Appuntamento
giovedì 6 dicembre, alle ore 17, presso il salone della Chiesa Valdese di
Palermo (via dello Spezio 43 – dietro Teatro Politeama), a Palermo, per la
tavola rotonda da titolo “1963-1993. Da Pietro Valdo Panascia a Pino Puglisi,
le Chiese di fronte alle mafie”. Interverranno: Peter Ciaccio, pastore Chiesa
Valdese Palermo; Vincenzo Ceruso, Comunità
di Sant’Egidio Palermo; e Federica Raccuglia, giornalista e autrice del volume
“L’uomo del dialogo contro la mafia. La storia di padre Pino Puglisi”, Edizioni
La Zisa. Modererà: Davide Romano, giornalista e direttore
editoriale della casa editrice La Zisa. L’evento è organizzato dalla Edizioni
La Zisa e il Centro Evangelico di Cultura "Giacomo Bonelli".
«Il cristiano non può essere
mafioso». Nella loro quasi ovvia semplicità ed immediatezza queste parole
recentemente pronunziate nel ricordo di Padre Puglisi da Papa Francesco a
Palermo, sono state da più parti salutate come il segno di una nuova
consapevolezza ecclesiale di fronte alla mafia. Un cammino discontinuo e
piuttosto tortuoso, partito da territori di cristianità marginali ed esperienze
pastorali periferiche e di minoranza. Già nell’estate del 1963 infatti,
all’indomani della strage mafiosa di Ciaculli, il pastore valdese Pietro Valdo
Panascia con una clamorosa iniziativa si appellava «a quanti hanno la
responsabilità civile e religiosa del nostro popolo» per «la formazione di una
più elevata coscienza morale cristiana». La chiesa cattolica reagì invece con
una certa lentezza, con la lettera pastorale "Il vero volto della
Sicilia" dell’Arcivescovo di Palermo, il Card. Ruffini. Una risposta,
giudicata da molti insoddisfacente, ritardata dalla divergenza di vedute tra
Paolo VI e lo stesso Ruffini, il quale respingeva l’idea che la mentalità
mafiosa potesse in qualsiasi modo associarsi a quella religiosa.
Per trovare una nuova presa di
posizione della chiesa cattolica siciliana, con le celebri omelie del Card.
Pappalardo, bisognerà attendere l’epoca dei grandi delitti eccellenti, tra la
fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta del secolo scorso. La
disponibilità della chiesa siciliana postconciliare, offerta da Pappalardo, a
una cooperazione con lo Stato in vista del rinnovamento di una coscienza
comune, anche civica, per la legalità, fu definita da alcuni “la rivoluzione
degli onesti”: opporre «all’ingiustizia di molti la propria personale
giustizia».
Una stagione di durata
relativamente breve. Quando fu chiaro che il progetto di impegno della chiesa
contro il fenomeno mafioso passava per una riformulazione politica del sostegno
dell’episcopato nazionale al partito unico dei cattolici e la rimozione di
quelle connivenze tra mafia e poteri dello Stato non di rado garantite da
figure nominalmente cattoliche, si tornò alla vecchia difesa apologetica dallo
stereotipo mafioso in nome di un’astratta identità culturale cristiana
dell’uomo siciliano.
L’uccisione di Puglisi si
colloca così in un periodo di sostanziale latenza del tema nel dibattito
intraecclesiale. Il martirio del prete di borgata che seppe opporre al potere
mafioso prassi pastorali originali ed una visione rinnovata di
rievangelizzazione popolare del territorio, fu di poco preceduta dal famoso
“grido” contro la mafia col quale Giovanni Paolo II, ricorrendo ad un
linguaggio addirittura apocalittico, spostò bruscamente la sfida dal terreno
dell’analisi socio-politica e culturale a quello espressamente escatologico.
Oggi risulta chiaro che il
fenomeno mafioso, in quanto esplicitazione di un’antropologia aberrante, ha una
sua rilevanza morale e teologica. Non si può fare a meno di osservare,
tuttavia, che in un certo senso questa nuova coscienza collettiva giunge con
più di cinquanta anni di ritardo, al termine di un non lineare cammino di una
comunità ecclesiale che non ha ancora espresso compiutamente la propria
autocomprensione di fronte al carattere di strutturale contrarietà al Vangelo
del peccato di mafia.