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giovedì 22 luglio 2010

"Per una società alternativa" di Davide Romano


La democrazia, per la sua fragilità intrinseca, ha bisogno di essere alimentata di continuo a tutti i livelli, con l’innovazione nelle forme che la regolano, con l’allargamento di poteri e decisioni reali a più larghe fette di cittadini, e con la difesa dai pericoli che la minacciano so-prattutto nei ricorrenti periodi di crisi economiche ed istitu-zionali, o di conflitti tra nazioni. La democrazia per funzio-nare deve essere “sentita” come la propria àncora insostitui-bile da tutti i cittadini, e per ottenere questo risultato non può ripiegare soltanto ed esclusivamente sui principi cosid-detti liberali, ma sostanziarsi anche dei valori comunitari di giustizia, di eguaglianza, di umanesimo solidaristico propri dei movimenti socialisti. È sempre più evidente che la de-mocrazia così com’è strutturata oggi viene dipinta e inter-pretata come un orpello del passato, incapace di reggere le sfide tra gli Stati. La si accusa spesso, in perfetta malafede, di avere tempi decisionali lunghi, paragonandola ai ritmi frenetici di una impresa. In realtà le moderne democrazie non sono avvertite come insostituibile regime di libertà pro-prio perché sono piene di ingiustizie e si vanno sempre più ripiegando su se stesse, fino ad essere percepita dai cittadini come luogo di gestione dei privilegi per pochi ed esclusione sociale per molti, soprattutto donne, bambini, immigrati, ri-fugiati.
Le democrazie rischiano in sostanza di chiudersi sul ver-sante dei diritti e di lasciare ai soggetti forti dell’economia campo libero nel gestire sempre più spazi di vita, di sociali-tà e di organizzazione politica. È decisivo pertanto trasfor-mare le nostre democrazie, ripensarle radicalmente per veri-ficarne i contenuti di fondo e rivederne i meccanismi deci-sionali e partecipativi. Nel contesto attuale si stanno pro-gressivamente affermando due bisogni che incalzano le de-mocrazie e le spingono a ridefinirsi. Sono due bisogni che possono restringere gli spazi di democrazia quanto allargar-ne gli orizzonti ed i livelli: il bisogno di territorialità e quel-lo di globalizzazione. Ognuno di questi bisogni trascina con sé aspetti positivi e negativi.
La sfida alle democrazie è aperta. Iniziamo ad interro-garci sul bisogno di territorialità che emerge dall’umanità. Un approccio negativo crea il rischio di trasformare la terri-torialità in localismo chiuso, asfittico e portatore di ingiusti-zia. Ci sono culture politiche che interpretano, ad esempio, le diversità religiose e le caratteristiche storico-culturali, so-ciali e linguistiche di ciascun sistema locale come apparte-nenza chiusa, che respinge qualunque apertura, culturale o sociale: una sorta di etno-centrismo razzista, integralista ed auto-esaustivo. Quest’idea di territorio abbassa i profili del-la democrazia, in molti casi li nega e chiude il territorio a quei valori di pace, di sviluppo dei diritti umani, di crescita dell’uguaglianza e della partecipazione democratica. Si può anche arrivare al punto che la propria specificità territoriale, vissuta come appartenenza totalizzante, giustifichi alleanze con le mafie locali e la negazione dei diritti umani si traduca nel proliferare di forze politiche e sociali contro i flussi de-gli immigrati, contro il pluralismo culturale, religioso e poli-tico.
Ma ci può essere un’altra idea più positiva della dimen-sione territoriale. Un’idea che valorizzi la propria specificità locale, la propria tradizione per costruire un’identità aperta, per creare una nuova socialità, per dare alla propria vita un orizzonte non massificato e omologato dai consumi e dai modelli culturali imposti dalle multinazionali. La storia, l’arte, la cultura, le lingue, i dialetti, le differenze religiose e sociali devono diventare un punto di partenza per aprire le porte della propria identità e spingerla a mettersi in cammi-no con altre culture e identità per arricchire il proprio oriz-zonte sociale, economico e politico di quei valori di fondo che bisogna sempre più condividere: la pace, la giustizia so-ciale, i diritti umani. Territorio aperto che diventa in demo-crazia centralità della città, dei municipi. Centri piccoli e grandi che cooperano ed incidono positivamente sulla vita dei cittadini. Città che sviluppano l’autogoverno locale, la partecipazione dei cittadini, la capacità di saper coinvolgere attivamente la propria comunità nell’autosviluppo locale.
Un’altra sfida alla democrazia è lanciata dalla globaliz-zazione; anche questa, come i “social forum” in varie parti del mondo stanno sempre più approfondendo, può avere un doppio esito: negativo o positivo. Attualmente nel mondo sembrano prevalere soltanto gli effetti negativi, per cui la globalizzazione fa condividere agli uomini, alle donne e ai bambini, ai lavoratori e ai disoccupati, ai poveri ed agli e-sclusi meno diritti, meno uguaglianza, meno pace. La realtà si è dimostrata più crudele ed oggi la modernizzazione si avvia progressivamente a produrre e a convivere con forti processi di esclusione sociale, economica e politica.
Per molti Paesi, soprattutto quelli del sud del mondo, la globalizzazione si è rivelata un boomerang dalle conse-guenze catastrofiche sui propri sistemi produttivi, sulle con-dizioni di vita di milioni di esseri umani e sull’equilibrio degli eco-sistemi. La globalizzazione sta schiacciando la democrazia e sta facendo crescere nel panorama economico mondiale colossi economico-finanziari che impongono mo-delli di sviluppo distruttivi per l’umanità e per l’ambiente. Anche le mafie si sono globalizzate e riescono ad imporre il narcotraffico, la gestione dei rifiuti radioattivi, il commercio delle armi e persino il traffico degli esseri umani fino a de-terminare una nuova schiavitù di milioni di donne, bambini e lavoratori, come ha documentato un’inchiesta in Italia del-la Commissione parlamentare antimafia del 2000.
Occorre allora costruire un’altra idea di globalizzazione che sia realmente in grado di governare i processi economi-ci e sociali sotto il segno di valori positivi: la globalizzazio-ne deve diventare una risorsa della democrazia che contri-buisca a far crescere la pace, i diritti umani, ampliare gli spazi di libertà, combattere le mafie ed eliminare le cause sociali, economiche e politiche che in più parti del mondo determinano il terrorismo e violenti conflitti.
La democrazia si è storicamente sposata con gli Stati-nazione, che oggi rappresentano il livello più in crisi delle democrazie. Dare un esito positivo al bisogno di territoriali-tà richiede innanzi tutto di innalzare il livello delle demo-crazie nel territorio attraverso l’autogoverno delle città, il collegamento e la cooperazione tra le comunità locali, così pure per dare una svolta radicale all’attuale globalizzazione si devono costruire livelli di democrazia mondiale che siano in grado di arricchire l’umanità, combattere le povertà e l’esclusione sociale, garantire a tutti l’accesso alle risorse idriche, al cibo, alla casa, alla cura delle malattie, ai nuovi diritti della sicurezza sociale, dell’informazione e dell’ambiente. Una nuova territorialità e una nuova globa-lizzazione devono diventare le gambe forti delle democra-zie. Ma quale sia il percorso ottimale e quale la meta finale sono temi in discussione sui quali ancora oggi le diverse o-pinioni appaiono molto confuse. Per quel che ci riguarda proviamo a sintetizzare in quattro i punti fondamentali su cui ogni democrazia deve poter incamminarsi: pace, svilup-po sostenibile, decisione democratica e partecipazione poli-tica.
Le democrazie non possono più produrre guerra. È sem-pre più evidente che la guerra sia di per sé la negazione del-la democrazia. La recente guerra in Iraq ha fatto emergere almeno sette gravi questioni:
1. la negazione del valore della pace, ampiamente rico-nosciuto nella costituzione di molti paesi e sancito nel dirit-to internazionale, e l’imposizione della terribile dottrina del-la guerra preventiva;
2. l’inutilità della stessa guerra che non ha dato soluzio-ne ai gravi e drammatici problemi dell’Iraq, paese che oggi versa in uno stato di aggravamento delle proprie condizioni, con numerose difficoltà nell’avviare un percorso veramente democratico;
3. la riduzione dei livelli di trasparenza e di democrazia soprattutto negli Stati Uniti ed in Inghilterra, al punto tale da costruire e diffondere false notizie sul presunto possesso da parte dell’Iraq di armi di distruzione di massa. A tal pro-posito il New York Times del 14 giugno 2003 si è espresso in questo modo: “quello degli arsenali di Saddam è il peg-gior scandalo della nostra storia politica”;
4. la crescita del terrorismo. La guerra non può rappre-sentare uno strumento per combattere il terrorismo, anzi ne alimenta le ragioni e ne rafforza il consenso tra le popola-zioni fino al punto di creare un radicamento del terrorismo in ampi territori. Solo la pace e la rimozione delle cause del terrorismo possono essere considerate una soluzione alle di-verse questioni tuttora aperte nel mondo, come, ad esempio, nel conflitto israeliano-palestinese;
