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sabato 11 novembre 2023

Edizioni La Zisa, 1988-2023: trentacinque anni dalla parte sbagliata (in trenta libri o quasi)

 


La casa editrice La Zisa, celebra in questi giorni il trentacinquesimo anniversario della propria attività. Si cercherà qui di offrire un breve resoconto del cammino fin qui compiuto e di farlo seguendo un percorso che attraversa una selezione di trenta tra le più significative opere edite per i nostri tipi. Una sommaria periodizzazione di questo più che trentennale cammino dovrebbe anzitutto distinguere tre grandi tappe all'interno dell'arco di vita della Zisa.

Una prima fase è quella della fondazione in cui si precisa gradualmente la fisionomia della Zisa come un soggetto culturale fortemente legato alla vita ed alla storia politica siciliana e palermitana in particolare. Questa prima tappa si distende lungo l'ultimo scorcio del '900 (1988-1999). Molte le firme autorevoli che hanno scritto per la nascente casa editrice palermitana, tra le quali spiccano quelle di Napoleone Colaianni, Nicola Barbato, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto, Michele di Dio, Mimmo Giarratana, Ennio Pintacuda, Andrea Camilleri, Giancarlo Caselli, Gherardo Colombo, Saverio Lodato, Nino Fasullo, Francesco Michele Stabile, Rosario Giuè.

I temi visitati dai nostri autori in questa prima fase rivelano nette scelte di campo da parte della Zisa, scelte che ritroveremo come una sorta di carattere distintivo delle linee editoriali anche nelle tappe successive.

Tutti gli ambiti del dibattito politico degli anni '90 sono presenti e osservati mantenendo costantemente un punto di vista privilegiato da sinistra: dalla storia politica della Sicilia alla questione morale, alla tensione tra regionalismo e autonomia, dal dibattito interno alla sinistra negli anni '90 al dialogo tra cattolicesimo e cultura di sinistra, per arrivare, proprio al volgere del millennio, alle grandi domande bioetiche sullo statuto ontologico della persona, sulla dignità umana e le nuove sfide ai diritti dell'uomo lanciate dal progresso tecnologico.

Un discorso a sé merita la particolare attenzione dedicata fin dall'inizio alla ricerca sociale sulla storia, i protagonisti, le trasformazioni del fenomeno mafioso e della lotta alla mafia. Attraverso le sue numerose pubblicazioni sull'argomento mafia-mafie, dando spesso spazio e opportunità ai personaggi in prima linea nell'impegno istituzionale e civile contro la mafia di raggiungere direttamente il pubblico, La Zisa ha contribuito fin dagli anni della sua fondazione a far conoscere il carattere proteiforme, pervasivo del fenomeno mafioso, il suo radicamento sul territorio, il suo tipico insediamento culturale nel nostro Meridione, in particolare in Sicilia, i suoi intrecci con l'economia e la politica.

Il secondo periodo nella storia della nostra casa editrice copre all'incirca il primo decennio del nostro secolo e può essere indicato come una fase di transizione. I principali ambiti tematici sono rimasti gli stessi del periodo precedente ma si presentano con una portata ed una estensione maggiori. Nuovi soggetti politici, come la Lega, maturano e si affacciano sulla scena politica alternandosi al governo e, ahimè, talvolta anche nel malaffare, con le formazioni di più lunga tradizione, le quali stanno a loro volta subendo profonde ristrutturazioni ideologiche e di apparato organizzativo. Puntualmente autori come Fabio Bonasera e Davide Romano rilevano queste metamorfosi del panorama del potere nel Paese. Anche lo sguardo su quanto accade nel mondo ecclesiale si allarga fino ad includere altre “tende”, oltre quella dei cattolici, come accade col saggio di Teodoro Balma, con introduzione di Italo Pons e Antonio Di Grado, sulla storia e il martirio dei Valdesi. Anche l'interesse per le cose siciliane si amplia, non limitandosi più in maniera prevalente alla storia politica dell'Isola ma includendo altre prospettive dell'analisi storica della società siciliana, come ad esempio la storia dell'astronomia in Sicilia firmata da Pippo Battaglia e con un'introduzione di Margherita Hack. Infine anche la letteratura scientifica sulla mafia si apre a nuovi argomenti limitrofi a quelli già messi a fuoco nel decennio precedente. Comincia a farsi strada l'idea di una declinazione al plurale del fenomeno, emerge la centralità, la ferocia e la capacità organizzativa della 'ndrangheta. Anche in questo passaggio di consegne tra l'egemonia di Cosa Nostra e le 'ndrine calabresi La Zisa si è riconosciuta un proprio ruolo dando un contributo all'analisi con la pubblicazione integrale, nel 2008, della relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa sulla 'ndrangheta.

