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domenica 20 ottobre 2024

Leggere aiuta a essere empatici? Le neuroscienze rispondono


 

Leggere, nonostante in Italia lo si faccia sempre di meno, è appurato che sia di grande aiuto per conoscere meglio il mondo, punti di vista diversi, aumentare le nostre competenze linguistiche. Secondo nuovi studi neuroscientifici potrebbe addirittura renderci persone migliori.

Non c’è da stupirsi, visto che già diversi studi hanno dimostrato che leggere molto aumenti la propria propensione a fare volontariato e a ritenere il voto come un’importante responsabilità sociale e personale. Ma come può un libro renderci più empatici, più disponibili a comprendere e relazionarci agli altri?

Tutta “colpa” dei personaggi, si direbbe: già ai tempi dell’Antica Grecia, Aristotele aveva capito che assistendo a una tragedia, gli spettatori si immedesimano profondamente nelle vicende vissute dai protagonisti della storia, provando sostanzialmente due sentimenti predominanti: pietà per il malcapitato, paura per se stessi. È naturale per noi pensare a come avremmo reagito agli imprevisti che i protagonisti della narrazione hanno trovato sul loro percorso.

Questo meccanismo diventa un vero e proprio esercizio di “prospettiva”, come spiega alla BBC lo psicologo cognitivo canadese Keith Oatley. Secondo lo studioso, leggere narrativa ci permette di impostare la mente su una sorta di “simulatore di volo”. Proprio come i piloti possono fare pratica di volo pur restando a terra, il nostro cervello è in grado di vivere esperienze diverse ogni volta che apriamo un libro: questo permette ai lettori di allargare le proprie abilità nel rapportarsi con gli altri, a capire meglio il loro punto di vista.

Oatley spiega che una volta che il lettore comincia a immedesimarsi con i personaggi di una storia, comincia anche ad aspirare ai suoi stessi successi, a puntare i suoi stessi obiettivi, a provare gli stessi timori. Tutto restando comodamente seduto sulla poltrona di casa: questa catarsi permette di sviluppare una consapevolezza più profonda delle proprie emozioni e di come gestirle e utilizzarle nella vita di tutti i giorni.

Un aspetto affascinante di tutto ciò, è che i meccanismi neurali usati dal cervello per razionalizzare e fruire delle trame della narrativa sono paragonabili a quelli che usiamo nella realtà: se leggiamo di un personaggio che tira un pugno, spiega Oatley, si arriveranno le stesse aree del cervello che ci permetterebbero di tirarlo per davvero.

La lettura ci aiuta a immergerci nella pelle di un altro perché un libro tendenzialmente ci spiega il “non detto” che sta dietro alle azioni dei personaggi.

Come si può immaginare, però, dimostrare effettivamente che chi legge opere di “fiction” impari a essere effettivamente più empatico degli altri non è facile. Le persone spesso esagerano il numero di libri letti durante un anno. Per aggirare questo problema, durante un esperimento, Oatley ha consegnato a un gruppo di studenti una lista di libri fiction e non-fiction, chiedendo di indicare quali autori conoscessero. Nella lista c’erano anche alcuni nomi inventati.

Le persone selezionate per la fase successiva dell’esperimento, quelle che sostanzialmente non avevano barrato autori inesistenti tanto per far aumentare la lista di quelli conosciuti, sono state poi sottoposte al test chiamato “Mind in the Eyes“, in cui vengono sottoposte a ogni candidato le foto di un paio di occhi, da cui deve indovinare le emozioni che quello sguardo comunica scegliendo tra una lista di emozioni tra cui “timido”, “preoccupato”. Badate bene, le immagini sono spesso molto simili tra di loro e quasi neutrali a uno sguardo superficiale.

Chi aveva sostenuto di preferire molto più la narrativa rispetto a opere non fitcion, ha effettivamente registrato un punteggio più alto nel test rispetto ai lettori meno forti.