5. la crescita dei fondamentalismi religiosi. La guerra crea il “brodo di coltura” per la diffusione ed il radicamento dei fanatismi religiosi. In ogni fede esistono diversi approc-ci teologici e culturali e diverse espressioni nei modi di pen-sare e praticare la propria esperienza spirituale. La guerra alimenta le componenti più integraliste, spinge interi Stati o vasti strati di popolazione verso chiusure auto-referenziali di portata preoccupante. Soltanto la pace apre al dialogo, all’ecumenismo e ad un rapporto tra la fede e la vita fecon-do, ricco di umanità e d’impegni per la promozione umana non disgiunta dalla crescita della giustizia. La scelta di papa Giovanni Paolo II di schierarsi per la pace ha contribuito ad evitare un esito, ancor più nefasto, nel complesso e trava-gliato contesto islamico con tutti i rischi dell’accendersi dell’idea dello scontro tra religioni e tra civiltà;
6. la guerra alimenta la crescita delle mafie e del narco-traffico. Le mafie ed il narcotraffico sono oggi una piaga dell’umanità, in grado purtroppo di influenzare pesantemen-te la vita di milioni di uomini e donne e riescono ad eserci-tare forti pressioni nei confronti della politica e dell’economia. In Italia, nonostante i duri e ripetuti colpi subiti, la mafia è ancora potentissima, al punto da condizio-nare ancora oggi ampi settori delle istituzioni e dell’imprenditoria. Stesso ragionamento vale per tanti altri paesi. Sottolineiamo in modo particolare la presenza della mafia nei Balcani. Dopo i controversi conflitti che si sono succeduti in quest’area geografica, la mafia del narcotraffi-co, del contrabbando di sigarette e del traffico di esseri u-mani è diventata così forte da determinare l’assassinio, in un attentato, del primo ministro serbo, oltre che collocarsi in alcuni Stati ai vertici di governo. Alcuni studiosi del feno-meno mafioso hanno coniato la parola “Stato-mafia” per in-dicare quanto sta avvenendo di così grave nei Balcani. An-che in Afghanistan oggi il narcotraffico è cresciuto e dopo la guerra milioni di ettari in più sono stati utilizzati nella produzione dell’eroina. Per quanto riguarda la cocaina, le mafie della Colombia, grazie anche alla guerra, sono ancora forti e stanno di nuovo organizzando cartelli di aggregazio-ne dei vari boss locali. Di recente in Italia si è potuto accer-tare il loro continuo collegamento con la mafia siciliana e calabrese, riuscendo a far entrare in Europa migliaia di chili di cocaina e a riciclare il denaro “sporco” in diversi istituti bancari e finanziari situati in Europa e nei diversi “Paesi off-shore” o cosiddetti “paradisi fiscali”;
7. la guerra ha prodotto una pericolosa crisi dell’ONU. Con la guerra preventiva all’Iraq gli Stati Uniti hanno ab-bandonato la struttura che la comunità internazionale si era data a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Que-sta struttura era incentrata sull’Organizzazione delle Nazio-ni Unite e si fondava sul divieto della guerra come metodo per risolvere i conflitti tra Stati. Gli Stati che hanno retto il sistema ONU negli ultimi cinquant’anni possono essere cer-tamente criticati sotto diversi punti di vista, ma oggi l’amministrazione Bush rimette in discussione l’essenza stessa dello sforzo di creazione di un autogoverno interna-zionale: la decisione di muovere una guerra preventiva con-tro l’assenza di una minaccia diretta viola il principio di non ricorso all’uso della forza e rischia di distruggere il residuo di autorità delle Nazioni Unite.
Questa politica è stata del resto già anticipata dalla forte e devastante opposizione dell’attuale governo americano ai più importanti trattati multilaterali formulati negli ultimi anni: il protocollo di Kioto, la moratoria sui test nucleari, il protocollo aggiuntivo alla convenzione sulle armi biologi-che, il Tribunale penale internazionale. Se questi strumenti fossero stati ratificati e consolidati il mondo oggi sarebbe più sicuro. In sostanza la guerra uccide umanità, valori, cul-tura e ambiente, spinge i popoli verso i fondamentalismi, occulta e manipola i problemi reali e primari quali le pover-tà, le ingiustizie e le disuguaglianze. La guerra è la sconfitta della politica e della democrazia. Naturalmente la pace im-pone faticosi sforzi per diventare cultura e pratica nella vita quotidiana, nei rapporti tra le persone, le famiglie, le comu-nità, cultura e pratica nella gestione dei conflitti internazio-nali.
La democrazia ha bisogno di più pace. Come hanno di-mostrato in tutto il mondo milioni di cittadini organizzati nei diversi e plurali movimenti della pace insieme a voci au-torevoli come quella del Papa e di altri capi religiosi che si sono levate contro la guerra. Così a livello internazionale si avverte sempre più pressante l’esigenza di una riforma radi-cale dell’ONU che dovrebbe giungere a contenere tre diver-si livelli decisionali in grado di interagire tra di loro: i go-verni, i parlamenti e la società civile organizzata. Non solo. Questi tre livelli debbono cooperare tra loro ed essere tutti e tre in grado di gestire le problematiche mondiali di più am-pio respiro. L’ONU così riformata deve intervenire su tutti i teatri di conflitto locali così come in Colombia. L’Organizzazione delle Nazioni Unite deve aprire dei tavoli di dialogo, incentivare gli accordi, denunciare e penalizzare la negazione dei diritti umani. Da qualunque parte siano causate.
Il nostro modo di vivere, di consumare, di comportarci, decide la velocità del degrado entropico, la velocità con cui viene dissipata l’energia utile e il periodo di sopravvivenza della specie umana. Si arriva così alla necessità di far emer-gere le democrazie come promotrici del concetto di sosteni-bilità, intesa come insieme di relazioni tra le attività umane e la biosfera, con le sue dinamiche generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, ai cittadini di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività dell’uomo stia-no entro certi limiti così da non distruggere il contesto biofi-sico globale. Se riusciremo ad arrivare ad un’economia da equilibrio sostenibile, le future generazioni potranno avere almeno le stesse opportunità che la nostra generazione ha avuto: è un rapporto tra economia ed ecologia, in gran parte ancora da costruire, che passa dalla strada dello sviluppo sostenibile. È tempo pertanto di costruire percorsi democra-tici di governo dello sviluppo in grado di rompere i mono-poli dei brevetti nelle mani di alcune “corporations” o co-lossi finanziari.
Nel campo della sanità, solo per citare un caso, i vari si-stemi di brevettazione oggi causano la morte di milioni di africani impossibilitati ad accedere ai farmaci antivirali per la cura contro l’AIDS. In Mozambico, ad esempio, il 16 per cento della popolazione è colpita dall’HIV e l’aspettativa di vita è scesa a 41 anni. Sono necessari dai 15.000 ai 25.000 dollari per una cura annuale di farmaci “antiretrovirali bre-vettati”, mentre è invece di 350 dollari il costo annuo di una cura con farmaci “antiretrovirali generici”. Valutazioni, queste, che sono il frutto dell’esperienza di associazioni di volontariato che in Mozambico stanno sfidando una multi-nazionale come la “Bigpharma”. Le regole ormai le cono-sciamo tutti, sette multinazionali detengono il monopolio dei brevetti sulle terapie anti-AIDS. L’incremento dei pro-fitti delle multinazionali farmaceutiche è stato del 20 per cento soltanto nel 2002. È ormai risaputo che i brevetti sui farmaci sono protetti dal WTO in base agli accordi TRIPS approvati nel 1994. Le case farmaceutiche hanno pertanto il monopolio sui farmaci brevettati per venti anni, fino al 2016 per le terapie anti-AIDS. Ma i bambini, le donne e gli uo-mini ammalati di AIDS cosa fanno?
Per le multinazionali farmaceutiche di fatto possono mo-rire. Lasciano semmai ad una piccola parte di popolazione qualche chance sottoponendola alla selvaggia sperimenta-zione per conto di qualche multinazionale. È bene anche ri-cordare che i paesi che hanno ratificato gli accordi TRIPS possono acquistare i farmaci anti-AIDS esclusivamente dal-le società titolari del brevetto, in caso contrario subiscono sanzioni commerciali. Va apprezzata, invece, la scelta del governo del Sud Africa che nel marzo 2001 si è scontrato nelle aule di giustizia contro le multinazionali per aver deci-so di produrre farmaci anti-AIDS. Dopo le proteste interna-zionali, le società si sono ritirate dal processo. Ricordiamo, inoltre, che Brasile, India e Thailandia hanno cominciato a produrre autonomamente i farmaci senza ratificare gli ac-cordi TRIPS ed hanno rifiutato compromessi con le multi-nazionali. È chiaro ormai che queste regole sui brevetti deb-bano essere radicalmente riviste. Ma una soluzione in que-sto senso è stata bocciata lo scorso dicembre dal governo americano.