Il terzo periodo nella storia della nostra casa editrice abbraccia grosso modo gli ultimi dieci anni e coincide con l'avvento di Davide Romano alla guida della Zisa. Le tradizionali linee editoriali caratterizzate dalla critica sociale e di costume sui temi emergenti della politica e della società civile continuano a prolungarsi, articolarsi e fiorire. Abbiamo, ad esempio, la pubblicazione dell'inchiesta di Sante Sguotti su pedofilia e celibato nella Chiesa di Papa Francesco, le biografie dedicate ai protagonisti della lotta alla mafia, come quella di Paolo Borsellino ad opera di Roberto Rossetti, con prefazione di Nicola Tranfaglia, o il recentissimo Padre Puglisi, raccontato dalla giovane giornalista palermitana Federica Raccuglia, con prefazione di mons. Giancarlo Maria Bregantini.

Ma Davide Romano col suo raffinato gusto letterario imprime anche un segno molto chiaro di novità sulle pubblicazioni della Zisa. Il catalogo si arricchisce così di nuovi generi, collaborazioni e collane, come le Rondini o Nostos, dedicate alla produzione di opere e saggi di poesia, narrativa, inchiesta, culinaria. Contemporaneamente l'orizzonte dell'attività editoriale, pur mantenendo il proprio centro sulla città di Palermo, la Sicilia e l'Italia, come seguendo una propria naturale vocazione si allarga fino a includere culture affini come quella greca o del Vicino Oriente ed abbracciare quel “Mediterraneo esteso” che s'inoltra fino al centro del continente culturale africano. Vedono così per la prima volta la luce in lingua italiana opere del premio Nobel per la letteratura Ghiorgos Seferis (Sei notti sull'Acropoli) le poesie di Ghiorgos Sarandaris (Giorni) le fiabe di Christos Boulotis (Trilogia gattesca) nelle splendide traduzioni di Maria Caracausi, i racconti siciliani di Thomas Valentin, tradotti ed introdotti da Cristina Sanfratello, Poesia nascosta, di Ines De Benedetti, sulla cucina tradizionale ebraica italiana (prefazione di Tobia Zevi), I mocassini di 'Īsā, con la presentazione di Cécile Kashetu Kyenge.

Oggi, La Zisa insieme a tante altre realtà rappresenta un patrimonio civile di Palermo, una riserva di energie morali ed intellettuali, ma sembra non avere alcuna intenzione di smettere di crescere e sviluppare il proprio progetto editoriale. Seguendo le stesse linee di forza che ci hanno condotti fin qui, continuare a produrre il libro sarà solo l'espressione, ma non l'unica, di un'identità originaria e ormai consolidata. L'augurio per la nostra città ed il nostro Paese è che di queste progettualità d'insieme possano esservene miriadi, e continuare ad evolversi come ha fino ad ora fatto La Zisa, nel suo ruolo di impresa intellettuale condivisa, di soggetto politico collettivo, con i suoi ideali di partecipazione, di inclusione, di riduzione delle distanze, di conoscenza reciproca.

Insomma, che possa realizzarsi in qualche misura quell'universo di valori, quel mondo di idee che La Zisa ha finora immaginato e cercato, per la sua parte, di realizzare.


venerdì 15 settembre 2023

“Dimenticare Palermo” di Davide Romano


Ci sono infiniti modi per raccontare una città. E tante le chiavi di lettura da cui partire. Perché una città, soprattutto una grande città, ha tante sfaccettature che forse risulta difficile, per riassumerle tutte, dedicarvi anche una vita intera.

