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mercoledì 14 marzo 2018

“L’origine del male. Sul pensiero filosofico dell’ultimo Pareyson”. Una bella e stimolante recensione di AUGUSTO CAVADI




L’origine del male. Sul pensiero filosofico dell’ultimo Pareyson (La Zisa, Palermo 2016, pp. 112), di Giada Trapani, si presta almeno a tre prospettive di lettura. E’, infatti, prima di tutto, uno studio su Luigi Pareyson (1918-1991): e, da questa angolazione, ha il merito di evocare uno dei maggiori pensatori italiani del XX secolo, maestro di Umberto Eco e di Gianni Vattimo. Secondariamente è uno studio su una delle fonti principali della meditazione speculativa dello stesso Pareyson: il filosofo Friedrich Wilhelm Joseph Schelling ( 1775-1854), a sua volta uno dei maggiori pensatori del XIX secolo. Per quanto interessanti, queste prime due angolazioni riguardano direttamente la storia della filosofia e, dunque, intrigano molto di più gli specialisti della disciplina che il lettore “comune”. A quest’ultimo, invece, può interessare piuttosto la terza prospettiva da cui questo testo della Trapani si presta a essere letto: la domanda, inquietante e universale (cui si riferisce il titolo stesso della monografia), su “l’origine del male”. Ed è su quest’aspetto che mi propongo di dire qualcosa nel corso della presentazione del libro della Trapani previsto, in compagnia di Giampiero Tre Re, presso la Libreria del Mare (a Palermo, in via Cala 50) venerdì 16 marzo alle 17,30. Le cronache quotidiane, ma prima ancora la biografia di ciascuno di noi, sono sommerse da eventi dolorosi: bambini che nascono con gravi malformazioni genetiche, individui irresistibilmente attratti dal sadismo e dal masochismo, terremoti e uragani, conflitti tribali e guerre mondiali… Il quadro non si alleggerisce certo se lo sguardo si amplia sino a coinvolgere gli altri animali senzienti della Terra o le catastrofi cosmiche in milioni o forse miliardi di galassie. Di fronte a questi dati irrefutabili si registrano molte, diversissime, reazioni. Una prima reazione è il voltarsi dall’altra parte, il decidere di non farci caso. Di non pensarci, almeno sino a quando non veniamo visitati dal male nell’intimità della nostra casa. Pascal parlerebbe della strategia del divertissment. Pareyson accenna a qualcosa di simile quando parla di “nichilismo consolatorio, come forma di eudemonismo” che “va alla ricerca della felicità percorrendo una strada sollevata dal peso della pena e del dolore” (così la Trapani a p. 90). Un modo simile di non pensarci è di affidarsi a una Volontà superiore che chiamiamo talvolta Destino talvolta Dio : la “rassegnazione” pagana degli stoici o di molte correnti del cristianesimo (da alcuni passi evangelici al fideismo di circoli cattolici e protestanti contemporanei). Una terza reazione ha trovato in sant’Agostino il suo maestro e in Leibniz il suo esponente estremista: il male c’è, ma come risvolto inevitabile del bene. Agostino: Dio ha voluto creare un essere libero (e la libertà è un bene), ma l’uomo ha usato male la libertà (il peccato è appunto male morale) e, di conseguenza, ha sperimentato la sofferenza (il male fisico come effetto del male morale: l’anima si è ribellata a Dio, il corpo si è ribellato all’anima, l’universo si è ribellato al corpo). Tutta questa tragedia ha costituito la condizione di possibilità dell’incarnazione redentrice: “ O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere  redemptorem ! ”. Insomma, alla fin dei conti, un mondo con un Dio incarnato per riparare il peccato dell’uomo è un mondo migliore di un mondo senza peccato, senza sofferenze, ma anche senza Cristo. Leibniz va oltre: questo mondo, con i suoi chiaroscuri di bellezza e di bruttezza, non è solo migliore di un mondo senza libertà, ma – dal momento che Dio è sommamente buono e sommamente potente – è “il migliore dei mondi possibili” (l’autrice del saggio ne riferisce alle pp. 66 – 67). I tentativi di salvare onnipotenza e assoluta bontà divina non convincono l’ebreo Hans Jonas: dopo Auschwitz bisogna scegliere fra un Dio onnipotente ma non buono e un Dio buono ma non onnipotente. Siamo a una quarta, possibile, reazione davanti al tema del male nell’universo: Dio, per creare il mondo, si è ritratto (antica dottrina dello zim-zum), lasciando uno spazio alle creature. In quello spazio egli non ha più potestà: accetta il rischio che le cose vadano come devono andare, o come gli uomini vogliono che vadano, senza poter interferire attivamente. Sia i cristiani Agostino e Leinbiz sia l’ebreo Jonas cercano nella libertà umana la chiave di spiegazione dell’enigma costituito dal male: ma non è questo un orizzonte troppo antropocentrico? Soprattutto alla luce delle scoperte cosmologiche da Copernico all’astronomia contemporanea, come cercare in un esserino comparso pochi secondi fa la ragion d’essere di sconvolgimenti che hanno interessato l’universo da tempi immemori e, per non andare troppo lontano, gli animali del nostro pianetino (vedi