Lo sviluppo sostenibile deve rompere con questo model-lo di organizzazione dei brevetti. E lo stesso lavoro bisogna fare nel campo dell’agricoltura bloccando le manipolazioni genetiche e favorendo le coltivazioni biologiche. Pensiamo alle enormi possibilità di sviluppo che si possono avere nell’agricoltura biologica, nell’agriturismo biologico, nel commercio “equo e solidale”, nell’accesso al credito dei piccoli produttori di beni e servizi. Così bisogna agire anche nell’ambito della gestione delle risorse idriche, dell’accesso alla casa, al cibo, all’informazione, all’istruzione e alla ri-cerca scientifica. Per fare un esempio la FAO, all’ultimo vertice di Roma, ha chiesto 24 miliardi di dollari per dimez-zare la fame nel mondo entro il 2015. Ma i Paesi ricchi d’Occidente non sono disposti a dare neppure queste bricio-le. Confrontiamo questi 24 miliardi con i quasi 500 miliardi di dollari che costituiscono il bilancio delle spese militari USA per il 2003. Siamo di fronte non solo ad una gigante-sca sproporzione nella distribuzione delle risorse, ma ad una trasformazione epocale da uno Stato liberale e sociale ad uno Stato militarista.
Tutto ciò richiede una rottura progettuale di enorme ge-nialità. Non sarà un lavoro facile. Ma intanto bisogna inizia-re. Si potrebbe partire dalla costituzione di nuove autorità indipendenti da inserire all’interno dell’ONU riformata, in cui in modo paritetico governi, parlamenti e movimenti del-la società civile organizzata possano creare le nuove regole di base per ridurre progressivamente il commercio delle ar-mi, combattere lo sfruttamento del lavoro minorile, creare le condizioni di pari opportunità salariali tra i lavoratori e tra gli uomini e le donne, di accesso al lavoro, di crescita pro-fessionale, di promozione dei diritti umani, sociali e politici. Devono essere autorità indipendenti con poteri forti, in gra-do di definire la base minima cui ogni paese deve attenersi nei campi appena richiamati. È necessario che queste autori-tà abbiano anche le risorse economiche per poter intervenire adeguatamente, sperimentando ad esempio la Tobin Tax sul-le transazioni finanziarie internazionali.
Troppe decisioni sono espressione della volontà di una minoranza di persone, anzi la maggioranza delle decisioni sono prese da soggetti esterni alla democrazia: la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario, ad esempio, decidono i destini dell’umanità seppur privi di legittimazione democra-tica.
Gli accordi commerciali, le multinazionali, i circuiti dell’economia finanziaria sono sempre più determinanti e agiscono al di fuori di qualunque controllo democratico. Stesso ragionamento è estendibile ad altri versanti. Ci rife-riamo, ancora una volta, al ruolo svolto dalle mafie che sempre più sono in grado di movimentare risorse e condi-zionare il destino di tanti uomini e donne, di intere comuni-tà. Basti pensare a quello che riescono oggi a fare nel campo dei circuiti finanziari internazionali: in pochi minuti deter-minano lo spostamento ed il riciclaggio di tali flussi di de-naro e di titoli così da aggirare e schiacciare qualunque con-trollo o esercizio della sovranità nazionale di qualunque pa-ese nel mondo. Bisogna organizzarsi per evitare tutto ciò, per fare in modo che siano le strutture a base democratica a decidere i destini del mondo e ridare così alla politica de-mocratica la sua dovuta centralità. L’idea di democrazia li-berale non è in grado di affrontare questo complesso e fati-coso compito. Della democrazia liberale dobbiamo mante-nere ferma la cosiddetta divisione dei poteri, garantendo so-prattutto piena autonomia e indipendenza alla magistratura. Il resto è da rinnovare attraverso una ridefinizione dei poteri a vantaggio della partecipazione dei cittadini organizzati.
Ma è anche necessario ridefinire l’accesso all’informazione. Oggi anche questa è nelle mani di pochi. È necessario anche costruire una forte democrazia dal basso per consentire ai cittadini, alle organizzazioni sindacali, ai movimenti e alle associazioni di partecipare alla costruzione dei bilanci delle città e di essere coinvolti negli interventi di promozione di tutti i diritti come pure nella crescita delle piccole e medie imprese e dell’autosviluppo locale. Biso-gna, inoltre, costruire, ampliare lo spazio della decisione democratica creando delle forti unità sociali, economiche e politiche tra i paesi omogenei, come sta avvenendo in Euro-pa. Bisognerebbe fare lo stesso in America Latina, in Africa e nel Sud-est asiatico. Avremo in questo modo più poli, più democrazia e più chance per la pace e per i diritti umani. La globalizzazione ci impone di collocare la crescita della de-mocrazia in contesti sempre più ampi. Nella difesa degli Stati-nazione non c’è un adeguato spazio politico, sociale ed economico per ottenere dei risultati positivi. Soltanto in contesti più estesi ed omogenei è possibile realizzare rifor-me strutturali e positive per i diritti dei lavoratori e per la lotta alle numerose forme di esclusione sociale e alla distru-zione dell’ambiente.
Solo in questi nuovi contesti politici di aggregazione tra gli Stati è possibile realizzare nuovi livelli di crescita eco-nomica in coerenza con lo sviluppo sostenibile e con la promozione di tutti i diritti. In tal modo possono riprendere con forza nella società nuova cammini post-ideologici di cambiamento e miglioramento dell’umanità. In sostanza la decisione democratica passa attraverso un salto di qualità da far fare alla democrazia della rappresentanza.
Non è sufficiente lavorare sulla democraticità delle deci-sioni per ridare forza e ruolo alle democrazie; né avere delle istituzioni più democratiche nelle città e nei circuiti della globalizzazione; né, ancora, integrare la democrazia della rappresentanza con la democrazia partecipata. Occorre pun-tare molto sulla partecipazione politica democratica che de-ve maturare e crescere attraverso la “riforma della politica”. Non ci riferiamo tanto agli aspetti istituzionali o legislativi. Quanto, piuttosto, alla politica organizzata dai partiti e dai movimenti. Perché la politica così com’è non è in grado di costruire la democrazia. Anche la politica necessita di una radicale riforma nei valori che la caratterizzano, nei soggetti che la praticano, nei livelli organizzativi che la strutturano, nella progettualità in cui si concretizza.
La politica si è sempre più impoverita e molti cittadini le voltano le spalle tenendosi lontano dalla militanza e dalla partecipazione. Essa viene percepita, spesso a ragione, come luogo dell’inganno, della corruzione, degli intrighi, delle incoerenze. E così non si colgono più le differenze tra gli opposti schieramenti e tra i partiti. C’è poi una corsa al mo-deratismo piuttosto sfrenata ed ideologica. Si fa largo una sorta di rinuncia all’idea che la politica debba essere il luo-go in cui si contribuisce al cambiamento democratico della società.
In molti Paesi i leaders politici hanno conquistato i parti-ti, svuotandoli della parte sana della loro tradizione e della partecipazione degli iscritti, dei militanti e degli stessi citta-dini. Fino al punto da ritrovare in giro per il mondo partiti senza identità con a capo leaders dispotici guidati dai propri interessi economici e spesso accusati di avere rapporti con le mafie. La soluzione non può essere quella di voltare le spalle alla politica rinunciando all’impegno politico, così ripiegando nella presunta neutralità della società civile. Na-turalmente non si può neanche fare appello ad un generico impegno politico e ad un inserimento nella politica così co-me è. È necessario, invece, chiamare tutti a spendersi per la riforma della politica: una sfida sia per i partiti che per i movimenti.
I partiti non vanno cancellati, ma radicalmente riformati e ciò attraverso meccanismi aperti di selezione delle classi dirigenti, nonché attraverso una marcata ridefinizione della progettualità programmatica e la riorganizzazione e la ri-strutturazione dei vari livelli organizzativi. Le stesse asso-ciazioni ed i movimenti non debbono commettere l’errore di dare per scontata la propria capacità di innovazione politica. Anche queste realtà devono elaborare e praticare una pro-pria autonoma riforma della politica. Diventa fondamentale, ad esempio, elaborare e sperimentare percorsi concreti in cui si definiscano la crescita politica delle leaderships, la gestione delle differenze, del pluralismo e dei possibili con-flitti, del come progettare la propria presenza nel territorio e nella globalizzazione. In tal senso non mancano segnali po-sitivi che vanno arricchiti da itinerari formativi e da espe-rienze progettuali ed organizzative che sostituiscano il “fare per i cittadini” con il “fare con i cittadini”.
È tempo per ritornare all’impegno politico perché senza la partecipazione politica non saremo in grado di dare voce alle ansie e alle ingiustizie dell’umanità, così pure non sa-remo in grado di dare voce e rappresentanza alla speranza e all’innovazione presenti in qualunque parte del mondo.

