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mercoledì 10 aprile 2024

Anniversario. Il genocidio del Ruanda non è stata solo una parentesi di follia

 

Da quel 6 aprile del 1994, in poche settimane si arrivò al culmine di decenni di cattive politiche e separazioni etniche. Tedeschi e belgi avevano preparato lo scenario, dividendo i ruandesi per tribù

Trent’anni. E sembra ieri. I machete che si alzavano per uccidere il vicino, le radio che incitavano all’odio, l’Occidente che si girava dall’altra parte, dopo aver contribuito a creare le premesse per il disastro. Ottocentomila morti in 100 giorni, nella stragrande maggioranza tutsi, per mano delle milizie hutu, il gruppo maggioritario del popolo ruandese. L’odio e l’orrore li abbiamo visti e raccontati in mille ricostruzioni, film, libri, testimonianze, un flusso di parole e immagini che hanno provato a descrivere come, da quel 6 aprile del ’94, in poche settimane si arrivò al culmine di decenni di cattive politiche e separazioni etniche. Gli europei – i tedeschi prima, i belgi dopo – avevano preparato lo scenario, introducendo negli anni Trenta le carte d’identità e dividendo i ruandesi per tribù: prima, in Ruanda, si consideravano tutti ruandesi.

Poi i colonizzatori favorirono la minoranza tutsi, considerandola superiore. Funzionò fino alla “rivoluzione hutu” dei primi anni Sessanta, primo soffio di quella ventata d’odio che sferzò il Ruanda fino al genocidio, a quello «schiacciare gli scarafaggi tutsi» di cui il mondo finse di accorgersi troppo tardi. La notte di quel 6 aprile l’aereo su cui viaggiava l’allora presidente ruandese Juvénal Habyarimana, un hutu, fu colpito con un missile terra-aria vicino all’aeroporto della capitale Kigali. Fu la scintilla che causò la successiva uccisione del 20% della popolazione ruandese e lo smembramento di famiglie, comunità, amicizie nel Paese dalle mille colline. Uno dei massacri più sanguinosi avvenne a Murambi: 50mila tutsi, abbandonati dalle truppe francesi, vennero massacrati in appena otto ore. Molti di loro si erano rifugiati in un centro di formazione. Sopravvissero appena in 34: oggi il memoriale che ricorda quell’eccidio è uno dei sei principali luoghi della memoria di quanto avvenne in quei giorni.

Gli assalti di massa finirono solo quando il Fronte patriottico ruandese, un’armata formata da tutsi e hutu moderati e guidata dall’attuale presidente Paul Kagame, riuscì a conquistare la capitale. Era metà luglio, le immagini delle file infinite dei teschi delle vittime del genocidio facevano il giro del mondo, mentre un milione di profughi hutu, ai quali si mischiarono le brutali milizie Interamwe, fuggiva nei Paesi vicini per paura di vendette. C’erano, evidentemente, troppe persone da processare e con ruoli diversi nel genocidio: ai tribunali locali si affiancarono nel tempo un Tribunale penale internazionale con sede ad Arusha, in Tanzania, e le corti tradizionali gacaca, che ebbero un ruolo anche di riconciliazione per le comunità, oltre che di giustizia per i sopravvissuti.

Trent’anni dopo, cosa ne è di quei fatti, che Paese è diventato il Ruanda, che ruolo ha nello scenario regionale? Kagame, 66 anni e solidi rapporti con l’Occidente, è ancora lì, vincitore di tre successive tornate di elezioni presidenziali con oltre il 95% dei voti. Il 15 luglio si vota di nuovo e non c’è dubbio alcuno sulla sua riconferma: corre da solo, o quasi. L’unico sfidante è Frank Habineza, del partito dei Verdi: nel 2017 ha avuto lo 0,45% dei consensi. Victoire Ingabire, unica esponente di spicco dell’opposizione, è stata bandita direttamente dai giudici. Non potrà candidarsi perché la magistratura ha respinto la sua richiesta di ottenere nuovamente i diritti civili di cui è stata privata dopo la contestata condanna di 11 anni fa a 15 anni di carcere, metà dei quali “abbonati” con una grazia. «Decisione politicizzata, i tribunali non sono indipendenti», il suo commento. Non potrà fare appello se non prima di due anni.

