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giovedì 12 aprile 2018

Cosa nostra non è cosa mia, parla un imprenditore «Ho denunciato pizzo ma Stato mi ha lasciato solo» di Andrea Turco (MeridioNews, 27 MARZO 2018)




Nel libro pubblicato da Edizioni La Zisa Daniele Ventura racconta la sua vicenda di ex gestore di un bar, costretto a chiudere dopo aver pubblicamente denunciato i suoi estorsori. «La mia è una sconfitta per tutte le istituzioni». Ora gli sono rimasti i debiti e una flebile speranza «nei giovani»

«Resto nella mia Palermo». Daniele Ventura è un ex imprenditore, ora assediato dai debiti per un'attività commerciale iniziata sotto i migliori auspici e finita tra richieste estorsive, denunce isolate e la paura di una vendetta da parte della mafia. Non è un eroe, ammette di aver avuto paura e di continuare ad averne. «Il coraggio, uno, se non ce l'ha mica se lo può dare» per citare don Abbondio: ma la forza di volontà, quella sì, ce la si può dare: «Ho valutato altre ipotesi, ma ho scelto di restare per cercare di cambiare qualcosa, per non darla vinta a loro».

Ora Daniele, classe 1984, ha deciso di raccontare la sua vicenda in un libro. Si intitola Cosa nostra non è cosa mia, pubblicato dalla casa editrice La Zisa, con laprefazione di Stefania Petyx e la collaborazione di Franca Stefania Lo Cicero. «Questa è la mia storia - si legge nell'introduzione - la storia di un bambino divenuto ragazzo che ha combattuto contro la sua paura più grande, una paura chiamata Cosa nostra». E di paura Daniele ne ha avuta tanta. Come non averne per un giovane che, cresciuto a Brancaccio nel quartiere di don Puglisi decide, dopo il tentativo (fallito) di iscrizione alla facoltà di Medicina, di avviare un'attività commerciale. 

«Ho sempre lavorato, ma quasi sempre sfruttato - racconta - e per questo avevo scelto di mettermi in proprio. Avevo scelto di aprire un locale tra il porto e piazza Politeama, a due passi da piazza Florio. Ero riuscito ad avere un finanziamento da Invitalia. E così era cominciato il mio sogno, con l'apertura a giugno 2011». Il New Paradise, questo il nome del bar, si trova in via Principe di Scordia, nei pressi di Borgo Vecchio. Neanche il tempo di festeggiare che appena tre giorni dopo l'inaugurazione il giovane, allora neanche trentenne, riceve «spiacevoli visite. In dialetto e con tono minaccioso mi viene detto "ma tu vai a casa delle persone senza chiedere il permesso?". Ma io avevo tutto in regola, almeno per la legge». Non per la mafia, dunque, che intima di pagare il pizzo al nuovo arrivato. In serata. Daniele cede, temendo ritorsioni per sè e «per la zona». Eppure subito dopo aver pagato una somma di 500 euro va alla Direzione Investigativa Antimafia e denuncia i suoi aguzzini. 

Il calvario però è solo all'inizio. «I carabinieri mi invitavano a resistere, a non cedere ulteriormente - continua l'ex esercente -. Ma quelli tornano, e mi chiedono altri 250 euro per il primo mese. Intanto terrorizzavano tutto il quartiere, e così anche quella volta ho ceduto. Io nel frattempo avevo ingranato: avevo preso alcuni catering, avevo aperto la pizzeria. Poi arriva l'operazioneHybris, che azzera il mandamento di Porta Nuova, nata anche in seguito alle mie denunce. E allora dopo la retata i clienti  hanno iniziato ad abbandonarmi: già non è facile avviare un'attività in condizioni normali, ma da uno che denuncia la gente non ci va. Sono riuscito a rimanere aperto per un anno, poi non ce l'ho fatta più».