mercoledì 21 luglio 2010

Quel Belpaese visto da lontano nel nuovo libro di Davide Romano


Mass Media
Quel Belpaese visto da lontano
di Rossella Puccio (la Repubblica)

Davide Romano nel suo libro-inchiesta “Dicono di noi. Il Balpaese nella stampa estera”, pubblicato dalla Edizioni La Zisa (pp. 104; euro 10), indossa i deformanti occhiali dei colleghi d’oltralpe per capire come viene interpretata l’Italia fuori dai nostri confini. Aprono il libro le presentazioni di Rosalinda Camarda e di Pino Apprendi, poi lo stesso Romano definisce margini e fini della sua inchiesta: la spesso superficiale e contraffatta visione, della stampa straniera, sull’Italia. Il catalogo degli italici difetti, come sostiene l’autore, che si dipana da fenomeni di malversazione amministrativa a quelli di collusione mafiosa nel tempo, dall’Italia unita alla videocrazia berlusconiana. Un carosello di stereotipi che svoltano velocemente su vizi e virtù di un intero Paese. Romano taccia la velocità dolente dei colleghi stranieri, il loro approccio viziato e approssimativo al “caso” Italia, a cui sfugge il reale e dimenticato. E’ la “Repubblica delle banane”, come disse Eugenio Scalfari, soleggiata, contraddittoria e chiacchierata.