A Palermo, anche l’emarginazione ha caratteristiche del tutto particolari. Come l’opulenza, del resto. Falsa questa, come vera, verissima è l’altra. Quella cronica, e quella recente. Ma nella città del sole si vive e si convive con l’indigenza. Come una fatalità, come un destino crudele che non si può sovvertire, che si accetta, come si accetta l’illegalità diffusa, che in un modo o nell’altro può darti il pane quotidiano e qualche bene di consumo. Si può sopravvivere in questa città, purché ci si muova entro recinti ben definiti ed entro regole non scritte, ma da tutti conosciute e scrupolosamente applicate. In caso contrario, ci si può rimettere anche la vita. Perché Palermo, checché se ne dica, o per quanto voglia apparire a se stessa e agli altri, è una città grigia. Nel senso che qui tutto si confonde, e sembra quasi si annulli. Non sai come prenderla questa città, e quando credi di averla afferrata, di averla compresa, ecco che basta un qualcosa e ti sfugge tra le dita, si confonde agli occhi, ti appare diversa da quella che pensavi fino ad un attimo prima.

Appare bella Palermo, sontuosa direi. Allegra nelle sue vetrine illuminate, nella gente che sciama per le strade, nelle centinaia di rosticcerie profumate che trovi ad ogni angolo di strada, nella pasticcerie che ti adescano voluttuose per offrirti delizie mai assaporate, nei ristoranti sempre affollati stracolmi di pietanze stuzzicanti, nei mercati ricchi di cibi esposti con spudorata sensualità, sì, ti affascina Palermo, e la credi fortunata, felice, anzi “felicissima” come si diceva una volta. E poi, basta soltanto inoltrarti per una stradina secondaria, fare pochi passi lontano dal centro e ti trovi di fronte a spettacoli di miseria che avresti creduto appannaggio esclusivo di popolazioni del Terzo e Quarto Mondo. Ma non è una miseria dignitosa, come la puoi trovare in Africa, in Asia, o in Sud America. Non c’è dignità nella miseria palermitana, così come nella sua ricchezza.

Ti colpisce Palermo, al primo sguardo. Ti colpisce nei suoi monumenti. Quelli rimasti, ovviamente, ché molti per incuria sono andati perduti. Secoli di culture le più diverse, armonicamente assortite. Eppure non c’è città italiana con un paesaggio urbano così degradato come quello palermitano, e con una approssimativa e ingiuriosa conservazione dei suoi monumenti. Basti pensare alle vicende del suo Teatro Massimo, uno dei migliori del mondo, tenuto chiuso per oltre vent’anni, poi riaperto e immediatamente ricacciato nell’oblio. Ma la situazione dei teatri palermitani, tanti e bellissimi, abbandonati a se stessi, e talora destinati a magazzini o depositi di merci, è uno di quegli sprechi che gridano vendetta a Dio e agli uomini. Ma a Palermo si spreca tutto. Si sprecano le parole, ed anche la vita.

 Eppure a sentire i cittadini del capoluogo siciliano, Palermo è la più bella città del mondo, ha un clima invidiabile, vanta storia e tradizioni di tutto rispetto (ma quanti le conoscono veramente, e non per sentito dire?). Tanta devozione avrebbe dovuto partorire chissà quale crescita culturale, ed invece poco e niente. È un mistero inspiegabile, ma Palermo è anche la città dei misteri inspiegabili.

Non mi riferisco qui alle tante vicende di mafia che le hanno dato fama imperitura in tutti e cinque i continenti. Palermo, per fortuna, non è soltanto la capitale della mafia (e dell’antimafia, non dimentichiamolo), ma sembra che per il mondo intero l’unico argomento degno di nota riferito a questa città siano i delitti di Cosa Nostra. Questa opinione diffusa, quasi impossibile da contrastare e sradicare, ha a sua volta generato, proprio nel campo della cultura, una distorta visione della città stessa, anche tra le menti più lucide e colte che in essa operano ai più diversi livelli.

È una condanna, ormai. Un luogo comune, dal quale non si riesce a venirne fuori. Responsabilità degli altri, sicuramente. Ma non solo. La verità è che Palermo non vuole o non sa proporsi sotto altra luce.

Una città cannibale, qualcuno l’ha definita. E forse non ha sbagliato del tutto. Non credo che ci sia altra città al mondo che ami divorare se stessa, il suo passato, il suo presente e il suo futuro come Palermo. Una città che rifiuta la sua storia, quasi fosse un peso insopportabile, è giocoforza destinata a prendere in prestito modelli comportamentali altrui, non si confronta con essi, li accetta passivamente, senza offrire in cambio il contributo della propria identità, con la quale gli altri debbano a sua volta confrontarsi. In fin dei conti rimane soltanto una grande città di provincia, senz’anima.