dinosauri) ben prima della comparsa dell’homo sapiens (e, sia pur condizionatamente, liber)? E’ sulla base di simili considerazioni che pensatori come Schelling (e come Pareyson che a lui si rifà) ritengono inevitabile allargare enormemente il campo d’indagine e spingersi a cercare l’origine del male, del negativo, in Dio stesso (o comunque si voglia denominare il Fondamento primo e assoluto da cui scaturisce momento per momento tutto ciò che è): non accettano di “affermare che la sola libertà dell’uomo può sostenere l’intero peso del male che dilaga nell’universo”, convinti che una visuale solo etica “si rivelerebbe troppo ristretta per un affare così immane e sconvolgente” (p. 101). Il male si squaderna nell’universo non come un imprevisto – più o meno riparabile, più o meno provvidenziale – ma come espressione necessaria di una ferita originaria nel cuore stesso della Sorgente abissale di ogni ente. L’ipotesi interpretativa non è facile da sintetizzare perché si basa sull’intuizione vertiginosa che ci sia “Dio prima di Dio” (p. 103). Schelling infatti distingue, nella sfera del divino, la Persona di Dio da una più radicale, abissale, Natura divina che come un humus primordiale contenente di tutto, tanto di positività quanto di negatività: “La natura di Dio è il desiderio che prova Dio di generare se stesso, è il volere esistere di Dio. Ma il volere di Dio è privo di luce, di forma, di ordine: è il <<volere nel volere>>, è la bramosia cieca, il buio dell’irrazionale, il cupo mistero di Dio.[…] Dio esce dall’abisso per divenire Dio vivente, personale e conquista la sua personalità attraverso il suo movimento in cui si realizza la sua libertà.[…] Il principio  oscuro e il principio di luce in Dio sono inseparabili” (pp. 56 – 57). Insomma: “per Pareyson, come per Schelling, il male è nel mondo perché è già in Dio” (p. 58). Tutta questa teoria vorrebbe illuminare ciò che accade ogni giorno sotto i nostri occhi: “La vita, che è conflitto tra il bene e il male, rispecchia l’originaria lotta che è già nell’Assoluto, e la storia degli uomini che diventa strumento e fine della vittoria del positivo sul negativo riverbera l’affermazione che si è compiutamente realizzata eternamente in Dio, e attraverso la quale Dio si costruisce come persona che si fa” (p. 59). Se Dio stesso, in quanto “libertà originaria, ha avuto una profonda radicale esperienza del negativo al punto da averlo vinto e debellato per sempre, ciò significa che Dio stesso non è pensabile se non come contenente in sé il male per quanto questo si mostri già superato e vinto all’interno stesso della positività di Lui”; non è pensabile senza ammettere “una zona d’ombra nella positività originaria stessa” (p. 103). Ma se è inquinata la Sorgente, tutto il corso del ruscello ne risentirà: “Il dolore, l’insopprimibile tristezza umana, la malinconia di ogni vita, la sofferenza, la finitezza della condizione umana, il fatto ampiamente constatabile che il male è contemporaneamente nel cuore di ogni realtà vivente e dell’universo intero, secondo il nostro filosofo, hanno la loro radice proprio in questa zona d’ombra intrinseca alla positività stessa” (ivi). Non è questo il luogo opportuno per approfondire questa concezione del male, ma almeno un cenno lo si deve all’idea di Dio che essa comporta: un Dio pensato non più come pura Trascendenza, ma come Trascendenza-Immanenza; non monoteisticamente (né tanto meno teisticamente) , ma pan-en- teisticamente. Un’osservazione in margine. Queste opinioni su Dio differiscono molto dall’idea che di Dio mostrava di avere Gesù di Nazareth, almeno se ci basiamo sui vangeli (canonici ed extra-canonici). Tale differenza può mettere in crisi la fede (nell’accezione abituale del vocabolo) del credente “comune”? Dipende dalla nostra attrezzatura esegetica in campo biblico. Se siamo ancorati a una visione medievale di Gesù come Onnisciente, incaricato di rivelare le verità divine più segrete, quasi una sorta di cassaforte metafisica a disposizione dei teologi, apprendere che egli avesse una concezione di Dio altissima, ma imperfetta, può risultare sconvolgente. Se, invece, alla luce degli studi biblici degli ultimi due secoli, abbiamo riscoperto la vera umanità di Gesù, e dunque abbiamo capito che egli non era un esperto di tematiche speculative ma un maestro di vita, allora le indicazioni più tipicamente evangeliche (riguardanti l’impegno per una società improntata alla sobrietà, alla nonviolenza, alla solidarietà, alla fraternità e così via) resteranno valide, per nulla intaccate. Personalmente, insomma, ho molte riserve sulle teorie pareysoniane circa l’origine del male, ma non mi sognerei di dichiararle eretiche: vanno esaminate e discusse laicamente come laicamente va vagliata ogni teoria filosofica. Eretico, in questo campo, può essere chi viola l’ortoprassi più che l’ortodossia: chi conta di vivere al riparo della sofferenza, anche a costo di seppellirsi nel bunker del proprio privato per non vedere né ascoltare il dolore dell’universo.

