Questa opera inedita di
Girolamo Li Causi, terminata nel 1974, e non più rivista dall’Autore, è una
lunga riflessione critica, ed autocritica, sull’attività svolta dal PCI e dalle
classi dirigenti siciliane, negli anni della ricostruzione post-bellica, dai
mesi immediatamente successivi allo sbarco delle truppe anglo-americane sino
alla formazione dei governi Milazzo. Un arco di tempo lungo un quindicennio,
durante il quale Li Causi assolse anche l’incarico di segretario regionale del
partito. Da questo suo osservatorio privilegiato emerge il ritratto vivo e
spesso pungente di uomini e vicende che hanno segnato la storia passata e
presente dell’Isola.
GIROLAMO LI CAUSI (Termini
Imerese 1906 - Roma 1977) è stato uno dei massimi dirigenti nazionali del
Partito comunista italiano, al quale aderì giovanissimo poco dopo la sua
fondazione. Parlamentare per diverse legislature, è stato per alcuni anni vice
presidente della Commissione nazionale antimafia. Collaboratore e direttore di
numerosi periodici, ha pubblicato: Il lungo cammino. Autobiografia 1906-1944,
Roma, Editori Riuniti, 1974.
DAVIDE ROMANO, giornalista. Da
sempre attivo nel mondo del volontariato e appassionato di studi religiosi,
lavora da molti anni nell’ambito della comunicazione politica, culturale,
religiosa e sindacale. Ha scritto e scrive per numerose testate ed è stato
anche fondatore e direttore responsabile del bimestrale di economia, politica e
cultura “Nuovo Mezzogiorno” e del mensile della “Funzione Pubblica Cgil Sicilia
Forum 98”. Ha pubblicato, tra l’altro: “L'amore
maldestro”, Palermo 2001; “La linea d’orizzonte tra carne e Cielo”, Prefazione
di Paolo Scrima, Palermo 2003; “La buriana e altri racconti”, Prefazione di
Maurizio Rizza, Palermo 2003; “Nella città opulenta. Microstorie di vita
quotidiana”, Prefazione di Diego Novelli, Palermo 2003, 2004; “L’anima in
tasca”, Prefazione di Antonio Riolo, Palermo 2004; “Piccola guida ai monasteri
e ai conventi di Sicilia”, Palermo 2004; “Il santo mendicante. Vita di Giuseppe
Benedetto Labre”, Palermo 2005; “25 e non li dimostra. Storia della Funzione
pubblica Cgil-Sicilia”, Palermo 2005; “Dicono di noi. Il Belpaese nella stampa
estera”, Presentazione di Rosalinda Camarda, Prefazione di Pino Apprendi,
Palermo 2005; “La pagliuzza e la trave. Indagine sul cattolicesimo
contemporaneo”, Presentazione di Marcelle Padovani, Prefazione di Anna La Rosa,
Con un contributo di don Vitaliano della Sala, Palermo 2007; “A mio padre con
rabbia” in Aa. Vv., “Specchio poetico. Raccolte in dialogo”, Sant’Arcangelo di
Romagna (Rn) 2008; “Bagnarsi di sole, nutrirsi d’arte. L’Italia vista dai
russi”, Palermo 2010, 2015; (con Fabio Bonasera) “Inganno padano. La vera
storia della Lega Nord”, Prefazione di Furio Colombo, Palermo 2010, 2011; “Uno
spettro s'avanza. Globalizzazione, mafie, diritti e nuova cittadinanza”,
Presentazione di Paolo Ferrero, Prefazione di Daniele Gallo, Palermo 2011,
2013. Ha curato, fra gli altri, i seguenti volumi: Ines De Benedetti, “Poesia
nascosta. Le ricette della cucina tradizionale ebraica italiana”, Palermo 2013,
2015, 2017; Tatiana Kalinina, "Non solo caviale. Le ricette della cucina
tradizionale russa”; Lev Tolstoj, “Riflessioni di un vegetariano”, Palermo
2017; Lev Tolstoj, “Vita di Gesù e altri scritti”, Palermo 2017.