D’altronde anche un altro studio, portato avanti dalla psicologa del Social Neuroscience Lab dell’Università di Princeton, Diana Tamir, ha messo in luce come le persone che leggono molta fiction abbiano una più forte cognizione sociale, ovvero sono più bravi a comprendere davvero cosa prova e pensa chi sta attorno a loro. Facendo uno mappatura del cervello durante la lettura su alcuni candidati, è stato dimostrato che immergendosi in una narrazione si attivino delle aree del cervello che tentano di simulare il pensiero altrui.

Quindi chi legge tanto riesce a “leggere” meglio gli altri. Ma davvero questo rende i lettori forti persone migliori?

Un altro esperimento ha illuminato sulla possibile risposta: è stato chiesto a un gruppo di studenti di psicologia di compilare un questionario dopo aver letto una short story. Uno degli esaminatori, d’accordo con gli altri, ha poi fatto cadere una manciata di penne davanti ai ragazzi. Chi aveva raccontato di essersi immedesimato di più nella narrazione del breve testo, di aver empatizzato di più con i personaggi della storia, è stato anche chi per primo si è fatto avanti per aiutare gli scienziati a raccogliere le penne. Chi si era fatto trasportare dalla storia ha dimostrato di avere un comportamento più altruistico.

Ciò, ovviamente, non significa che chi non è abituato a leggere non sia empatico. Dall’altra parte, però, è sicuramente vero che la narrativa risulta essere una palestra efficace per allargare i propri orizzonti emozionali e percettivi, per capire cosa si prova a essere altro da sé.

Lo dimostra l’ultimo esempio a cui faremo riferimento: ricercatori olandesi hanno sottoposto a un gruppo di studenti, divisi in due gruppi, un articolo su manifestazioni in Grecia, sul giorno della liberazione dell’Olanda o il primo capitolo di Cecità di Jose Saramago. Quest’ultimo testo racconta di un uomo che, nella sua macchina, perde improvvisamente la vista. Volontari lo riconducono a casa, mentre un passante promette loro di riportargli indietro l’auto. Non lo farà: gliela ruberà. Ebbene, gli studenti a cui era capitato il primo capitolo di Cecità hanno registrato un’impennata nei livelli non consci di empatia subito dopo la lettura. Una settimana dopo, i livelli erano anche più alti di quelli registrati dopo il test.

Certo, è capitato a tutti di immedesimarsi anche con i protagonisti di una notizia al telegiornale, ma la fiction è uno dei pochi stratagemmi in grado di mostrarci l’evoluzione della storia di una persona in un arco temporale molto lungo e variegato. Inoltre, grande spazio è dato all’interiorità dei personaggi, cosa che ovviamente il giornalismo non può fare sempre. E infine, è forse sospendendo il nostro giudizio razionale, che riusciamo davvero a scavare a fondo, analizzare e riconoscere meglio emozioni e comportamenti che potremmo ritrovare nella quotidianità, così da avere un rapporto migliore con chi ci sta intorno.

(https://ottosunove.com/ottosublog/2019/06/12/leggere-aiuta-empatia-le-neuroscienze-rispondono/)

lunedì 16 settembre 2024

“Gli italiani? Leggono sempre meno” di Davide Romano, giornalista

 


 

L’Italia, si sa, è un paese di santi, poeti e navigatori. Ma, ahimè, non di lettori. Non c'è bisogno di sfogliare troppi giornali o consultare le statistiche per comprendere una realtà amaramente evidente: gli italiani non leggono. Gli ultimi dati ISTAT parlano chiaro: meno di un italiano su due ha letto almeno un libro nell'ultimo anno. Un dramma culturale, come lo definirebbe Umberto Eco, uno dei pochi intellettuali italiani a difendere con vigore la lettura in un Paese che, paradossalmente, ha prodotto alcuni dei più grandi scrittori e poeti del mondo.