(Siciliainformazioni.it, 13 marzo 2018)


giovedì 16 febbraio 2012

Vincenzo Di Maria insulta le Edizioni La Zisa, i Valdesi, Gianni Vattimo, gli omosessuali, gli ebrei ed elogia Hitler


Il “Segretario Generale del Partito del Socialismo Universale Vincenzo Di Maria” insulta le Edizioni La Zisa, i Valdesi, Gianni Vattimo, gli omosessuali, gli Ebrei, nega l'Olocausto ed elogia Hitler.


Non è la prima volta che la casa editrice La Zisa riceve messaggi di insulti o vere e proprie minacce per la propria attività. La nostra politica è stata sinora quella di ignorarli, salvo il caso in cui gli stessi fossero diretti ai nostri autori.

Ma oggi abbiamo deciso di rendere pubblica una e-mail molto inquietante. A scriverla è un certo “Segretario Generale del Partito del Socialismo Universale Vincenzo Di Maria” che attacca la casa editrice per il solo motivo di aver pubblicato il volume del defunto pastore protestante Teodoro Balma “Il popolo della Bibbia. Storia e martirio dei Valdesi”. E ciò proprio alla vigilia della festa che i Valdesi celebrano ogni anno il 17 febbraio in occasione dell’anniversario della concessione dei diritti civili nel 1848 agli stessi Valdesi e agli Ebrei.

Nel messaggio Di Maria se la prende anche con la Chiesa Valdese, ritenuta "un covo di frosci", con il nostro amico il prof. Gianni Vattimo, chiamato "Attimo", con gli omosessuali in generale e con gli ebrei. Dulcis in fundo, Di Maria nega i campi di concentramento ed elogia Adolf Hitler.

Di seguito il testo integrale del messaggio: “Tempi addietro scoprii che la religione Valdese fosse un covo di frosci. Ma tale scoperta non aveva il timbro dell'attendibilità al 100% per cui mi sono astenuto dal parlarne con gli amici eterosessuali al 100%. Oggi voi stessi mi avete dato la conferma e la prova provata che ciò che prima aveva l'attendibilità dell'80% era la verità di cui parla Giovanni 8,32. Avere citato Giovanni può sembrare che io possa essere cattolico, ebreo, o cristiano in genere. Niente di tutto questo: sono ateo-agnostico ammiratore di Hitler che mandava in campo di concentramento (non a morte come dice la propaganda ebraica dell'olocausto) gli omosessuali. La mia ostilità verso gli omosessuali muove da un discorso che esula dagli spazi dell'attuale contesto. La conferma di cui ho parlato dianzi nasce dalla propagandata mail del lavoro edito dalla Zisa e del quale mi avete dato notizia poco fa; e nel citato lavoro uno dei prefatori è Giovanni Attimo froscio dichiarato. Tale dichiarazione ha la sua radice da una trasmissione de "L'infedele" durante la quale Lerner accusò Il Vattimo di omosessualità, oltre a ciò in internet vi sono dichiarazioni pubbliche del Vattimo di sostegno ai frosci.