Ha fondato la comunità
informale di cristiani La Compagnia del Vangelo per il servizio degli ultimi.
lacompagniadelvangelo.blogspot.com
La
prefazione di Oliviero Diliberto
Gli anni raccontati da Girolamo
Li Causi in questo straordinario libro sono quelli decisivi della Repubblica
italiana, quelli che l’hanno indelebilmente segnata, ne hanno condizionato il
futuro sviluppo: anni che pesano ancor oggi. Dal 1944 al 1960, accade infatti
praticamente tutto. La fine della guerra e la vittoria sul nazi-fascismo; la formazione
dei primi governi democratici di unità nazionale e la successiva esclusione
delle sinistre da essi; l’Assemblea Costituente e la nascita della
Costituzione; l’attentato a Togliatti; la sconfitta delle sinistre nel ’48 e il
centrismo; l’avanzata del Pci e delle sinistre a prezzo di lotte, politiche e
sociali, grandi e terribili; le conseguenti repressioni di Scelba; la
legge-truffa, e poi ancora la crisi del centrismo, le prime avvisaglie del
nascente centro-sinistra, e infine la formazione dei governi Milazzo alla
Assemblea regionale siciliana, resa possibile da una spaccatura all’interno
della Democrazia cristiana, e la conseguente estromissione temporanea di questo
partito dalle leve del potere.
In questi primi anni si coglie
soprattutto la fine di una stagione di speranze aperta dalla Resistenza, la
constatazione che la classe dirigente sceglie allora di non rompere decisamente
con il passato, di non voltare pagina – anche e soprattutto per via del
contesto internazionale, il mondo diviso in due blocchi, la guerra fredda degli
anni più cupi –, in un continuiamo deteriore tra passato e presente, tra
apparati dello Stato gravemente collusi con il regime fascista e riciclati, a
vario titolo, in quelli della nuova Repubblica. I nemici di ieri diventano
“utili” in quel momento per contrastare i nuovi nemici, i comunisti: e certo
non solo in Italia. Le conseguenze di quelle scelte sciagurate, in Sicilia come
nel resto del Paese, le paghiamo ancor oggi.
Li Causi racconta tutto ciò da
un’ottica particolare, ma decisiva: la Sicilia del dopoguerra. L’autore narra,
da protagonista, la battaglia contro la mafia, la connessione tra Stato,
malavita organizzata, economia forte, le incursioni dei servizi americani.
Oggi, tutto ciò ci appare più evidente. Sono emersi documenti, testimonianze, i
fatti si delineano nella loro gravità e complessità: ma in Li Causi – attore
protagonista tra i più importanti del periodo, a livello siciliano e nazionale
– l’analisi è sin da quegli anni di una lucidità che oggi appare straordinariamente
lungimirante. Aveva già chiaro tutto. E lo diceva.
L’autore – è quasi superfluo
dirlo, ma forse non è inutile sottolinearlo in questi tempi di perdita
colpevole di memoria – è stato personaggio leggendario. Incarcerato nel 1928
dopo la condanna a 20 anni di reclusione comminata dal tribunale speciale del
fascismo, liberato nel ’43, è subito tra i capi della Resistenza nel Nord
Italia, poi dirige il partito e le lotte per l’occupazione delle terre (e non
solo) in Sicilia, è autorevole parlamentare e membro della direzione nazionale
del Pci.
Popolarissimo e amatissimo tra
le masse, Li Causi è l’alfiere della lotta contro la mafia, quando in certi
ambienti politici (e giornalistici) essa non si poteva neppure nominare,
negandosi addirittura la sua esistenza. Li Causi accusava apertamente di
connivenza con la mafia i vertici dei partiti di governo in Sicilia, ad
iniziare ovviamente dalla Dc, parlava delle collusioni con Cosa Nostra: lo
faceva quando pochissimi, isolatamente, osavano farlo. Le prove giudiziarie
sono venute a galla solo nei processi più recenti. Ma quelle politiche erano
già allora di fronte agli occhi di chi voleva vederle. Li Causi univa dunque la
capacità, straordinaria, di conoscenza e di analisi, ad un eccezionale
coraggio.