Per capire questa triste verità, basti guardare ai dati forniti da Associazione Italiana Editori (AIE): nel 2023, circa il 40% degli italiani dichiarava di non leggere mai libri. E non parliamo solo di alta letteratura, ma nemmeno un romanzo leggero o un saggio divulgativo. Perfino Antonio Gramsci, nelle sue Lettere dal carcere, lamentava questa tendenza all’apatia culturale, sottolineando quanto fosse fondamentale "formare una coscienza critica". E la lettura, si sa, è lo strumento principe per questo.

 

Il pensiero di scrittori e intellettuali

Cesare Pavese, in una delle sue riflessioni più amare, scriveva: "Un paese che non legge è un paese senza futuro". Pavese, che non solo scriveva romanzi ma li viveva, vedeva nella lettura una forma di resistenza al conformismo culturale. E aveva ragione. Ma la realtà italiana sembra smentire le sue parole: mentre in Francia o in Germania le librerie sono un'istituzione, in Italia chiudono a ritmo allarmante. Montanelli stesso, con il suo stile corrosivo, denunciava già nel secolo scorso una "mediocrità culturale di fondo" nel nostro Paese, sostenendo che “un popolo che non legge è più facile da governare”.

Non sorprende che Norberto Bobbio, filosofo di grande finezza intellettuale, abbia indicato la scarsa lettura come una delle cause della debolezza della democrazia in Italia. Per Bobbio, la mancanza di dibattito e riflessione, che solo i libri possono stimolare, rendeva i cittadini più vulnerabili alla manipolazione politica. Non c'è da stupirsi, dunque, se oggi, in una società dominata dai social media e dalle notizie frammentarie, i lettori critici siano diventati una rara specie in via d'estinzione.

 

La crisi dell'editoria e il declino delle librerie

Siamo nel Paese di Dante, Petrarca e Boccaccio, ma anche in quello in cui, secondo i dati dell’AIE, il 59% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non legge alcun libro. Questa è forse la statistica più allarmante, perché indica non solo una crisi presente, ma soprattutto un futuro culturale sempre più arido. Italo Calvino, nei suoi saggi, parlava della lettura come di "un atto di liberazione", qualcosa che ci permette di vivere altre vite, esplorare mondi sconosciuti, ma anche confrontarci con le contraddizioni della nostra stessa esistenza. Cosa ne sarà di una generazione che preferisce scrollare su TikTok invece di sfogliare le pagine di un libro?

Se poi guardiamo al panorama editoriale, la situazione non è meno desolante. Giulio Einaudi, il grande editore, lamentava già decenni fa che in Italia i libri di qualità faticavano a trovare lettori. Oggi, con la concorrenza delle piattaforme di streaming, dei videogiochi e dei social, la battaglia è ancora più dura. Nel 2022, il mercato editoriale italiano ha registrato un calo delle vendite del 6%, con una chiusura di oltre 700 librerie indipendenti. Un deserto culturale, come lo definirebbe Pier Paolo Pasolini, che in uno dei suoi ultimi interventi pubblici disse: "La cultura è sempre più un privilegio di pochi, un lusso che il popolo non può più permettersi".

 

Lettori: una razza in estinzione?

Viene spontaneo chiedersi: cosa ci aspetta? In un mondo sempre più frenetico e dominato da stimoli immediati, ha ancora senso parlare di lettura? Sì, se pensiamo che la lettura non è solo un piacere intellettuale, ma una necessità per la nostra stessa umanità. Tullio De Mauro, uno dei più grandi linguisti italiani, sottolineava come la lettura fosse un potente strumento di emancipazione personale e sociale. Non leggere, al contrario, significa rinunciare a una parte essenziale di sé, rinchiudersi in una bolla di superficialità che ci rende meno liberi.

E allora, per concludere con una riflessione di Montaigne, "chi non legge non solo ignora le parole, ma le idee". Forse è proprio questo il nodo del problema: l'Italia, Paese di grande cultura, è diventata una nazione di non lettori. E finché non si risolverà questa frattura tra la nostra tradizione culturale e la realtà contemporanea, il nostro futuro, come ammoniva Pavese, sarà irrimediabilmente compromesso.