giovedì 6 maggio 2010

IL MISTERO DELLA SANTUZZA: UN DETECTIVE INDAGA SULLA VERGINE EREMITA


Repubblica — 28 marzo 2010


Da lungo tempo desideravo visitare quel remoto monte. Lì mi spingeva la mia curiosità di speleologo ma ancor più l' inquietudine del viaggiatore, la mia irriducibile smania di cacciatore di epos. Mi spingeva a quel luogo soprattutto un nome dai mitici contorni: Rosalia Sinibaldi, una bellissima fanciulla vissuta forse in epoca normanna, meglio conosciuta in Sicilia e nel mondo come santa Rosalia. Alla Serra Quisquina, raccontava una delle tante storie fiorite sulla Santuzza, la Vergine romita aveva vissuto una lunga parte della sua breve vita, forse dodici anni, in solitario eremitaggio prima di trasferirsi sul più celebre Monte Pellegrino. Alla Quisquina Rosalia sarebbe giunta dopo essere fuggita dalla reggia normanna e dalla sua famiglia che la voleva sposa di un nobile cavaliere e qui, in una piccola grotta, la giovane avrebbe trovato pace e rifugio, l' intimità spirituale con l' Infinito. La grotta della Santa, come sapevo, non era di grande rilevanza naturalistica; pochi metri appena di lunghezza. Pochi metri però fatti di pietre che videro grandi e miracolose cose, che trasudavano emozioni profonde e non solo algida umidità. Mi attraeva in particolare una iscrizione graffita dalla stessa Rosalia nella parte iniziale della grotta; una sorta di messaggio ai posteri, avventurosamente scoperto nel ' 600, da cui fu possibile ricostruire parte della vita della misteriosa Santa... (Incipit libro Giancarlo Santi, Ego Rosalia. La Vergine palermitana tra santità ed impostura, 442 pagine, La Zisa edizioni, 25 euro) Giancarlo Santi è un giornalista pubblicistae speleologo dilettante, un devoto di santa Rosalia che con grande pazienza e spirito da detective comincia a indagare su alcuni fatti accaduti in una grotta alla Quisquina nel 1624. Il risultato è un libro - Ergo Rosalia. La Vergine palermitana tra santità ed impostura - a tratti ingenuo ma sempre intrigante, tutto giocato sul rigoroso montaggio degli elementi probatori. È l' estate del 1624, la pestilenza terrorizza Palermo e la città cerca rifugio nei suoi celesti protettori. Sino a quel momento santa Rosalia era stata una delle nebulose figure che affollavano il pantheon cittadino: il suo rifugio in una grotta la collegava ad antichissimi culti che negli stessi luoghi avevano onorato la Grande Madre, Rosalia è «una sorta di rupestre Deus Loci, una divinità ctonia sfuggente e misteriosa». Per la prima volta si manifesta in sogno alla moribonda Girolama Lo Gatto, promettendole la guarigione se avesse pronunciato il voto di recarsi sul monte Pellegrino. La donna promette. Subito guarisce e quasi dimentica l' impegno, finisce per recarsi sul monte alcuni mesi dopo. Ma Rosalia continua a darle indicazioni in sogno, permettendole di guidare gli scavatori che il 15 luglio trovano un agglomerato d' ossa all' interno di una massa di calcite. L' epidemia continua a seguire il suo corso, anche se la tradizione ascrive alla nuova santa il merito di avere debellato la peste. Quaranta giorni dopo, mentre a Bivona una drammatica processione invoca l' aiuto divino, nei boschi della Quisquina due muratori palermitani scoprono un' iscrizione in una grotta. Comincia: «Ego Rosalia Sinibaldi...». Lettere incise nella roccia e subito presentate come la prova dell' esistenza terrena di Rosalia e delle sue nobiliari ascendenze: è una Sinibaldi imparentata con gli Altavilla, discendente addirittura da Carlo Magno. L' iscrizione sapeva di umana vanità e il messaggio celebrava il proprio casato, senza contare che la forma delle lettere era contemporanea invece che normanna. In breve suscitò molti dubbi. Tutti doverosamente rintuzzati dal gesuita padre Cascini, definito dai contemporanei «tromba d' oro della gloria di santa Rosalia». Giancarlo Santi si confronta con la bibliografia accumulata negli ultimi anni, ma nessuno ha messo in primo piano l' iscrizione della Quisquina: va quindi a ritroso, arriva ai protagonisti e alle loro ragioni attraverso le convulse vicende della città impaurita. La storia di Rosalia in fondo vede all' opera pochi personaggi, che non perdono mai di vista il proprio interesse. Trattandosi di una vicenda così lontana nel tempo, lo scrittore-detective adopera i testi secenteschi alla stregua di «testimonianze giudiziarie da mettere a confronto per scoprirvi eventuali incongruenze». Ed è inevitabile che trovi aiuto e conforto nella filologia. Insegue varianti, contraddizioni e rifacimenti testuali, arriva a un antico manoscritto conservato presso la Biblioteca comunale di Palermo. Fra le sue polverose pagine trova le dimenticate «tessere centrali del complesso mosaico»: sono le dichiarazioni rese nel 1642 da dodici abitanti di Santo Stefano di Quisquina testimoni del rinvenimento, adesso riportate in appendice a Ego Rosalia. Quasi suo malgrado, nell' andarea ritroso lo scrittore-detective scopre vistose incongruenze che rischiano di annullare le certezze esibite da padre Cascini. Manca infatti la testimonianza principale, quella dei due muratori palermitani: solo uno dei testimoni era presente al momento della scoperta, gli altri parlano per sentito dire. In pratica, l' unica prova dell' esistenza terrena di santa Rosalia si deve a un non meglio qualificato mastro Francesco Cattano. Sembra di essere di fronte a un falso, un particolare però disturba la logica concatenazione delle ipotesi: tutti concordano che l' iscrizione risalta su una parete di muschio, «lippo antichissimo per l' umidità». Gli eventuali falsificatori avevano lavorato sopra quella patina vegetale, senza distruggerla: ma il continuo rimarcarne l' esistenza ci mostra la sua natura posticcia di trovata teatrale, osservata da vicino l' iscrizione ci riporta all' estetica della meraviglia praticata dal barocco teatro gesuitico. E probabilmente il «lippo antichissimo» si limitava a incorniciare l' iscrizione, che se ricoperta in maniera uniforme nemmeno sarebbe stata notata. L' andare a ritroso, la tecnica indiziaria serve a Giancarlo Santi anche per ricostruire la vivace competizione fra gli Ordini religiosi e la diffusa disponibilità a costruire falsi storici.I benedettini edificano fragili castelli di congetture per dimostrare che Rosalia era stata nel loro Ordine, le basiliane producono documenti che la fanno monaca basiliana. Da parte sua padre Cascini è gesuita: invece di spedirla dritta a giustificarsi con l' Inquisizione, accoglie le rivelazioni della terziaria benedettina suor Maria Roccaforte che sostiene di avere quotidiani colloqui con lo spirito di Rosalia. È padre Cascini a ratificare la genealogia nobiliare della nuova santa, eremita ma di stirpe reale. Una santa per il popolo, ma pronta a rassicurare anche i re.

AMELIA CRISANTINO

giovedì 8 aprile 2010

INVITO - Palermo 10 aprile, Presentazione silloge poesie "Foto senza cornici" (Ed. La Zisa) di Lorenzo Avola



alla presentazione della silloge di poesie
"
Foto senza cornici"

di Lorenzo Avola


che avrà luogo sabato 10 aprile, alle ore 19, presso il CENTRO SOCIO - CULTURALE "SANT'EUGENIO", salone della biblioteca parrocchiale di Villagrazia, a Palermo.


