Visualizzazione post con etichetta mancuso. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta mancuso. Mostra tutti i post

martedì 21 luglio 2009

"Boris Giuliano, il segugio che scoprì la Pizza Connection" di Amelia Cristantino


Sono trascorsi trent´anni dall´estate del 1979, l´anno in cui la mafia alzava il tiro e diveniva visibile la sua strategia di aggressione allo Stato di diritto. Le vittime sono legate fra loro, come soldati che muoiono sullo stesso fronte. L´11 luglio a Milano viene ucciso Giorgio Ambrosoli, avvocato milanese con la colpa di volere dipanare il cumulo di complicità politico-mafiose che hanno permesso a Sindona di edificare il suo impero finanziario. Solo dieci giorni dopo a Palermo, mentre paga un caffè nel bar sotto casa, con sette colpi alla schiena muore il vicequestore Boris Giuliano. A sparare è Leoluca Bagarella. Il 25 settembre è la volta del giudice Cesare Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso. Sono delitti preventivi, uomini uccisi per quello che hanno fatto e per le conclusioni a cui potrebbero arrivare: il loro omicidio risponde a quella logica che Umberto Santino definisce la «violenza programmata» tipica dell´agire mafioso, dove l´omicidio diventa un evento-spia che rimanda all´evoluzione della mafia e ai suoi rapporti col contesto sociale.

Gli uomini uccisi nell´estate del ´79 sono uomini testardi che seguono la logica del loro ragionamento, alzano lo sguardo dal livello degli esecutori e con grande intrepida pazienza mettono in fila gli indizi finché non diventano prova.

Oggi è l´anniversario della morte di Boris Giuliano, una giornata di iniziative è dedicata alla sua figura: un convegno allo Steri con la presentazione di un libro fotografico edito da Flaccovio restituisce il volto pubblico e privato dello «sbirro all´americana» addestrato a Quantico con i detective dell´Fbi, che lavora in collaborazione con la Dea - l´agenzia antidroga americana - e parla inglese correntemente: foto dell´album di famiglia e foto scattate dai due fotografi che hanno raccontato Palermo con le loro immagini, Letizia Battaglia, Mike Palazzotto, lo studio Labruzzo. Alle 21 ci sarà la proiezione del film-documentario di Roberto Greco dedicato a Giuliano, Sopralluoghi per un film su un poliziotto ucciso.


A distanza di trent´anni Palermo prova a recuperare la memoria di uno dei suoi martiri, di andare oltre le commemorazioni rituali: decisione che potrebbe rivelarsi molto dolorosa, perché ripensare Boris Giuliano significa riaprire capitoli «politicamente scorretti» dove connivenze e complicità diventano evidenti e mettono sotto accusa la elasticità etica di tanta parte della città.

Di Boris Giuliano scriveva il Consigliere istruttore Rocco Chinnici, una testimonianza che possiamo leggere in un libretto postumo edito nel 1990 da La Zisa e intitolato L´illegalità protetta. Un piccolo libro che riesce a darci la misura di quanto tragica sia la storia di questi nostri ultimi decenni: la prefazione è firmata da Paolo Borsellino. Il giudice scrive del pool antimafia e di come Chinnici «uno per uno ci scelse»; poi indugia su Falcone, in quel momento «vittima fortunatamente scampata» a un attentato dell´Addaura. Per Borsellino, il pool dei magistrati si oppone alla «inerzia investigativa del precedente decennio», Chinnici reagisce alla palude. Ed è Chinnici che a Palermo, una città dominata dalla mafia - intervista pubblicata su "Segno"nel 1981 - dichiara come solo nel 1978 l´ufficio istruzione del Tribunale fosse venuto a conoscenza di «certi fatti» anticipati da notizie «vaghe e imprecise» su un import-export di eroina e dollari. Il giudice ricorda Boris Giuliano, il poliziotto «moderno» che per primo aveva capito e cominciato a seguire la pista dell´eroina prodotta in Sicilia e trasferita in America. «Dopo di lui indagò il capitano Basile», conclude Chinnici ricordando un altro dei tanti uomini caduti in un agguato mafioso.

Boris Giuliano è l´ultimo dei poliziotti all´antica, è a Palermo prima della stagione dei pentiti e del pool antimafia. Ma al contempo è modernissimo, segue i flussi finanziari. Osserva quanto sta accadendo a partire dalla Giulietta al tritolo di Ciaculli - era il 1963 - e intuisce come la Sicilia sia diventata uno dei luoghi cardine per un traffico molto redditizio, quello dell´eroina. Gli stessi canali, uomini e relazioni che avevano governato il contrabbando di tabacco si sono convertiti al più ricco traffico di droga. Non solo spacciatori o riciclatori ma anche imprenditori e banchieri. Un traffico ricco, a Palermo non stavano solo gli intermediari: l´oppio della Thailandia, del Laos e della Birmania si raffinava in laboratori a ridosso della città e ripartiva verso l´America, da dove arrivavano fiumi di dollari.
Nelle parole di Chinnici, Palermo è la città dove «malgrado la crisi economica vengono aperti lussuosi negozi». E Giuliano segue la pista dei soldi facili e abbondanti, che alzano il livello dello scontro dentro l´organizzazione mafiosa mentre inquinano i circuiti dell´economia pulita, che corrompono una città dalla morale spesso troppo accomodante.

Tre episodi tra loro collegati, avvenuti nell´ultima estate della sua vita, precipitano la fine di Giuliano. Il primo all´aeroporto di Punta Raisi, dove due valigette restano sui nastri trasportatori senza nessuno a reclamarle. Sono piene di banconote, mezzo milione di dollari: è il primo segmento del «teorema Giuliano», che trova conferma qualche giorno dopo. Quando a New York, all´aeroporto Kennedy, altre valige arrivano da Palermo. Piene zeppe di eroina. E in una catapecchia sul lungomare di Romagnolo, pronta a essere immessa sul mercato, la squadra di poliziotti coordinati da Giuliano trova 4 chili di eroina purissima. Il proprietario è Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina.

Dopo il blitz di Romagnolo la sorte del poliziotto appare segnata. Al 113 registrano telefonate anonime, «Giuliano morirà»: lui accompagna la moglie e i figli in un paese alle falde dell´Etna, promette di tornare fra una settimana. Non li vedrà più.

Ai funerali di Boris Giuliano Palermo appare sgomenta, comincia a lievitare l´ondata emotiva che rifiuta l´identità mafiosa. E il cardinale Pappalardo dà voce al sentimento collettivo, l´omelia è una denuncia: «Faccia lo Stato il suo dovere». Il cardinale chiede giustizia, prende le parole in prestito dal profeta Ezechiele: troppi mandanti, troppi vili esecutori variamente protetti, circolano per le nostre strade. «Il paese è pieno di assassini». (la Repubblica, 21 luglio 2009)