Firmato da: Prof. di matematica e fisica; Preside emerito vincitore di due concorsi con scritto ed orale; scrittore, sociologo,storico, Segretario Generale del Partito del Socialismo Universale Vincenzo Di Maria.”

Informiamo l'autore della missiva che provvederemo a sporgere denuncia presso l'autorità competente ed esprimiamo la nostra piena solidarietà e la nostra più affettuosa vicinanza verso tutti coloro che sono stati fatti oggetto degli insulti nel messaggio.

L’idea che ci sia ancora oggi qualcuno che - dopo lo sterminio di sei milioni di ebrei, morti nei campi di concentramento, negati da Di Maria, anche insieme a molti omosessuali – elogi il fondatore del nazionalsocialismo Adolf Hitler, ci inquieta e ci riempie di tristezza.

martedì 6 settembre 2011

“Quando la Chiesa scomunicò il Risorgimento” di Chiara Pane



“L’esempio più notevole che si trovi nella nostra storia del tentativo di far prevalere la concezione della sovranità dello Stato laico contro la ben radicata tradizione confessionale italiana”. Così Vittorio Gorresio sintetizza dalle pagine del suo libro, Risorgimento scomunicato (La Zisa, pp. 200, euro 16,90), l’azione portata avanti dai politici del Risorgimento, che, in un’Italia in odor di unità, promossero in maniera risoluta una legislazione d’impronta laica e liberale, in grado di togliere privilegi a una Chiesa fino ad allora intoccabile e lasciata libera di spadroneggiare indisturbata. Un’azione lenta ma coraggiosa, che ebbe il merito di modernizzare una nazione prigioniera di un clero reazionario e dalla vita facile, portandola in tal modo sullo stesso livello di altri stati europei senza per questo scristianizzarla. Il modenese Gorresio, preziosa penna di molte testate, tra cui Il Messaggero, Risorgimento liberale e La Stampa, annota i fatti analizzandoli da diverse prospettive e corredandoli d’innumerevoli aneddoti, documenti e carteggi, che conferiscono allo scritto una vivacità e un gusto del tutto godibili. Il volume, pubblicato per la prima volta nel 1958 dall’editore fiorentino Parenti, viene riproposto proprio mentre ricorrono i 150 anni dell’Unità d’Italia, impreziosito dalla puntuale prefazione di Gianni Vattimo.

L’analisi assume come punto di partenza il 1850, data in cui si dà inizio alla discussione della legge Siccardi nel quadro legislativo del Parlamento subalpino, in seguito esteso al Regno d’Italia. I legislatori proponenti miravano ad abolire il foro ecclesiastico, la manomorta, il diritto d’asilo e la possibilità per la Chiesa e gli enti ecclesiastici di acquisire la proprietà di beni immobili senza l’autorizzazione del governo. Inoltre, sempre in quel frangente, si avviava una discussione sulla necessità di regolare il contratto di matrimonio nelle sue relazioni con la legge civile. Fin qui i fatti, seguiti dai pareri, favorevoli o contrari, delle più autorevoli voci della politica dell’epoca: Vittorio Emanuele II in primis, Cavour, D’Azeglio, Balbo, Revel e così via. Immediata esordisce l’attività sovversiva e demonizzatrice che la Chiesa conduce contro la determinazione emancipatrice dello Stato. I documenti riportati da Gorresio testimoniano la presenza di un clero agguerrito, pronto a qualsiasi tipo di gesto eversivo e dinamitardo pur di difendere i privilegi e il potere che lo Stato s’era deciso a sottrargli. La rivalsa si serviva di tutti gli strumenti spirituali che il clero aveva a disposizione e il cui uso distorto e ricattatorio veniva promosso dall’alto, dallo scranno di San Pietro. Da un lato il clero si rifiutava di celebrare messe e festività arrivando a scomunicare a divinis e a sospendere quei preti che, invece, si dimostravano concilianti, dall’altro il governo processava, arrestava e confinava vescovi e cardinali. Ogni tentativo di trattativa era inconciliabile con le intenzioni delle due parti, cosicché il braccio di ferro divenne sempre più aspro.