Interverranno: il presidente della III Circoscrizione, dott. Salvatore Adelfio; e il presidente dell'Associazione Socio-Culturale "Sant'Eugenio", dott. Rosario Marchese.
Modererà il giornalista Davide Romano.
Sarà presente l'autore


(…) “Lorenzo, si espone e si dona con quella generosità ottimista e affettuosa che riconosceranno non solo le persone che, a vario titolo e con vari ruoli, vivono e lavorano con lui, ma anche un lettore occasionale che si imbatta nelle sue cose, nelle sue visioni, nella sua amatissima terra. La generosità di chi apprezza il sacrificio e l'amore, ma lotta perché non ogni sacrificio e non tutto l'amore debbano sempre diventare ineluttabile martirio. E questo si chiama speranza”. (dalla Prefazione di Roberto Oddo)


Lorenzo Avola è nato e vive a Palermo dove sta conseguendo la laurea in lettere classiche. Nel 2007 ha vinto il premio speciale Le nuove voci della poesia del Premio internazionale “Nicola Mirto”. È attivo nel mondo del volontariato e organizza incontri a scopo educativo e formativo per il centro culturale “Sant’Eugenio” della sua città. Collabora con il sito internet www.cogitoetvolo.it per il quale si occupa prevalentemente di tematiche di bioetica ed attualità. Questo è il suo primo libro.

giovedì 18 marzo 2010

E' in libreria: Alessia Cannizzaro (a cura di), "Buttana di lusso. Confessioni di una escort", La Zisa





E' in in libreria

Alessia Cannizzaro
(a cura di)

Buttana di lusso
Confessioni di una escort

pp.80, euro 9,90

ISBN 978-88-95709-54-3

Edizioni La Zisa
http://www.lazisa.it/


E l'onorevole mi disse: "Picchiami, sono un bambino cattivo!"


Una città a luci rosse annidata tra le pieghe di un perbenismo di facciata. Palermo è anche questo. E a svelarne il suo lato oscuro è Chiara (o almeno così dice di farsi chiamare), una escort palermitana che da anni lavora proprio nella sua città. Sesso a pagamento, in casa o in trasferta, appartamenti di lusso come alcove, o hotel fuori porta. Tra i suoi clienti politici, avvocati, professionisti in genere, tutta gente della “Palermo bene”. Chiara ci racconta, senza falsi pudori, vizi e virtù di una città sommersa, conditi da particolari piccanti e non sempre prevedibili.

Alessia Cannizzaro è giornalista professionista, laureata in Scienze della Comunicazione e in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale. Da anni lavora per tv e testate locali e nazionali. E proprio per un quotidiano palermitano ha condotto un’inchiesta sulla Palermo a luci rosse.

Introduzione di Alessia Cannizzaro

Ufficialmente si chiamano escort, ovvero accompagnatrici per uomini d’affari in viaggio, che non potendosi portare la moglie o la compagna, affittano una ragazza per affrontare in maniera più piacevole le noiose cene di lavoro e trascorrere in dolce compagnia anche il dopocena.
Esistono decine e decine di agenzie, soprattutto online, che propongono gentil donzelle per tutti i gusti, ma cosa ancora più interessante, anche per tutte le tasche. Navigando tra i vari siti ci si rende subito conto però che le escort tutto sono tranne che semplici accompagnatrici.
Le foto, quasi tutte in desabbillé, mostrano donne dalle curve generose che poco lasciano all’immaginazione. E i messaggi lasciati dalle dirette interessate sono a dir poco inequivocabili. L’offerta è sì di trascorrere una piacevole serata, ma a casa o in albergo, ovvero in luoghi chiusi e lontani da occhi indiscreti. Nessun riferimento, invece, alle eventuali cene di lavoro per cui in teoria dovrebbero essere assoldate. Offrono servizi “particolari” in cui la trasgressione è la parola d’ordine. In altre parole, se siete stanchi della solita routine e volete provare qualcosa di diverso, inventate una cena di lavoro e noleggiate una escort, per un’ora o per tutta la notte, a seconda delle vostre esigenze. Certo, raccattare una ragazza per strada può creare diversi problemi, non solo perché si rischia di essere beccati da amici e conoscenti, ma anche perché si può essere accusati di favoreggiamento della prostituzione con tutto quello che ne consegue. Difficile poi spiegarlo a casa!
Ma attenzione a chiamare le cose con il giusto nome. Il fenomeno delle escort trovate via Internet può essere tranquillamente, e senza paura di essere smentiti, definito prostituzione online, in quanto le ragazze si vendono per scopi dichiaratamente sessuali. I siti, come ci confermano le autorità preposte al controllo, hanno infatti sede legale all’estero per ovviare le misure di chiusura, previste dall’ordinamento italiano. Anche le ragazze, per sfuggire ai controlli non hanno una sede fissa, ma girano per l’Italia. Il gioco è semplice: basta cercare sui principali motori di ricerca, come Google per intenderci, “escort Palermo” e spulciare i vari siti.
Le ragazze sono divise per categoria (Top class, Deluxe, International, oltre che Trans, Gay e Lesbo), per regioni e poi anche per città. Ma a dispetto di un nord brulicante di escort, il sud, e nello specifico Palermo, sembra non disporre di una così vasta scelta. La maggior parte delle ragazze che operano nell’hinterland palermitano in realtà sono straniere o residenti in altre città, disposte comunque ad un bel viaggio isolano.
Si legge chiaramente in tutti i siti che le ragazze sono in tour per le varie città e sono disposte a raggiungere il cliente o a spostarsi da una sede all’altra con un preavviso di minimo tre giorni. I prezzi variano dalle 500 euro all’ora ai 3000 euro per l’intero week-end. Poi ovviamente c’è chi pratica lo sconto fedeltà per i clienti affezionati e chi, per evitare fregature, chiede il pagamento anticipato o una caparra al momento della prenotazione.
Discorso diverso per i siti che raccolgono annunci privati. In questo caso le bacheche vengono aggiornate quotidianamente e la scelta si fa molto più ampia. Le si può facilmente contattare via e-mail o telefonare al numero di cellulare pubblicato nell’annuncio. Messi al bando, stando a quanto scritto nei siti, gli sms e le chiamate anonime. Privacy sì, ma fino ad un certo punto.
Esplorando il mondo a luci rosse dei palermitani, prima che il fenomeno balzasse agli onori della cronaca per le note vicende dei politici italiani, mi sono imbattuta in Chiara, giovane escort nostrana che, per nulla intimorita dall’idea di riferire vizi e virtù dei suoi clienti, ha deciso di raccontarmi la sua vita a luci rosse. (Alessia Cannizzaro)

Indice:
7 Introduzione
11 La mia “prima volta”… a pagamento!
22 Giovani rampanti, belli e insoddisfatti
31 Giochi di potere fuori e dentro le lenzuola
49 Da avvocato a “cliente” abituale
58 Nobiltà perversa e perbenista
66 Quattro chiacchiere con Chiara…
71 Ringraziamenti



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Davide Romano - Ufficio stampa "La Zisa"via Francesco Guardione n. 5/E, 90139 - PalermoTel. +39 091 331104 - fax +39 091 6127870cell. +39 328 4728708, e-mail: presidente@lazisa.itstampa@lazisa.it - http://www.lazisa.it/

venerdì 12 marzo 2010

Il numero di marzo di “Focus Storia” parla del “Maestro del Sonno Eterno” (Edizioni La Zisa) di Dario Piombino Mascali


Il numero di marzo di “Focus Storia” parla del “Maestro del Sonno Eterno” (Edizioni La Zisa) di Dario Piombino Mascali

