Visualizzazione post con etichetta crisi editoria. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta crisi editoria. Mostra tutti i post

domenica 20 ottobre 2024

Farsi del male: aprire una casa editrice nel Paese degli scrittori che non leggono

 


Una volta, aprire una casa editrice in Italia era un atto di coraggio, un impegno culturale. Oggi, l’idea di avviare un’attività editoriale nel nostro Paese è un gesto di puro masochismo economico, una scelta disperata in un contesto dove l’ignoranza regna sovrana e il valore della cultura sembra essere stato dimenticato. I numeri non mentono: in Italia si legge poco, si compra meno, e il futuro di un editore indipendente è appeso a un filo, mentre i grandi gruppi monopolizzano il mercato.

 

I dati sull’analfabetismo funzionale in Italia

Partiamo dal quadro generale: l'Italia è tristemente famosa per essere uno dei Paesi con il più alto tasso di analfabetismo funzionale in Europa. Secondo l’indagine dell’OCSE PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) del 2022, il 47% degli italiani tra i 16 e i 65 anni non è in grado di comprendere testi complessi o risolvere problemi anche semplici. Questo significa che quasi la metà della popolazione adulta è incapace di affrontare la lettura di un libro senza grandi difficoltà. Un editore, in questo contesto, non solo deve convincere le persone a comprare un libro, ma anche insegnare loro a leggerlo.

 

Quanti italiani leggono? Un Paese che sta perdendo l’abitudine alla lettura

I numeri della lettura in Italia sono desolanti. Secondo il rapporto dell’Associazione Italiana Editori (AIE), nel 2023 solo il 40,8% degli italiani sopra i sei anni ha letto almeno un libro in un anno. Un dato che continua a calare. Un confronto con il passato mostra il declino: negli anni ‘90, quasi il 60% degli italiani dichiarava di leggere almeno un libro l’anno. Oggi, si scivola verso l’analfabetismo culturale con una rapidità allarmante.

Perché la lettura è in crisi? Le risposte sono molteplici, ma due fattori spiccano: il crescente utilizzo dei social media e il ruolo sempre più marginale che la scuola italiana dedica alla promozione della lettura. Oggi i giovani passano ore su TikTok e Instagram, piattaforme che privilegiano l'immagine e il contenuto superficiale, riducendo il tempo e la voglia di immergersi in un libro.

 

Il crollo delle vendite di libri: un disastro per gli editori

Mentre le grandi piattaforme online prosperano, le vendite di libri in Italia hanno subito un crollo vertiginoso. Nonostante i dati del 2023 mostrino una leggera ripresa rispetto alla crisi pandemica, il settore editoriale ha visto ridursi di quasi il 25% in termini di vendite negli ultimi dieci anni. Il fatturato del settore librario, che nel 2022 era di 3,5 miliardi di euro, è ben lontano dai picchi di inizio anni 2000. Il calo delle vendite di libri fisici nelle librerie è stato compensato in parte dall’aumento delle vendite online, che rappresentano ormai il 40% del mercato.

Questi numeri raccontano un problema strutturale: il pubblico che legge è sempre più ristretto, e il mercato è dominato da pochi bestseller, spesso opere di scarsa qualità letteraria, mentre i titoli di ricerca o di nicchia faticano a sopravvivere.

 

Un mercato dominato dai grandi gruppi: l’impossibilità di fare concorrenza

Il sogno di fondare una piccola casa editrice indipendente è minato dal monopolio di pochi grandi gruppi editoriali. Mondadori, GeMS e Feltrinelli detengono oltre il 50% del mercato editoriale, lasciando le briciole ai piccoli editori. Mondadori da sola controlla circa 27% delle vendite, grazie a un portafoglio che include nomi come Einaudi, Piemme, Sperling & Kupfer e Bompiani.