Si può amare Palermo, soltanto odiandola. Nei suoi vizi secolari, e nei suoi miasmi segreti. Un città che si riunisce e si attarda volentieri di fronte a tavole riccamente imbandite, ma dove il pettegolezzo e la calunnia, la maldicenza e il rancore trasudano anche nelle chiacchiere frivole, nella fantasiosa mimica facciale e nella gesticolazione esuberante e talora un po’ sboccata. Dove il parlare chiaro e tondo è un difetto imperdonabile, e l’ammiccamento e il sottinteso una pregevole virtù. Un città ambigua, falsa e bugiarda. E frantumata in gruppi o caste che mai sono riusciti a identificarsi in un comune sentire. Un agglomerato di uomini e cose, più che una città, tenuta insieme da fili sottilissimi e inestricabili, da legami di convenienza e di subordinazione, imposti e accettati, ma sempre sul punto di esplodere in conati di violenta ribellione. Una ribellione che non si capisce bene, quando scoppia, verso chi sia diretta. Perché a Palermo tutti sono colpevoli e innocenti nello stesso tempo. O così almeno si vuol far credere, e forse il crederlo non è poi così errato.

Una città autolesionista, che non si ama e non si riconosce come città. Come tutto ciò sia potuto succedere e come rimanga immobile nei secoli, questo resta ancora una questione irrisolta. Ma Palermo è la città delle questioni irrisolte. Come quello di una classe dirigente capace, colta e moderna. Perché qui abbiamo imprenditori cialtroni e bottegai spocchiosi, politici boriosi ed egocentrici e intellettuali vanesii, popolino tracotante e piccola borghesia servile e ipocrita. Città incolta, Palermo. Improduttiva e gaudente. Opaca, anonima, stanca: una città che sospira e non respira.

Eppure la cronaca di ogni giorno, la più recente e la più antica, è ricca di storie straordinarie, che possono dare spunto ed alimento ad una produzione artistica di buona e talvolta ottima levatura. Storie grandi e storie piccole. Nelle quali un russo, un americano o un cinese possono ritrovarsi. Perché le storie degli uomini sono comprensibili da tutti, anche se, com’è naturale, possono essere diverse da quelle di altre città. Anzi, proprio la diversità ne costituisce il pregio maggiore.

 

Ci sono a Palermo, non meno che in altre città, personaggi, situazioni, vicende che possono aiutare a capire il mondo in cui viviamo. Oltre, ovviamente, allo spirito peculiare del luogo in cui tali storie nascono. Palermo vive le contraddizioni, le mode, i gusti, i drammi che vivono città come Roma, Milano, Parigi, Londra o New York. In modo diverso, senza dubbio, ma nella sostanza sono più le somiglianze che le differenze. Eppure la produzione letteraria di Palermo, tanto per fare un esempio, varca raramente i confini dell’isola (e, il più delle volte, della stessa provincia).

Calorosa e spietata, dunque. Partecipe e indifferente. Solidale ma inflessibile con chi cade. Che mette in mostra tonnellate di cibo, e non riesce a sfamare i poveri delle borgate maleodoranti. Che rimpinza di soldi un esercito di inutili burocrati, e nega un aiuto modesto a chi ne ha estremo bisogno. Che ha edificato centinaia di chiese, che venera la sua santa patrona, certificando in questo modo la sua religiosità, ma lascia che i suoi figli portatori di handicap vivano, o meglio muoiano, isolati come nei tempi antichi si usava fare con i lebbrosi. Che ama parlare di democrazia e di libertà, e nello stesso tempo insinua nella mente dei più che il potente di turno va rispettato, ossequiato e che soltanto da lui dipende il loro futuro. Che si crede moderna, ed invece è ancora maledettamente, tragicamente, inesorabilmente feudale. Che perfidamente, prima ti seduce e poi si nega.

Una città impossibile da decifrare. Che non è mai quella che sembra. Una città difficile da vivere per chi non è potente, per chi non ha amici potenti, per chi verso i potenti non ha alcun riguardo particolare. O, più semplicemente, per chi ha occhi per vedere, orecchie per sentire, e bocca per gridare la propria rabbia.