Emerge a tutto tondo la figura
di Li Causi comunista. Ma anche di Li Causi siciliano. Di quella Sicilia che ha
dato straordinarie figure di dirigenti, nel corso dei decenni, al Pci
nazionale, ma che ha visto protagonisti anche migliaia di donne e uomini meno
noti o sconosciuti, militanti e dirigenti locali, politici e sindacalisti, che
hanno dedicato al riscatto della propria Isola tutta la loro vita, non di rado
mettendola concretamente a repentaglio e talvolta perdendola, proprio in nome e
per via delle battaglie antimafia. Un nome per tutti: Pio La Torre.
Guttuso – altro siciliano
illustre – amava ripetere, con la civetteria dei siciliani colti e cosmopoliti,
che anche quando dipingeva una mela, c’era dentro la Sicilia. Se la portava
dietro ovunque fosse e qualunque cosa facesse. Saudade isolana, ma anche coscienza
della propria identità forte, delle radici che non si recidono, di valori che
urlano dentro di sé. Ed è proprio in Sicilia che Li Causi matura alcune delle
sue convinzioni più profonde, ad iniziare dall’adesione senza tentennamenti, e
da subito, alla svolta togliattiana del ’44, la nascita del partito nuovo,
capace di unire sempre la protesta alla proposta, l’identità e le alleanze. Li
Causi è sempre attento all’unità delle masse, mai velleitario, nemico giurato
del massimalismo. Egli crede e si batte per un partito che aderisse pienamente
ai valori e ai principi della nuova Costituzione, scegliendo di tenere uniti
democrazia e socialismo.
Li Causi fu dirigente comunista
di prima grandezza. Pieno di umanità e partecipazione personale ai drammi del sottosviluppo,
della povertà, dell’emarginazione sociale. In lui, nelle sue pagine, si avverte
come prioritaria gli appaia la lotta contro le ingiustizie, i soprusi, le
prepotenze dei potenti contro gli umili: Manzoni avrebbe detto le soperchierie.
Passione politica, dunque, unita sempre alla tensione morale. Ma dal libro si
chiarisce anche che nei comunisti siciliani la battaglia per la legalità e
quella per il riscatto sociale non siano mai astrattamente scisse, anzi esse
appaiono indissolubili tra loro: pena la sconfitta su entrambi i terreni.
Un esempio, dunque, ancora oggi
vivissimo. Queste riflessioni politiche inedite, che commentano e si incrociano
con alcuni passi significativi della sua vicenda autobiografica postbellica,
sono quindi utili, feconde, istruttive. Ne dobbiamo essere grati ai brillanti
curatori, che allegano anche pagine particolarmente struggenti, come le lettere
di Li Causi dal carcere e le testimonianze dei compagni e dei dirigenti del
Pci, seguite alla sua scomparsa.
Concludendo la lettura, mi
viene spontaneo pensare (ripensare, ancora una volta) allo scioglimento di quel
partito – il Pci – al quale Li Causi e intere generazioni di comunisti in
Italia hanno dedicato l’intera propria vita. Anche questo straordinario libro,
infatti, testimonia la grandezza e i meriti storici di quella comunità di donne
e uomini che lo costituivano. Vi ho riflettuto con amarezza.
Ma è motivo di ottimismo e di
speranza pensare anche che questo libro possa esser letto, e meditato, da una
generazione ancor più giovane: quella che viene dopo la mia e non ha conosciuto
il Pci, per un ovvio fatto anagrafico. A questi giovani, che oggi hanno
vent’anni, e nascevano quando crollava il Muro di Berlino, questo libro insegna
che ciò che è stato fatto era giusto farlo e che i comunisti italiani sono
stati i protagonisti della lotta per la democrazia, la legalità,
l’emancipazione del popolo: in definitiva, per un’Italia migliore.
In definitiva, questo libro ci
insegna, ancora una volta, quanto sia straordinariamente vitale il vecchio
principio che i filosofi ci ripetono da un migliaio di anni. Noi, oggi,
riusciamo a vedere più lontano di chi ci ha preceduto non perché siamo più
bravi, ma semplicemente perché siamo nani issati sulle spalle di giganti.
Oliviero Diliberto
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