Una volta, aprire una casa editrice in Italia era un
atto di coraggio, un impegno culturale. Oggi, l’idea di avviare un’attività
editoriale nel nostro Paese è un gesto di puro masochismo economico, una scelta
disperata in un contesto dove l’ignoranza regna sovrana e il valore della
cultura sembra essere stato dimenticato. I numeri non mentono: in Italia si
legge poco, si compra meno, e il futuro di un editore indipendente è appeso a
un filo, mentre i grandi gruppi monopolizzano il mercato.
I dati
sull’analfabetismo funzionale in Italia
Partiamo dal quadro generale: l'Italia è tristemente
famosa per essere uno dei Paesi con il più alto tasso di analfabetismo
funzionale in Europa. Secondo l’indagine dell’OCSE PIAAC (Programme
for the International Assessment of Adult Competencies) del 2022, il 47%
degli italiani tra i 16 e i 65 anni non è in grado di comprendere testi
complessi o risolvere problemi anche semplici. Questo significa che quasi la
metà della popolazione adulta è incapace di affrontare la lettura di un libro
senza grandi difficoltà. Un editore, in questo contesto, non solo deve
convincere le persone a comprare un libro, ma anche insegnare loro a leggerlo.
Quanti italiani
leggono? Un Paese che sta perdendo l’abitudine alla lettura
I numeri della lettura in Italia sono desolanti.
Secondo il rapporto dell’Associazione Italiana Editori (AIE), nel 2023
solo il 40,8% degli italiani sopra i sei anni ha letto almeno un libro
in un anno. Un dato che continua a calare. Un confronto con il passato mostra
il declino: negli anni ‘90, quasi il 60% degli italiani dichiarava di
leggere almeno un libro l’anno. Oggi, si scivola verso l’analfabetismo
culturale con una rapidità allarmante.
Perché la lettura è in crisi? Le risposte sono
molteplici, ma due fattori spiccano: il crescente utilizzo dei social media e
il ruolo sempre più marginale che la scuola italiana dedica alla promozione
della lettura. Oggi i giovani passano ore su TikTok e Instagram,
piattaforme che privilegiano l'immagine e il contenuto superficiale, riducendo
il tempo e la voglia di immergersi in un libro.
Il crollo delle
vendite di libri: un disastro per gli editori
Mentre le grandi piattaforme online prosperano, le vendite
di libri in Italia hanno subito un crollo vertiginoso. Nonostante i dati del
2023 mostrino una leggera ripresa rispetto alla crisi pandemica, il settore
editoriale ha visto ridursi di quasi il 25% in termini di vendite negli
ultimi dieci anni. Il fatturato del settore librario, che nel 2022 era di 3,5
miliardi di euro, è ben lontano dai picchi di inizio anni 2000. Il calo
delle vendite di libri fisici nelle librerie è stato compensato in parte
dall’aumento delle vendite online, che rappresentano ormai il 40% del
mercato.
Questi numeri raccontano un problema strutturale: il
pubblico che legge è sempre più ristretto, e il mercato è dominato da pochi
bestseller, spesso opere di scarsa qualità letteraria, mentre i titoli di
ricerca o di nicchia faticano a sopravvivere.
Un mercato dominato
dai grandi gruppi: l’impossibilità di fare concorrenza
Il sogno di fondare una piccola casa editrice
indipendente è minato dal monopolio di pochi grandi gruppi editoriali. Mondadori,
GeMS e Feltrinelli detengono oltre il 50% del mercato
editoriale, lasciando le briciole ai piccoli editori. Mondadori da sola
controlla circa 27% delle vendite, grazie a un portafoglio che include
nomi come Einaudi, Piemme, Sperling & Kupfer e Bompiani.
Le concentrazioni editoriali non solo dominano il
mercato, ma controllano anche la distribuzione, monopolizzando l’accesso alle
librerie e alle catene di vendita. Messaggerie Italiane, il più grande
distributore italiano, lavora principalmente con i grandi editori, mentre i
piccoli sono spesso costretti a affidarsi a distributori minori che non
garantiscono né visibilità né distribuzione capillare.
La crisi delle
librerie: la sparizione dei punti di vendita
Se l’analfabetismo funzionale e la concentrazione del
mercato non fossero abbastanza, gli editori indipendenti devono fare i conti
con la chiusura delle librerie. Negli ultimi dieci anni, oltre 1.500
librerie hanno chiuso in Italia, e il numero continua a calare. Le piccole
librerie indipendenti sono soffocate dalla concorrenza delle grandi catene e
soprattutto dalla vendita online, dominata da Amazon.
Amazon rappresenta oggi il 40% delle vendite di
libri in Italia, un colosso che non solo offre sconti aggressivi, ma può
spedire qualsiasi titolo direttamente a casa in meno di 24 ore. Questo ha
ridotto drasticamente la clientela delle librerie, soprattutto quelle situate
in piccoli centri, che spesso sopravvivono grazie a incentivi pubblici o a
progetti di rilancio locali. Aprire una casa editrice senza un’ampia rete di
distribuzione e un supporto forte sul territorio è, oggi, una missione suicida.
Costi crescenti e
margini ridotti: un settore in cui non si guadagna
Fondare una casa editrice richiede un investimento
considerevole, e i ritorni economici sono sempre più risicati. Tra i costi di
produzione, distribuzione, promozione e sconti forzati, il margine di guadagno
per un editore indipendente è esiguo.
- Costi di stampa: Un
editore deve affrontare costi di stampa che variano tra 1,50 e 5 euro
a copia, a seconda della tiratura e della qualità del prodotto.
- Distribuzione: I
distributori prendono una fetta che oscilla tra il 55% e il 60% del
prezzo di copertina.
- Sconti: La legge
Levi limita gli sconti al 5%, ma le grandi catene e Amazon
aggirano questo limite con promozioni sugli accessori e abbonamenti. Il
piccolo editore non ha i mezzi per sostenere queste politiche aggressive.
Alla fine, per ogni libro venduto, un piccolo editore
può trattenere una cifra tra 1 e 2 euro. In un mercato dove i libri si
vendono sempre meno, queste cifre non permettono nemmeno di coprire le spese di
base.
Conclusioni: Un Paese
che rinnega la cultura
Perché non vale più la pena aprire una casa editrice
in Italia? Perché questo è un Paese di ignoranti. Si legge sempre meno, si
investe sempre meno nella cultura e si lascia che pochi grandi gruppi
monopolizzino il mercato. Il risultato? Un impoverimento culturale
generalizzato, dove l’editoria indipendente è destinata a morire.
I numeri parlano chiaro: l’Italia non è un Paese per editori.
E chi osa provarci, rischia di scontrarsi con una realtà economica e sociale
che uccide ogni aspirazione culturale sul nascere. Montanelli avrebbe detto che
l’Italia non è un Paese per eroi. Oggi, possiamo dire che non è nemmeno un
Paese per editori.
(Davide Romano)