di UMBERTO
SANTINO
Primo Levi, nel suo I sommersi e i
salvati, parla di «derive della memoria», una reazione difensiva, da parte
dei superstiti dell’Olocausto, per rendere meno intollerabile il ricordo di
«un’offesa insanabile» . Ma più che una “ deriva” forse si dovrebbe parlare di
una vera e propria rimozione, se si pensa che tanti sopravvissuti si sono
decisi a raccontare quello che avevano vissuto soltanto dopo moltissimi anni. E non
c’è solo l’Olocausto, una realtà tanto inaccettabile, al limite
dell’incredibile, da doverla rimuovere. Gennaro Jovine, il protagonista
di Napoli milionaria, di Eduardo De Filippo, tenta di raccontare gli
orrori della guerra, ma i familiari non vogliono ascoltarlo. « La guerra è ‘
fernuta » , gli dicono, aggrappati come sono alla ragnatela dei contrabbandi,
ma per lui la guerra non è “fernuta”, poiché per chi l’ha vissuta la guerra è
un’esperienza incancellabile.
Questa rimozione della
memoria è avvenuta anche per i protagonisti di questo libro di Dino Paternostro
(“ La strage è più lunga. Calendario della memoria dei dirigenti sindacali e
degli attivisti del movimento contadino caduti nella lotta contro la mafia”,
Edizioni della Zisa), che finalmente ricostruisce, nome per nome, vita per
vita, una storia che è stata in gran parte cancellata o rievocata per frammenti
e con imprecisioni o fraintendimenti. E bisogna chiedersi perché e come è
potuto accadere. La memoria non è un automatismo, ha bisogno di chi se ne
assume l’impegno: una persona o un’organizzazione, un partito, un sindacato, un
comitato, un’associazione che la considerano essenziale per la loro storia e la
loro identità.
Facciamo qualche esempio. La memoria dei
Fasci siciliani, che destarono interesse a livello internazionale, suscitarono
consensi entusiastici e stroncature implacabili, è stata sotterrata perché il
Partito socialista, che ne resse le fila, almeno per buona parte, è andato
per altre vie, fino a naufragare nel pantano di Tangentopoli. Ma questo è
accaduto anche per molti dei sindacalisti, militanti e dirigenti del movimento
contadino caduti nel corso del Novecento. Non ne hanno mantenuto viva la
memoria i familiari, tranne alcune eccezioni, perché non se la sono sentita,
perché sono stati lasciati soli, perché sono andati via e, anno dopo anno,
giorno dopo giorno, è sopravvissuto solo un ricordo sempre più sbiadito. Come
la fotografia, spesso una fototessera, che mostrano a chi cerca di ridestare
quel ricordo. Ma è un ricordo lontano, il fantasma di un’altra epoca, perché la
storia è andata per altri percorsi, con i flussi migratori che spopolavano i
paesi che avevano visto maturare quelle lotte, che erano stati insanguinati da
quelle stragi e da quegli assassinii. Dei primi anni del Novecento si sono
salvati i nomi di alcuni dirigenti sindacali o di partito che hanno lasciato
tracce del loro operato, ma il nome di Giovanni Orcel, che ebbe un ruolo
significativo come segretario della Fiom e tessitore di rapporti con il
movimento contadino, non figura nei libri più noti su mafia e antimafia. Orcel
è una figura scomoda, in contrapposizione con una linea “ riformista”,
svilita da una pratica compromissoria con il padronato. E questo, assieme
all’eliminazione del capomafia, indicato come responsabile del suo assassinio,
una sorta di “giustizia proletaria”, in sostituzione dell’impunità
istituzionale, può aver pesato nelle “ ragioni dell’oblio”.
Per i sindacalisti e i manifestanti uccisi
nel secondo dopoguerra, c’è incertezza pure sul numero. Si parla di 39 vittime,
compresi i caduti di Portella, dal 1944 al 1955; sarebbero 52 i dirigenti
politici e sindacali morti per mano mafiosa dal 1944 al 1960, secondo l’elenco
contenuto nella legge regionale n. 20 del 13 settembre 1999; 60 dal 1944 al
1968; 150 se si considerano anche le vittime della banda Giuliano e di altre
bande e i caduti ad opera delle forze dell’ordine durante manifestazioni
popolari, come la “ strage del pane” del 19 ottobre 1944 a Palermo. Ma in
questi elenchi figura anche qualche personaggio vittima di scontri all’interno
del mondo mafioso, come se la morte avesse azzerato conflitti e prese di
posizione che hanno segnato un confine tra mafia e antimafia.
Questo libro è il frutto più maturo della
strategia di recupero della memoria che ha visto la Cgil negli ultimi anni
colmare un vuoto, con segni materiali, lapidi, targhe stradali, che possono
essere i primi passi per rinnovare una toponomastica ferma al mito monarchico e
risorgimentale, con pesanti risvolti sicilianisti: a Palermo, sul piedistallo
del monumento a Francesco Crispi, il massacratore dei Fasci, c’è scritto: ”La
monarchia ci unisce...” e le scuole sono intitolate a re e regine sabaudi, tra
cui Vittorio Emanuele III, che aprì le porte al fascismo e firmò le leggi
razziali. Sono questi gli esempi che offriamo ai nostri studenti. Le
commemorazioni di figure dimenticate, considerate non come eventi rituali, ma
parte integrante dell’azione sindacale, hanno tracciato un nuovo cammino e un
buon tratto di strada è stato percorso con il Centro Impastato. Alla luce di
queste esperienze si spiega l’adesione della Camera del lavoro di Palermo come
partner del Centro nel progetto del Memoriale- laboratorio della lotta alla
mafia.
Il sottotitolo del libro è “Calendario
della memoria”, ma questo libro è più che un calendario, non è solo una sorta
di santorale laico. Ricostruisce biografie individuali e le inserisce in un
contesto. Riscopre una storia. La storia di un percorso di Liberazione che può
considerarsi la Resistenza della Sicilia in lotta, a mani nude, contro un
nemico che fa uso delle armi e considera la violenza come risorsa e strategia.
Troppo spesso vincente. E la memoria, che ripercorre questa storia, come viene
sottolineato nella citazione che apre il libro, è « una memoria d’amore » ,
come quella del soldato Mizushima del film di Kon Ichikawa,“ L’arpa birmana”,
ma la Spoon River siciliana più che un cimitero abbandonato è un luogo
d’incontro in cui ognuno ha il suo volto e il suo nome e racconta la sua vita.
(La Repubblica Palermo, 29 aprile 2021)