In quei neanche 365 giorni (la chiusura è avvenuta a giugno del 2012) Ventura vive ancora all'insegna della paura, tra il danneggiamento dei lucchetti e il furto della refurtiva, e l'ostracismo del quartiere. «Aprivo alle cinque del mattino - aggiunge - e ogni volta che spalancavo la saracinesca temevo che mi potesse succedere qualcosa. Ci sono state giornate in cui incassavo 15 euro al giorno, soldi con i quali non riuscivo manco a pagare la luce per tenere aperto. Così ho scelto di chiudere quando i debiti erano diventati troppo grossi». Intanto va avanti l'iter giudiziario, con la deposizione pubblica contro i suoi aguzzini. «Si trattava di gente come Francesco Chiarello, implicato nell'omicidio dell'avvocato Fragalà. Visti i soggetti, devo dire che mi è finita quasi bene».

A distanza di oltre cinque anni da quelle vicende, però, Ventura si sente solo. Riconosce il supporto di Addiopizzo, «che mi ha dato un grande aiuto dal punto di vista legale e psicologico», dell'associazione Up Palermo e della sua presidente Beatrice Raffagnino, e di persone come Ignazio Cutrò e di Gianluca Maria Calì, «che hanno storie molto simili alla mia». Ma le istituzioni però sono assenti dai suoi ringraziamenti. «Mi sono rivolto a tutti, dal presidente Mattarella all'ex premier Renzi. L'ex presidente Crocetta non mi ha mai risposto, mentre il sindaco Orlando mi ha detto che mi avrebbe aiutato ma dopo le elezioni è scomparso». E per tutti vale un ammonimento: «la mia chiusura è una sconfitta per tutte le istituzioni, così si dà il segnale che se uno denuncia resta solo. Io continuo a chiedere allo Stato di svegliarsi». La storia di questo "imprenditore coraggioso abbandonato dallo Stato ma che ha continuato a lottare contro Cosa Nostra", come recita la quarta di copertina, ha dunque un finale amaro. Pieno di debiti non estinti e di considerazioni solo in parte intrise di speranza.

«Voglio aprire un'associazione senza scopo di lucro, per tenere viva e pulita la lotta al racket - dice ancora Daniele. E la solidarietà di adesso giunge troppo tardi, mi fa certamente piacere ma non mi può aiutare nel concreto. Se avessi un lavoro pagherei tutto, finora ho fatto quello che ho potuto. Penso di aver fatto una scelta che in pochi fanno, e certamente se fossimo di più sarebbe tutto diverso e più facile per ciascuno. Vedo che c'è una voglia di cambiamento nei ragazzi, confido in quella». 

http://palermo.meridionews.it/articolo/64202/cosa-nostra-non-e-cosa-mia-storia-di-un-imprenditore-ho-denunciato-il-pizzo-ma-lo-stato-mi-ha-lasciato-solo/ 


giovedì 4 gennaio 2018

In libreria: Ernesto De Cristofaro ( a cura di), “Le verità nascoste. Da Aldo Moro a Piersanti Mattarella e Pio La Torre”, Edizioni La Zisa, pp. 160, euro 14,90 (ISBN 978-88-99113-85-8)




“È [...] maturo il tempo per raccogliere l’esigenza posta da una rete di studiosi, avvocati, giornalisti, operatori nel campo del sociale e della prevenzione investigativa, operante a Palermo e altre sedi [...] di affrontare una questione che non può cadere nell’oblio, quella delle verità nascoste, ancora da rendere chiare e dichiarate, su tanti, troppi assassinii e stragi. L ’esigenza di ricostruire, in questo caso, la trama storica che dall’assassinio di Aldo Moro si dipana fino a quelli di Piersanti Mattarella e Pio La Torre, l’intreccio di mafia, politica e affari che ha attraversato non solo la Sicilia. Un impegno civile dunque, direi un doverecivile che non può non accompagnarsi ai doveri dell’insegnamento e della ricerca, quello di offrire conoscenze ai giovani per una loro crescita consapevole, affinché sappiano che vivono in una società nella quale non tutti si sono arresi al silenzio e che studiano in un’università nella quale con libertà, senza interessi di parte politica e in modo pluralistico è possibile tentare risposte alle contraddizioni che attraversano il contemporaneo”. (dalla Presentazione di Antonio Pioletti)