Se è difficile negare l’importante ruolo ricoperto da Kagame per la stabilità e lo sviluppo del Ruanda post-genocidio, da più parti sono arrivate negli anni al presidente ruandese accuse sul suo mancato rispetto dei diritti umani, della libertà dei media e dell’opposizione. I cambiamenti della Costituzione gli consentono di governare per altri due mandati quinquennali: difficile che Kagame ci rinunci. Negli anni il Ruanda è diventato da un lato uno dei Paesi più tecnologici del continente africano, e con indicatori in crescita su scuola e sanità, dall’altro si è assegnato il ruolo di “poliziotto d’Africa”, inviando suoi militari negli scenari di crisi diventando tra i principali fornitori di truppe per le missioni Onu. Il suo interventismo, dal Centrafrica al Mozambico, è stato spesso apprezzato, anche se qualche critica non è mancata.

Le accuse principali, però, riguardano il coinvolgimento ruandese nel Kivu, la regione orientale della Repubblica democratica del Congo ricca di risorse ma devastata dalle milizie armate. Il Ruanda è sospettato dal governo congolese di sostenere in particolare il gruppo M23. Proprio tramite il Ruanda verrebbero smerciati minerali di cui viene depredato l’Est del Congo. Tantalio, stagno, tungsteno, oro, litio, terre rare: anche l’Ue ha siglato a febbraio con Kigali un accordo sulla sostenibilità e tracciabilità di minerali strategici. Ma il Ruanda «ne è diventato grande esportatore solo grazie alle guerre che esso ha acceso a ripetizione nella Repubblica democratica del Congo a partire dal 1996, sempre attraverso interposti movimenti di copertura, che in questi anni prendono il nome di M23», hanno accusato ancora di recente otto enti tra cui Rete pace per il Congo. Lotta per le risorse e il potere, vittime, profughi: l’eterno passato che rischia di non passare mai, pur in altre forme, pur in altri modi.

(Fonte: Avvenire)

mercoledì 20 maggio 2020

Le Edizioni La Zisa sostengono la campagna dell’associazione Ibuka Italia per i sopravvissuti del genocidio






Le Edizioni la Zisa hanno deciso di sostenere la campagna lanciata in questi giorni dall’associazione Ibuka Italia per il sostegno ai sopravvissuti del genocidio. “Visto il nostro particolare legame con la comunità ruandese – scrive Davide Romano della casa editrice palermitana -, abbiamo deciso di accogliere e di rilanciare l’appello di Ibuka in questo particolare e difficile momento che, per la comunità ruandese, è però ancora più difficile. Siamo sicuri che i nostri amici sapranno rispondere con la solita generosità”.

“Questa campagna – si legge nel comunicato della organizzazione no profit - è lanciata dall’Associazione Ibuka Italia, che si occupa della memoria del Genocidio dei Tutsi del Rwanda e del sostegno ai sopravvissuti, insieme alle associazioni gemelle in Ruanda, in numerosi Paesi d’Europa e negli Stati Uniti. Proprio in queste settimane si commemora il Genocidio dei Tutsi del Ruanda, che nei cento giorni tra l’aprile e il luglio 1994 costò oltre un milione di morti. Per i sopravvissuti è un periodo di rinnovata angoscia e dolore. Ma a causa dell’emergenza coronavirus, quest’anno molti di loro, impossibilitati a provvedere al proprio fabbisogno, vedono la sopravvivenza nuovamente minacciata”.