Sebbene il clima fosse ogni giorno più acceso e ingestibile, il governo fronteggiò la Santa Sede con rigore e intransigenza, come afferma l’autore:

Appare perciò chiaro pur tra la serie degli errori e delle intemperanze, che una sola restava la strada da seguire da parte dei governi liberali: coraggio e audacia, spregiudicatezza portata fino al segno da poter essere confusa con la mancanza di scrupoli. In mancanza di simili espedienti l’unificazione dell’Italia, da compiersi a dispetto della Santa Sede e di un clero che si manifestò quasi sempre retrivo, non sarebbe mai stata realizzata. Fortuna che quel coraggio e quell’audacia non mancarono.

Uno degli aspetti più curiosi e interessanti dell’opera di Gorresio è proprio il racconto dettagliatamente documentato di tutte le azioni eversive portate avanti da un clero ribelle, che, malgrado numerosi tentativi di rappel à l’ordre da parte delle istituzioni, si dimostrò “di gran lunga più temibile che un esercito austriaco”. E così veniamo a sapere che l’arcivescovo Fransoni, ad esempio, si rifiutò di somministrare i sacramenti al morente ministro Pietro Derossi di Santarosa, uno dei fautori della legge per l’abolizione del foro ecclesiastico, poiché questi, in punto di morte, non aveva ritrattato il proprio operato e non s’era dimostrato pentito. Fransoni fu così denunciato per abusi e arrestato. Sempre a proposito di morti celebri, ecco i toni con cui il giornale Civiltà Cattolica riporta la notizia del decesso di Cavour, il 6 giugno del 1861: “Il Conte di Cavour è ora giudicato da Dio. Gli auguriamo di cuore che negli ultimi istanti di sua vita egli abbia impetrato da Dio nell’altro mondo un giudizio più degno di quello che in questo di lui darà la storia”. Non son certo parole che trasudano perdono o misericordia. La confisca dei beni toccò invece al clero napoletano, quando, compatto, si rifiutò di intervenire alla cerimonia in onore di re Vittorio Emanuele II che si recava a venerare S. Gennaro.

L’arma più grottesca che il clero decise di impugnare per aizzare lo scontro fu quello della “sacra jettatura”. A questo argomento Gorresio dedica un’ampia sezione, certamente la più pittoresca del testo. Si tratta di una pratica mediante la quale gli ecclesiastici dell’epoca interpretavano le punizioni divine contro i patrioti del Risorgimento. Accantonata la suggestione dei “miracoli provati” (ad esempio quello della Madonna che muove gli occhi), infatti, la Chiesa optò per uno strumento psicologicamente più sottile e dal grande potenziale terrorizzante, che seguiva il principio sibillino per cui “chi attacca la Chiesa finisce male”. Uno dei più noti profeti di sventure fu Don Bosco, proclamato beato nel 2002. Nel 1854, nei giorni in cui in Parlamento si presentava il disegno di legge per la soppressione dei conventi, Don Bosco scriveva al re raccontandogli dei brutti sogni che aveva fatto e che coinvolgevano la corte. Dopo qualche giorno morirono la regina madre e Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele, sicché la discussione venne interrotta per lutto. E per paura, probabilmente. Gli avvertimenti di malaugurio e l’interpretazione distorta non tardavano ad arrivare in nessuna occasione, si trattasse di guerre, malattie o catastrofi naturali. Persino il papa non disdegnava la pratica, tanto che arrivò a dichiarare preferibile la morte dei bambini piuttosto che la loro crescita in seno a un’educazione liberale.

