA. E' AUTRICE DI «AMORE DI MADRE», DEDICATO ALLA MADRE DI FULVIO FRISONE, IL FISICO NUCLEARE CATANESE IN SEDIA A ROTELLE DALLA NASCITA, DALLA CU I STORIA È STATA TRATTA UNA FICTION RAI.