(…) Naturali sono anche le migliaia di corpi che riposano nella cripta dei Cappuccini di Palermo (la stessa della "bella addormentata" di Salafia). «La nascita delle catacombe dei Cappuccini risale alla fine del 'Soo, quando furono scoperti casualmente, in una fossa comune, i corpi di 45 frati perfettamente conservati. Da allora si sviluppò un grande sito di sepoltura in uso fino alla fine dell'8oo, inizialmente riservato ai Cappuccini e poi esteso a nobili, alti prelati e borghesi» riprende Piombino Mascali. «La stessa Rosalia aveva un permesso solo provvisorio per rimanere nelle catacombe. Ma le peregrinazioni della sua famiglia in Italia e all'estero non consentirono di darle diversa sistemazione».
Le condizioni ambientali di questo luogo (e di altri in Sicilia), come l'assenza di umidità e una temperatura costante, consentivano l'essiccazione naturale. «Favorita tra l'altro da una tecnica rudimentale ma efficace, chiamata "scolatura": i corpi erano a volte posizionati seduti o in piedi per permettere il drenaggio dei liquami cadaverici».
PIETRIFICATI. Avvolti nel più profondo mistero sono stati invece, per anni, i metodi dei "pietrificatori". «Tra la fine del '700 e la prima metà del '900 alchimisti e medici fuori dagli ambienti accademici si misero in testa di pietrificare tessuti animali (e poi corpi) fino a ottenere una durezza simile alla roccia» spiega Luigi Garlaschelli, chimico dell'Università di Pavia.
Il maestro della "pietrificazione", il bellunese Girolamo Segato (1792-1836), fu osannato dai contemporanei: «Gli dedicarono opere teatrali e odi, e quando morì fu sepolto a Firenze, accanto a Michelangelo e Machiavelli» racconta lo studioso. «Alcuni suoi preparati sembrano impregnati di sostanze minerali, altri sembrano più che altro disidratati: di sicuro Segato non rivelò nulla del suo procedimento, nonostante i tanti tentativi di imitazione».
All'epoca l'imbalsamazione era tornata in auge dopo secoli di stop, coincisi col diffondersi del cristianesimo che la riteneva incompatibile con la risurrezione. «Nel 392 d. C. l'imperatore Teodosio vietò riti e pratiche sui cadaveri che andassero oltre la semplice unzione» spiega Piombino Mascali. Anche nel Tardo Medioevo prevalse il rifiuto di ogni tipo di violazione del cadavere limitandosi alla cosiddetta "clisterizzazione" ovvero all'immissione di decotti aromatici nel retto.
«Ma esisteva anche un altro sistema che consisteva nella bollitura e nella separazione dei tessuti molli dalle ossa: era riservato ai crociati caduti in battaglia e ne permetteva il rientro e la sepoltura in patria. Anche il "santo" re di Francia Luigi IX (morto nel 1270) e il teologo Tommaso d'Aquino (morto nel 1274) non sfuggirono al calderone bollente» conclude Piombino Mascali.
E oggi? Chi, per il proprio cadavere, aspirasse a qualcosa di più di una comparsata in tv, può offrirsi volontario all'anatomopatologo tedesco Gunther von Hagens, il "re" della plastinazione. Con la tecnica da lui brevettata i liquidi corporei sono sostituiti con molecole di silicone e le salme si induriscono diventando opere d'arte. In pose "viventi" per l'eternità.

Anita Rubini

PER SAPERNE DI PIÙ
“Il maestro del sonno eterno”, Dario Piombino Mascali (Edizioni La Zisa). I segreti di Alfredo Salafia, mummificatore.

martedì 2 marzo 2010

CONCORSO NAZIONALE DI POESIA "CYRANO". PUBBLICA GRATIS CON LA ZISA




1. È possibile partecipare con opere poetiche inedite o in parte edite.


2. Per partecipare alla selezione basta acquistare due volumi a scelta nel catalogo della Casa Editrice La Zisa, come contributo alle spese organizzative.


3. Bisogna, quindi, inviare le poesie allegando la prova d’acquisto dei due volumi (scontrino fiscale o fattura in cui risultino i titoli dei volumi acquistati) o in alternativa è possibile fare l’ordine direttamente dal nostro sito http://www.lazisa.it/ specificando nell’e-mail di conferma ACQUISTO LIBRI PER SELEZIONE “PUBBLICA GRATIS”.


4. Le opere poetiche possono essere inviate in forma cartacea, al seguente indirizzo:
La Zisa Comunicazione soc. coop.
Via F.Guardione 5/E
90139 Palermo


o via e-mail al seguente indirizzo
edizionilazisa@gmail.com


5. In allegato alle poesie è necessario inviare una scheda bio-bibliografica, dati anagrafici e recapito dell’autore.


6. Le opere inviate saranno valutate da esperti lettori della casa editrice La Zisa. A selezione ultimata l’opera vincitrice verrà segnalata sul sito internet http://www.lazisa.it/. Saranno inoltre assegnate delle menzioni alle altre opere finaliste.


7. L’opera vincitrice della selezione verrà pubblicata gratuitamente nella collana di poesia italiana contemporanea “Le Rondini” della Casa Editrice La Zisa.


8. Il vincitore di ogni sessione riceverà 20 copie dell’opera pubblicata.


9. L’opera pubblicata verrà promossa e distribuita attraverso i consueti canali della Casa Editrice La Zisa.


10. Oltre alla pubblicazione in volume dell’opera vincitrice, è prevista la segnalazione e/o eventuale pubblicazione antologica di opere ritenute particolarmente meritevoli.


11. Le opere dovranno essere inviate entro e non oltre il 30 dicembre del 2010. La pubblicazione dell’opera premiata è prevista per il primo trimestre del 2011.

giovedì 5 novembre 2009

Palermo 6 novembre, Margherita Hack presenta il volume “Lucean le stelle. Cenni di storia dell’astronomia di Sicilia”, ed. La Zisa


Palermo 6 novembre, Margherita Hack presenta il volume “Lucean le stelle. Cenni di storia dell’astronomia di Sicilia”, Prefazione di Margherita Hack, (ed. La Zisa, pp. 224, euro 16)

Ore 17,30 La professoressa Hack presenterà il volume di Pippo Battaglia presso la libreria "Fetrinelli" di via Cavour n. 133 (tel. 091.781291 - fax. 091.320807).
Ore 21,00 L’illustre cattedratico consegnerà la targa “Giuseppe Piazzi” per la divulgazione scientifica al prof. Sebastiano Tusa. Nell’ambito delle stessa serata, dopo la presentazione del giornalista Davide Romano del volume di Pippo Battaglia, la Hack terrà una conferenza dal titolo: “Gli asteroidi e la scoperta del primo asteroide Cerere”. L'iniziativa avrà luogo presso l'Auditiorium della Rai Sicilia di viale Strasburgo, 19.