“Il lavoro che si è [...] svolto [...] è un tributo alla memoria e alla verità, senza le quali nessuna comunità civile può essere sicura della propria stabilità e dell’agibilità [...] dei propri spazi, dei diritti e delle libertà che essi custodiscono [...] e intende essere un contributo a tale, doverosa e imprescindibile, ricerca della verità. Esso investe una particolare stagione della storia italiana [...]. Quella che si situa cronologicamente tra la fine degli anni Settanta e i primissimi anni Ottanta, durante i quali sono all’opera [...] in certi ambiti più aperti del mondo politico dinamiche di trasformazione progressiva, di dialogo, di riconoscimento e legittimazione tra forze e soggetti ugualmente interessati alla qualità e all’effettività della democrazia in Italia. [...] Piersanti Mattarella e Pio La Torre sono stati tra gli interpreti [...] moralmente più risoluti di quella stagione della storia e della politica italiana e hanno elaborato [...] la densa eredità che si collega al nome di Aldo Moro. Per tale ragione, i saggi di questo volume interrogano alcuni profili che riguardano l’attività di quei due importanti politici siciliani in raccordo a quanto, negli anni in cui essa si andava svolgendo, accadeva ai massimi livelli della politica nazionale. Le ragioni che hanno animato la vita di Mattarella e di La Torre e che ne hanno, assai verosimilmente, causato la morte, non possono, infatti, essere comprese al di fuori di una chiara e distinta delucidazione del contesto”. (dall’Introduzione di Ernesto De Cristofaro)

Ernesto De Cristofaro(1972), laurea in Giurisprudenza (Università di Catania, 1994), laurea in Filosofia (Università di Venezia, 2001), dottorato di ricerca in “Profili della cittadinanza nella costruzione dell’Europa” (Università di Catania, 2005). Borsista presso il Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte di Frankfurt am Main (2004, 2009) e Visiting scholar presso la Lloyd Robbins Collection dell’Università della California-Berkeley (2004, 2006). È ricercatore confermato di Storia del diritto medievale e moderno presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania. Negli anni accademici 2014-15 e 2015-16 ha insegnato Diritto comune e Storia del diritto medievale e moderno presso l’Università di Messina. Negli anni accademici 2014-15 e 2015-16, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania, ha coordinato il laboratorio di ateneo sul tema: Genesi e trasformazioni degli strumenti normativi di contrasto alle associazioni mafiose. Ha scritto su «Segno», «Rechtsgeschichte», «Quaderni fiorentini», «Materiali per una storia della cultura giuridica moderna», «Belfagor», «Discipline filosofiche», «Sociologia del diritto», «Snodi. Pubblici e privati nella storia contemporanea», «Laboratoire italien», «Micromega – Il rasoio di Occam», «Il mestiere di storico», «Journal of Constitutional History», «Siculorum Gymnasium», «Cahiers poitevins d’Histoire du Droit». Ha curato: Barcellona P ., De Giorgi R., Natoli S., Fine della storia e mondo come sistema (Dedalo 2003); Precursori dello sterminio. Binding e Hoche all’origine dell’“eutanasia” dei malati di mente in Germania(Ombre Corte 2012; con Carlo Saletti), Il domicilio coatto. Ordine pubblico e politiche di sicurezza in Italia dall’Unità alla Repubblica (Bonanno 2015). Ha scritto: Sovranità in frammenti. La semantica del potere in Michel Foucault e Niklas Luhmann (Ombre Corte 2007), Codice della persecuzione. I giuristi e il razzismo nei regimi nazista e fascista(Giappichelli 2008), Il senso storico della verità. Un percorso attraverso Foucault (Il Melangolo 2008).

Con scritti di:

Antonio Pioletti, già professore ordinario di Filologia romanza, preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere e prorettore dell’Università di Catania.

Nicola Tranfaglia, professore emerito di Storia dell’Europa e di Storia del giornalismo. Stefania Limiti, giornalista, saggista.

Adriana Laudani, avvocato, deputato all’ARS (Assemblea regionale siciliana) dal 1976 al 1991. Giuseppe Lo Bianco, giornalista, saggista.

Armando Sorrentino, avvocato, saggista.

Andrea Purgatori, giornalista, saggista, sceneggiatore.

Antonino Di Matteo, sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia.