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giovedì 27 gennaio 2011

FILIPPO GIUNTA: "LA FABBRICA DELLA DISOCCUPAZIONE"


La Repubblica (PALERMO, DOMENICA 23 GENNAIO 2011)

Il libraio
FILIPPO GIUNTA: "LA FABBRICA DELLA DISOCCUPAZIONE"

«Giosuè, dicci 'a poesia’» è lo sfotto che i compagni di lavoro fanno continuamente a Giosuè, il protagonista del monologo teatrale che Piero Macaluso ha pubblicato con La Zisa dal titolo "Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat" – dice Filippo Giunta della libreria Punto 52 di Termini – Macaluso riesce a farci ragionare sulla condizione del lavoro in fabbrica. Interessante la postfazione di Luigi Cavallaro, magistrato del lavoro, che insiste sul Diritto al lavoro e di come il progresso tecnologico finisce per creare operai super sfruttati accanto a una enorme massa di disoccupati».
a. f.

mercoledì 20 ottobre 2010

L'OPERAIO "Squillo" (PIERO MACALUSO, “Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat”, Edizioni La Zisa)


L'OPERAIO "Squillo" (PIERO MACALUSO, “Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat”, Edizioni La Zisa)

di GIULIO GIALLOMBARDO (la Repubblica, 17 ottobre 2010)

Sono tempi duri per chi lavora in fabbrica. Chi vi trascorre gran parte della propria vita, sa bene chi cosa parliamo. Sono proprio alcuni operai ad aver fornito la viva testimonianza della loro esperienza a Piero Macaluso, autore del monologo teatrale Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat, edito da La Zisa. Il regista- attore di Termini Imerese descrive con taglio quasi cinematografico la parabola proletaria di Giosuè Carducci, operaio segnato dalla
beffarda omonimia con l'illustre poeta. Nel protagonista dell'opera, vive, in effetti, un'anima lirica. Viene fuori nell'ingenuo candore con cui osserva il mondo: gli eventi scorrono passandogli accanto e lui ci si ritrova in mezzo quasi per caso, da spettatore inconsapevole.
La sua vicenda si svolge in quattro fasi che seguono un ideale e paradigmatico ordine cronologico. L'assunzione in Fiat è vissuta con l'entusiasmo di chi crede di entrare in una «fabbrica che non chiuderà mai». Poi arriva il lavoro vero, che si rivela duro, rischioso e sempre più opprimente. Segue, quindi, la lotta operaia, che giunge improvvisa e quasi per caso: «A Roma - dice Giosuè – era come stare dentro un lago blu». La storia del poeta-operaio, non può che concludersi col licenziamento, quarto ed ultimo inevitabile capitolo: ormai è il tempo dell’ "operaio squillo", ovvero «lavori quando ti pare, quando ti chiamano». Il monologo, che alterna siciliano ed italiano, è breve e forse un po' didascalico, ma, si sa, i testi teatrali si completano solo in scena.

PIERO MACALUSO, “Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat”, Edizioni La Zisa, Pagine 48, Euro 4,90

mercoledì 13 ottobre 2010

Chiamarsi Giosue Carducci e lavorare in Fiat: l’imprevedibile monologo di Piero Macaluso


da Panorama.it/libri

Chiamarsi Giosue Carducci e lavorare in Fiat: l’imprevedibile monologo di Piero Macaluso

Come dice il protagonista all’inizio del suo monologo, “chiamarsi Carducci, Giosue Carducci, come il poeta, è una bella responsabilità”. Se poi, con quel nome, lavori in Fiat, è chiaro che diventi il bersaglio per un facile sberleffo. Ed infatti, già al primo giorno di lavoro, un collega, sentendolo presentarsi, dice: “Compagni, ma in che cazzo di tempi viviamo se pure i poeti vanno a lavorare in fabbrica”.
Allora, forse, vale la pena di chiarire subito che questo Giosue Carducci non esiste. O meglio, esiste, ma solo nelle sguscianti pagine di un imprevedibile monologo teatrale da poco pubblicato per i tipi di una piccola casa editrice siciliana, La Zisa.
Si intitola Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat e lo firma Piero Macaluso, attore, regista e autore teatrale che per anni ha lavorato con Silvio Benedetto nel Teatro degli Appartamenti a Roma.
Questo Carducci, dunque, non esiste. Però esiste la sua storia, iniziata con le premure di “uno che conosceva un altro, che era parente di un tizio che andava a pescare con uno che ci aveva la parola”, passata per una tuta blu e per una serie interminabile di spostamenti, e finita con una cortese lettera di licenziamento (che alla fine, tanto cortese, a dire il vero non era).
Una storia rapida, scandita in quattro fasi, che non ha nessuna intenzione di imporre messaggi ma che, proprio grazie a questo, di spunti ne offre a bizzeffe.
Innanzitutto per il tema, quello del lavoro, e in particolare del lavoro in Fiat. E poi per il metodo. Scrive Valentina Sauro, nella prefazione, che nel monologo di Giosue le sue parole non si rivolgono a nessuno in particolare, ma sono “per lui lo strumento necessario per prendere coscienza della realtà, per esternare il suo dolore e il suo universo interiore”.
È vero, ma bisogna pure precisare che il pregio di Macaluso risiede in gran parte nel tratto, tanto denso nei contenuti quanto delicato nella scrittura.
Ad esergo del monologo, il suo autore cita Gaber, ricordando – come faceva una sua celebre canzone - che “qualcuno era comunista perché era convinto di avere dietro di sé la classe operaia”. A noi, il suo libretto, ne ricorda invece un’altra: “Tic”.
Anche quella si può ascoltare così, con divertimento, ma la si apprezza davvero solo con un pizzico di riflessione e di immaginazione. Sempre che se ne senta il bisogno, perché, come dice l’operaio Carducci, “per immaginare ci vuole la voglia e anche per quella ci vuole il tempo”.

(Filippo Maria Battaglia - Mercoledì 13 Ottobre 2010)
http://blog.panorama.it/libri/2010/10/13/chiamarsi-giosue-carducci-e-lavorare-in-fiat-l%E2%80%99imprevedibile-monologo-di-piero-macaluso/

martedì 27 luglio 2010

Piero Macaluso, Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat (monologo teatrale), Edizioni La Zisa




«“Ma che vuol dire diritto al lavoro?”, si chiede Carducci ad un’assemblea in cui si denunciano le nuove forme di sfruttamento operaio legate alla progressiva macchinizzazione del processo produttivo. Già, che significato ha parlare di un “diritto” a proposito di un’attività che gli fa venire il mal di testa ogni volta che torna a casa e che tutto il santo giorno gli fa sentire un fastidioso fischio all’orecchio sinistro? (…) L’operaio Carducci ha dunque ragione: nonostante i moderni metodi di produzione abbiano reso possibile la pace e la sicurezza per tutti, noi abbiamo preferito continuare a far lavorare le persone allo stesso modo, continuando a sprecare tanta energia quanta ne era necessaria prima dei progressi tecnologici. In questo modo abbiamo creato una situazione
per cui chi lavora continua a lavorare troppo, mentre troppe persone non conoscono altro che il precariato e la disoccupazione. Insomma, siamo stati davvero degli idioti, ma non c’è ragione alcuna per continuare ad esserlo». (Dalla Postfazione di Luigi Cavallaro)

Piero Macaluso ha studiato Tecnica del Linguaggio Audiovisivo. È attore, regista e autore di teatro. Vive e lavora a Termini Imerese (Pa).