“Come nella maggior parte dei Paesi del mondo – spiega -, anche in Ruanda è in vigore un lockdown. Le fonti di sostentamento si interrompono, le reti di solidarietà non riescono a funzionare a dovere. Non possono raggiungere i centri più piccoli, i villaggi. Nelle società più povere della nostra sono giorni molto difficili. In Ruanda i sopravvissuti non sono soli. Ma in questo periodo eccezionale sono spesso isolati e hanno bisogno di noi”.

“Non hanno bisogno di molto – conclude -: con 25 euro possiamo sostenere una famiglia di quattro persone per un mese. Qualunque donazione è gradita. Di seguito le coordinate bancarie per donare: Beneficiario: Ibuka Memoria e Giustizia; IBAN: IT54E0306909606100000149619 ; BIC: BCITITMM; Causale: Covid19.  Chi desidera una ricevuta ai fini fiscali, può contattare Ibuka Italia all'indirizzo e-mail ibuka.italia2015@gmail.com. Rimaniamo a disposizione per qualsiasi domanda in merito. Aiutateci anche condividendo questa campagna con i vostri amici”.

mercoledì 10 aprile 2019

Un libro per l’Africa, Le Edizioni La Zisa siglano accordo di partenariato con la onlus Inshuti Italia-Rwanda


Un libro per l’Africa per dare concretezza a uno slogan, vago quanto falso, che si sente spesso ripetere fin troppo frequentemente in questi tempi bui, anche da parte di alti ma non autorevoli esponenti delle istituzioni: “Aiutiamoli a casa loro!”.

Così le storiche Edizioni La Zisa di Palermo – trent’anni di battaglie in nome della legalità e contro ogni tipo di mafia, da quelle criminali a quelle burocratico-politiche – hanno deciso di siglare, in occasione del venticinquesimo anniversario del genocidio dei Tutsi in Ruanda, un milione di morti in appena tre mesi nel 1994, un accordo che prevede di destinare parte dei ricavi a una delle più attive e serie organizzazioni di volontariato che si prodigano in quell’angolo quasi dimenticato, dall’Occidente, di Mondo: la onlus Inshuti Italia-Rwanda.


Un privilegio e un onore – commentano dalla casa editrice – cercare di poter fare la propria parte per il sostegno dei progetti di sviluppo e di assistenza portati avanti da Inshuti. Apporremo su tutte le nostre pubblicazioni, pagina Facebook e blog, oltre che su tutto il nostro materiale promozionale, il logo e l’indirizzo web dell’associazione insieme all’informazione che parte del nostro fatturato va alla onlus. Ci auguriamo che molti altri editori facciano lo stesso perché, come amava ripetere don Pino Puglisi, ‘Se ognuno fa qualcosa si può fare molto'".

Inshuti Italia-Rwanda onlus è stata fondata nel 2007 da una donna coraggiosa, Grace Kantengwa, scappata dalla Guerra civile del Ruanda nel 1959. Dopo aver trascorso la sua gioventù in un campo profughi in Uganda, grazie all’aiuto di un missionario, è arrivata in Italia dove oggi vive con la sua famiglia e le sue due sorelle. Dalla sua esperienza è nata la volontà di aiutare il prossimo in difficoltà, in primis sostenere il suo poverissimo Paese dove non ha avuto il privilegio di crescere.

Inshuti è una organizzazione di volontariato costituita nel 2007 a Tradate, in provincia di Varese. L’Associazione INSHUTI Italia-Rwanda onlus è attiva in tre campi principali: il sostegno a distanza di bambini e bambine, ragazze e ragazzi; l’aiuto diretto delle persone senza occupazione e delle loro famiglie attraverso la promozione di corsi di formazione e di piccoli progetti di micro-credito; la realizzazione di progetti per rilanciare il sistema scolastico e l’istruzione.

L’associazione opera sul territorio italiano e ruandese, con la presenza costante di numerosi volontari e tutti i progetti sono realizzati e implementati da personale locale.

Inshuti Italia-Rwanda sostiene e promuove le popolazioni del EastAfrica:  Ruanda, Congo e Uganda.


www.inshuti.it – www.edizionilazisa.blogspot.com