Il libro: “Lucean le stelle. Cenni di storia dell’astronomia di Sicilia”, Prefazione di Margherita Hack, (ed. La Zisa, pp. 224, euro 16)
A partire dal VI-V sec. a.C. sono stati numerosi gli scienziati siciliani che hanno dato un contributo notevolissimo alla conoscenza dell’universo, non di rado anticipando, con geniali intuizioni, ciò che successivamente è stato verificato con il supporto di apparecchi sofisticati. Basterebbe citare i nomi di Empedocle e Archimede per il mondo antico, e di G. Battista Hodierna per l’età moderna. Insieme ai nativi, altri astronomi italiani, chiamati a lavorare in Sicilia, come per es. Giuseppe Piazzi, hanno creato strutture, redatto progetti di ricerca e formato allievi di prim’ordine, segnando tappe fondamentali per la comprensione del cosmo. Tanto da poter affermare che, dalla fine del ‘700, esiste ed opera con continuità una scuola siciliana non inferiore a quelle operanti in altre parti d’Italia e nel mondo intero. Negli ultimi decenni il ruolo degli astrofisici siciliani è stato determinante nello studio dei raggi X e gamma in astronomia, in particolare sotto la guida e per impulso di eminenti personalità come Giuseppe Vaiana e Livio Scarsi. Il libro di Pippo Battaglia racconta, con un linguaggio chiaro, appassionante e puntuale, questa storia millenaria che fa onore all’intero popolo siciliano.

L'autore: Pippo Battaglia, giornalista, scrittore, nel 1993 ha fondato a Palermo la «Targa Giuseppe Piazzi», un premio internazionale per la ricerca e la divulgazione scientifica, di cui è presidente del Comitato Scientifico. Tra le diverse pubblicazioni, si ricordano: L’idea del Tempo (con Margherita Hack), Utet, Torino 2005 L’intelligenza Artificiale, Utet, Torino 2006; Leoluca Orlando racconta la mafia, Utet, Torino 2007; Orlando erzahtl die mafie, Herder Werlag, Freiburg 2008; C’è vita nell’universo (con Walter Ferreri), Lindau, Torino 2008.


Margherita Hack (Firenze, 12 giugno 1922) è un'astrofisica e divulgatrice scientifica italiana. Dopo aver compiuto gli studi presso il Liceo Classico "Galileo" di Firenze, si è laureata in fisica nel 1945 con una tesi di astrofisica sulle Cefeidi, realizzata sempre a Firenze presso l'osservatorio di Arcetri.
È stata professoressa ordinaria di astronomia dal 1964 al 1997 all'Università di Trieste, dove poi è passata nel ruolo di professore emerito dal 1998. Ha diretto l'Osservatorio Astronomico di Trieste dal 1964 al 1987, portandolo a rinomanza internazionale.
Membro delle più prestigiose società fisiche e astronomiche, Margherita Hack è stata anche direttore del Dipartimento di Astronomia dell'Università di Trieste dal 1985 al 1991 e dal 1994 al 1997. È un membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei (socio nazionale nella classe di scienze fisiche matematiche e naturali; categoria seconda: astronomia, geodesia, geofisica e applicazioni; sezione A: Astronomia e applicazioni). Ha lavorato presso numerosi osservatori americani ed europei ed è stata per lungo tempo membro dei gruppi di lavoro dell'ESA e della NASA. In Italia, con un'intensa opera di promozione, ha ottenuto che la comunità astronomica italiana espandesse la sua attività nell'utilizzo di vari satelliti giungendo ad un livello di rinomanza internazionale.
Ha pubblicato oltre 250 lavori originali su riviste internazionali e numerosi libri sia divulgativi sia di livello universitario. Nel 1994 ha ricevuto la Targa Giuseppe Piazzi per la ricerca scientifica. Nel 1995 ha ricevuto il Premio Internazionale Cortina Ulisse per la divulgazione scientifica.
Margherita Hack nel 1978 fondò la rivista bimensile L'Astronomia il cui primo numero vide la luce nel novembre del 1979; successivamente, insieme con Corrado Lamberti, diresse la rivista di divulgazione scientifica e di cultura astronomica Le Stelle.
In segno di apprezzamento per il suo importante contributo, le è stato anche intitolato l'asteroide 8558 Hack.

venerdì 30 ottobre 2009

In libreria - “I campieri di Cristo” di Nonuccio Anselmo (Ed. La Zisa - pp.192 - euro 13,00)




Il romanzo - come gli altri due precedenti dello stesso autore ('Farmacia Bisagna' e 'I leoni d'oro') - si nutre delle suggestioni della provincia, di un altro mondo al crepuscolo, quello della fine degli anni Cinquanta del Novecento, che sta per essere cancellato dal boom economico e dal benessere. Sono comunque ancora anni duri, in cui - pur se ormai lontani - non sono stati dimenticati le lotte per la terra con l'occupazione dei feudi e il sangue dei capipopolo assassinati dalla mafia e dal potere rurale. Un potere che si identifica ancora nei nobili 'feudatari'. E sono proprio loro, in questo paesino annegato nel feudo, a gestire anche i riti della Passione e del Venerdi' santo, affidati alla loro confraternita, la compagnia dei Bianchi della Maddalena. In altri termini, sono anche i padroni di Cristo, della statua che ogni anno si va ad appendere alla croce, che non puo' essere toccata dai componenti delle altre confraternite di braccianti e artigiani. Cosi' si accende un altro scontro, perche' - sostengono questi ultimi - Cristo e' di tutti. Scontro che si concludera' con il 'furto' del Cristo da parte dei 'Rossi', i piu' accesi antagonisti dei 'Bianchi'. (Ansa)


Nonuccio Anselmo, giornalista professionista, dal 1971 ha legato la sua attività al Giornale di Sicilia, dove è stato redattore capo. Ha scritto diversi saggi di storia e di folklore e i romanzi Farmacia Bisagna (Palermo, 2000) e I leoni d’oro (Palermo, 2004).

lunedì 26 ottobre 2009

Palermo 29 ottobre, Tommaso Romano presenta ANALISI di Francesco Galioto


Giovedì 29 ottobre 2009
ore 18:00 Auditorium RAI
viale Strasburgo 19 - Palermo

Il prof. Tommaso Romano presenta la silloge di poesie

ANALISI
(Ed. La Zisa - Palermo)
di Francesco Galioto

Modera il giornalista Davide Romano

E’ presente l’autore

Segue rinfresco


Queste liriche di Francesco Galioto possiedono, secondo il giudizio di Salvatore Rizzo, “una forza evocativa potente […], il cui distillato è una nostalgia non struggente, amara semmai, come di grandi e piccoli valori che si sono perduti e che si dispera di ritrovare. A volte, però, è come se risorgessero, almeno nello spasimo della memoria, come se, grazie a un’inattesa resipiscenza, trovassero nuovamente la forza di dichiararsi, di proclamare il proprio diritto di cittadinanza in una terra desolata che pare non conoscere più sentimenti né regole. C’è, in questa Analisi poetica di Francesco Galioto, in parte scovata per caso dal passato […] il leit-motiv del bilancio, attraverso una riflessione esistenziale o la semplice osservazione quotidiana, […] il raffronto severo, tra il fosco e il nuvoloso […] tra ieri e oggi, il grumo che lascia nell’anima una piccola sconfitta forse senza possibilità di rivincita […], lo smarrimento verso cui fa scivolare lentamente la consapevolezza di una rotta ormai difficile, se non impossibile, da correggere”.

Francesco Galioto (Palermo 1948), impiegato in una Azienda municipalizzata cittadina, pubblicista, vanta una lunga esperienza teatrale come autore, regista e attore in diverse compagnie filodrammatiche. Direttore responsabile del periodico “Arenella News”, ha pubblicato il volume Il presepe nella grotta, che trae spunto da alcune proprie scoperte archeologiche.