È chiaro che questa corrosiva gara di maledizioni avesse un forte impatto sulla popolazione e sull’intellighenzia dell’epoca, come accortamente registra Gorresio: si costituì la “Società dei liberi pensatori” e, dopo poco, la “Società primaria per gli interessi cattolici”, preti e frati venivano insultati e percossi per le strade, ogni giorno in tutta Italia si mettevano in scena rappresentazioni teatrali che raccontavano vizi e nefandezze del clero. Lo stesso Garibaldi fu autore di alcune opere letterarie antiecclesiastiche e denigratorie del Papato: pensava, in questo modo, di contribuire alla causa della patria, come sostenne Carducci, “Garibaldi ha fatto tutto per l’Italia, anche i versi”.

L’attualità dell’opera di Gorresio risiede nell’aver risalito la corrente e aver analizzato a fondo le dinamiche di un periodo storico estremamente complesso, che ha prodotto, come scrive l’autore a inizio saggio, intere generazioni dannate e scomunicate. Una frase della prefazione di Vattimo basti a farci contestualizzare e capire la modernità di Risorgimento scomunicato: “Se la Chiesa si riduce, oggi, a una multinazionale di cui si può parlare esaurientemente in termini di potere, ciò è anche il risultato dell’uso – simoniaco, possiamo dire – che essa stessa ha fatto dei suoi strumenti spirituali.”

Il libro: Vittorio Gorresio, RISORGIMENTO SCOMUNICATO, Prefazione di Gianni Vattimo, pp. 200, euro 16,90 (ISBN 9788895709895)

Pubblicato la prima volta nel 1958 dall’editore fiorentino Parenti, Risorgimento scomunicato raccoglie gli scritti di Vittorio Gorresio per Il Mondo, una serie storica di articoli dal titolo Processo al clero dopoil ‘60. Storico appassionato, intransigente documentatore, Gorresio traccia una puntuale e puntigliosa ricostruzione delle origini dei contrastati rapporti tra Stato e Chiesa che resero tanto drammatico il Risorgimento. La descrizione dell’intransigentismo clericale rispetto alla progressiva laicizzazione dello Stato italiano ci è fornita dall’autore attraverso la meticolosa raccolta di missive tra membri del governo ed esponenti del clero, cui si aggiungono le dettagliate ricostruzioni degli episodi salienti e del profilo dei personaggi che di questo travagliato periodo storico si resero protagonisti. Vengono descritte, in sequenza, le vicende di una Chiesa, scomunicante e punitiva, addirittura iettatoria, di là dalla trasformazione che, negli anni a seguire, la renderà refrattaria, incapace di stare al passo con la storia, cioè con l’evoluzione della coscienza morale e politica dei cittadini laici.

Vittorio Gorresio, giornalista, scrittore e saggista nacque a Modena da famiglia piemontese il 18 luglio 1910. Inviato speciale e corrispondente di guerra per Il Messaggero di Roma, fu tra i più efficaci espositori del dramma del dopoguerra sulle colonne della testata Risorgimento Liberale, quotidiano diretto da Mario Pannunzio col quale collaborò anche per il settimanale politico Il Mondo. Firma prestigiosa anche de L’Europeo di Arrigo Benedetti, Gorresio scrisse una decina di saggi storici ottenendo importanti riconoscimenti giornalistici e premi. Nel 1980 l’autobiografia La vita ingenua gli valse il Premio Strega. Lavorò fino a poco prima della sua morte, nel 1982, curando la rubrica “Taccuino” per il quotidiano La Stampa.

Davide Romano - Resp. Ufficio stampa "Edizioni La Zisa"
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sabato 16 aprile 2011

In libreria: Vittorio Gorresio, “Risorgimento scomunicato”, Prefazione di Gianni Vattimo, Edizioni La Zisa, pp. 200, euro 16,90


Pubblicato la prima volta nel 1958 dall’editore fiorentino Parenti, “Risorgimento scomunicato” raccoglie gli scritti di Vittorio Gorresio per “Il Mondo”, una serie storica di articoli dal titolo “Processo al clero dopo il ‘60”. Storico appassionato, intransigente documentatore, Gorresio traccia una puntuale e puntigliosa ricostruzione delle origini dei contrastati rapporti tra Stato e Chiesa che resero tanto drammatico il Risorgimento. La descrizione dell’intransigentismo clericale rispetto alla progressiva laicizzazione dello Stato italiano ci è fornita dall’autore attraverso la meticolosa raccolta di missive tra membri del governo ed esponenti del clero, cui si aggiungono le dettagliate ricostruzioni degli episodi salienti e del profilo dei personaggi che di questo travagliato periodo storico si resero protagonisti. Vengono descritte, in sequenza, le vicende di una Chiesa, scomunicante e punitiva, addirittura iettatoria, di là dalla trasformazione che, negli anni a seguire, la renderà refrattaria, incapace di stare al passo con la storia, cioè con l’evoluzione della coscienza morale e politica dei cittadini laici. L’attualità del pensiero di Gorresio sta, infatti, tutta nella rilettura storica e cognitiva degli eventi che hanno prodotto il presente, come cita Gianni Vattimo nella sua prefazione: “Se la Chiesa si riduce oggi a una multinazionale […] ciò è anche il risultato dell’uso che essa stessa ha fatto dei suoi strumenti spirituali”.