Le concentrazioni editoriali non solo dominano il mercato, ma controllano anche la distribuzione, monopolizzando l’accesso alle librerie e alle catene di vendita. Messaggerie Italiane, il più grande distributore italiano, lavora principalmente con i grandi editori, mentre i piccoli sono spesso costretti a affidarsi a distributori minori che non garantiscono né visibilità né distribuzione capillare.

 

La crisi delle librerie: la sparizione dei punti di vendita

Se l’analfabetismo funzionale e la concentrazione del mercato non fossero abbastanza, gli editori indipendenti devono fare i conti con la chiusura delle librerie. Negli ultimi dieci anni, oltre 1.500 librerie hanno chiuso in Italia, e il numero continua a calare. Le piccole librerie indipendenti sono soffocate dalla concorrenza delle grandi catene e soprattutto dalla vendita online, dominata da Amazon.

 

Amazon rappresenta oggi il 40% delle vendite di libri in Italia, un colosso che non solo offre sconti aggressivi, ma può spedire qualsiasi titolo direttamente a casa in meno di 24 ore. Questo ha ridotto drasticamente la clientela delle librerie, soprattutto quelle situate in piccoli centri, che spesso sopravvivono grazie a incentivi pubblici o a progetti di rilancio locali. Aprire una casa editrice senza un’ampia rete di distribuzione e un supporto forte sul territorio è, oggi, una missione suicida.

 

Costi crescenti e margini ridotti: un settore in cui non si guadagna

Fondare una casa editrice richiede un investimento considerevole, e i ritorni economici sono sempre più risicati. Tra i costi di produzione, distribuzione, promozione e sconti forzati, il margine di guadagno per un editore indipendente è esiguo.

  • Costi di stampa: Un editore deve affrontare costi di stampa che variano tra 1,50 e 5 euro a copia, a seconda della tiratura e della qualità del prodotto.
  • Distribuzione: I distributori prendono una fetta che oscilla tra il 55% e il 60% del prezzo di copertina.
  • Sconti: La legge Levi limita gli sconti al 5%, ma le grandi catene e Amazon aggirano questo limite con promozioni sugli accessori e abbonamenti. Il piccolo editore non ha i mezzi per sostenere queste politiche aggressive.

Alla fine, per ogni libro venduto, un piccolo editore può trattenere una cifra tra 1 e 2 euro. In un mercato dove i libri si vendono sempre meno, queste cifre non permettono nemmeno di coprire le spese di base.

 

Conclusioni: Un Paese che rinnega la cultura

Perché non vale più la pena aprire una casa editrice in Italia? Perché questo è un Paese di ignoranti. Si legge sempre meno, si investe sempre meno nella cultura e si lascia che pochi grandi gruppi monopolizzino il mercato. Il risultato? Un impoverimento culturale generalizzato, dove l’editoria indipendente è destinata a morire.

I numeri parlano chiaro: l’Italia non è un Paese per editori. E chi osa provarci, rischia di scontrarsi con una realtà economica e sociale che uccide ogni aspirazione culturale sul nascere. Montanelli avrebbe detto che l’Italia non è un Paese per eroi. Oggi, possiamo dire che non è nemmeno un Paese per editori.

(Davide Romano)

lunedì 16 settembre 2024

“Gli italiani? Leggono sempre meno” di Davide Romano, giornalista

 


 

L’Italia, si sa, è un paese di santi, poeti e navigatori. Ma, ahimè, non di lettori. Non c'è bisogno di sfogliare troppi giornali o consultare le statistiche per comprendere una realtà amaramente evidente: gli italiani non leggono. Gli ultimi dati ISTAT parlano chiaro: meno di un italiano su due ha letto almeno un libro nell'ultimo anno. Un dramma culturale, come lo definirebbe Umberto Eco, uno dei pochi intellettuali italiani a difendere con vigore la lettura in un Paese che, paradossalmente, ha prodotto alcuni dei più grandi scrittori e poeti del mondo.

Per capire questa triste verità, basti guardare ai dati forniti da Associazione Italiana Editori (AIE): nel 2023, circa il 40% degli italiani dichiarava di non leggere mai libri. E non parliamo solo di alta letteratura, ma nemmeno un romanzo leggero o un saggio divulgativo. Perfino Antonio Gramsci, nelle sue Lettere dal carcere, lamentava questa tendenza all’apatia culturale, sottolineando quanto fosse fondamentale "formare una coscienza critica". E la lettura, si sa, è lo strumento principe per questo.

 

Il pensiero di scrittori e intellettuali

Cesare Pavese, in una delle sue riflessioni più amare, scriveva: "Un paese che non legge è un paese senza futuro". Pavese, che non solo scriveva romanzi ma li viveva, vedeva nella lettura una forma di resistenza al conformismo culturale. E aveva ragione. Ma la realtà italiana sembra smentire le sue parole: mentre in Francia o in Germania le librerie sono un'istituzione, in Italia chiudono a ritmo allarmante. Montanelli stesso, con il suo stile corrosivo, denunciava già nel secolo scorso una "mediocrità culturale di fondo" nel nostro Paese, sostenendo che “un popolo che non legge è più facile da governare”.

Non sorprende che Norberto Bobbio, filosofo di grande finezza intellettuale, abbia indicato la scarsa lettura come una delle cause della debolezza della democrazia in Italia. Per Bobbio, la mancanza di dibattito e riflessione, che solo i libri possono stimolare, rendeva i cittadini più vulnerabili alla manipolazione politica. Non c'è da stupirsi, dunque, se oggi, in una società dominata dai social media e dalle notizie frammentarie, i lettori critici siano diventati una rara specie in via d'estinzione.

 

La crisi dell'editoria e il declino delle librerie

Siamo nel Paese di Dante, Petrarca e Boccaccio, ma anche in quello in cui, secondo i dati dell’AIE, il 59% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non legge alcun libro. Questa è forse la statistica più allarmante, perché indica non solo una crisi presente, ma soprattutto un futuro culturale sempre più arido. Italo Calvino, nei suoi saggi, parlava della lettura come di "un atto di liberazione", qualcosa che ci permette di vivere altre vite, esplorare mondi sconosciuti, ma anche confrontarci con le contraddizioni della nostra stessa esistenza. Cosa ne sarà di una generazione che preferisce scrollare su TikTok invece di sfogliare le pagine di un libro?

Se poi guardiamo al panorama editoriale, la situazione non è meno desolante. Giulio Einaudi, il grande editore, lamentava già decenni fa che in Italia i libri di qualità faticavano a trovare lettori. Oggi, con la concorrenza delle piattaforme di streaming, dei videogiochi e dei social, la battaglia è ancora più dura. Nel 2022, il mercato editoriale italiano ha registrato un calo delle vendite del 6%, con una chiusura di oltre 700 librerie indipendenti. Un deserto culturale, come lo definirebbe Pier Paolo Pasolini, che in uno dei suoi ultimi interventi pubblici disse: "La cultura è sempre più un privilegio di pochi, un lusso che il popolo non può più permettersi".

 

Lettori: una razza in estinzione?

Viene spontaneo chiedersi: cosa ci aspetta? In un mondo sempre più frenetico e dominato da stimoli immediati, ha ancora senso parlare di lettura? Sì, se pensiamo che la lettura non è solo un piacere intellettuale, ma una necessità per la nostra stessa umanità. Tullio De Mauro, uno dei più grandi linguisti italiani, sottolineava come la lettura fosse un potente strumento di emancipazione personale e sociale. Non leggere, al contrario, significa rinunciare a una parte essenziale di sé, rinchiudersi in una bolla di superficialità che ci rende meno liberi.

E allora, per concludere con una riflessione di Montaigne, "chi non legge non solo ignora le parole, ma le idee". Forse è proprio questo il nodo del problema: l'Italia, Paese di grande cultura, è diventata una nazione di non lettori. E finché non si risolverà questa frattura tra la nostra tradizione culturale e la realtà contemporanea, il nostro futuro, come ammoniva Pavese, sarà irrimediabilmente compromesso.