Vittorio Gorresio, giornalista, scrittore e saggista nacque a Modena da famiglia piemontese il 18 luglio 1910. Inviato speciale e corrispondente di guerra per “Il Messaggero” di Roma, fu tra i più efficaci espositori del dramma del dopoguerra sulle colonne della testata “Risorgimento Liberale”, quotidiano diretto da Mario Pannunzio col quale collaborò anche per il settimanale politico “Il Mondo”. Firma prestigiosa anche de “L’Europeo” di Arrigo Benedetti, Gorresio scrisse una decina di saggi storici ottenendo importanti riconoscimenti giornalistici e premi. Nel 1980 l’autobiografia “La vita ingenua” gli valse il Premio Strega. Lavorò fino a poco prima della sua morte, nel 1982, curando la rubrica “Taccuino” per il quotidiano “La Stampa”.



Le Edizioni La Zisa aderiscono ad “Addiopizzo” e a “Libera” di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati “pizzo free”.

venerdì 11 marzo 2011

Ad aprile in libreria: Vittorio Gorresio, “Risorgimento scomunicato”, Prefazione di Gianni Vattimo, Edizioni La Zisa, pp. 200, euro 16,90


Pubblicato la prima volta nel 1958 dall’editore fiorentino Parenti, “Risorgimento scomunicato” raccoglie gli scritti di Vittorio Gorresio per “Il Mondo”, una serie storica di articoli dal titolo “Processo al clero dopo il ‘60”. Storico appassionato, intransigente documentatore, Gorresio traccia una puntuale e puntigliosa ricostruzione delle origini dei contrastati rapporti tra Stato e Chiesa che resero tanto drammatico il Risorgimento. La descrizione dell’intransigentismo clericale rispetto alla progressiva laicizzazione dello Stato italiano ci è fornita dall’autore attraverso la meticolosa raccolta di missive tra membri del governo ed esponenti del clero, cui si aggiungono le dettagliate ricostruzioni degli episodi salienti e del profilo dei personaggi che di questo travagliato periodo storico si resero protagonisti. Vengono descritte, in sequenza, le vicende di una Chiesa, scomunicante e punitiva, addirittura iettatoria, di là dalla trasformazione che, negli anni a seguire, la renderà refrattaria, incapace di stare al passo con la storia, cioè con l’evoluzione della coscienza morale e politica dei cittadini laici. L’attualità del pensiero di Gorresio sta, infatti, tutta nella rilettura storica e cognitiva degli eventi che hanno prodotto il presente, come cita Gianni Vattimo nella sua prefazione: “Se la Chiesa si riduce oggi a una multinazionale […] ciò è anche il risultato dell’uso che essa stessa ha fatto dei suoi strumenti spirituali”.

Vittorio Gorresio, giornalista, scrittore e saggista nacque a Modena da famiglia piemontese il 18 luglio 1910. Inviato speciale e corrispondente di guerra per “Il Messaggero” di Roma, fu tra i più efficaci espositori del dramma del dopoguerra sulle colonne della testata “Risorgimento Liberale”, quotidiano diretto da Mario Pannunzio col quale collaborò anche per il settimanale politico “Il Mondo”. Firma prestigiosa anche de “L’Europeo” di Arrigo Benedetti, Gorresio scrisse una decina di saggi storici ottenendo importanti riconoscimenti giornalistici e premi. Nel 1980 l’autobiografia “La vita ingenua” gli valse il Premio Strega. Lavorò fino a poco prima della sua morte, nel 1982, curando la rubrica “Taccuino” per il quotidiano “La Stampa”.

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