martedì 27 novembre 2018

Palermo 6 dicembre, “1963-1993. Da Pietro Valdo Panascia a Pino Puglisi, le Chiese di fronte alle mafie”



Appuntamento giovedì 6 dicembre, alle ore 17, presso il salone della Chiesa Valdese di Palermo (via dello Spezio 43 – dietro Teatro Politeama), a Palermo, per la tavola rotonda da titolo “1963-1993. Da Pietro Valdo Panascia a Pino Puglisi, le Chiese di fronte alle mafie”. Interverranno: Peter Ciaccio, pastore Chiesa Valdese Palermo; Vincenzo Ceruso, Comunità di Sant’Egidio Palermo; e Federica Raccuglia, giornalista e autrice del volume “L’uomo del dialogo contro la mafia. La storia di padre Pino Puglisi”, Edizioni La Zisa. Modererà: Davide Romano, giornalista e direttore editoriale della casa editrice La Zisa. L’evento è organizzato dalla Edizioni La Zisa e il Centro Evangelico di Cultura "Giacomo Bonelli". 

«Il cristiano non può essere mafioso». Nella loro quasi ovvia semplicità ed immediatezza queste parole recentemente pronunziate nel ricordo di Padre Puglisi da Papa Francesco a Palermo, sono state da più parti salutate come il segno di una nuova consapevolezza ecclesiale di fronte alla mafia. Un cammino discontinuo e piuttosto tortuoso, partito da territori di cristianità marginali ed esperienze pastorali periferiche e di minoranza. Già nell’estate del 1963 infatti, all’indomani della strage mafiosa di Ciaculli, il pastore valdese Pietro Valdo Panascia con una clamorosa iniziativa si appellava «a quanti hanno la responsabilità civile e religiosa del nostro popolo» per «la formazione di una più elevata coscienza morale cristiana». La chiesa cattolica reagì invece con una certa lentezza, con la lettera pastorale "Il vero volto della Sicilia" dell’Arcivescovo di Palermo, il Card. Ruffini. Una risposta, giudicata da molti insoddisfacente, ritardata dalla divergenza di vedute tra Paolo VI e lo stesso Ruffini, il quale respingeva l’idea che la mentalità mafiosa potesse in qualsiasi modo associarsi a quella religiosa.
Per trovare una nuova presa di posizione della chiesa cattolica siciliana, con le celebri omelie del Card. Pappalardo, bisognerà attendere l’epoca dei grandi delitti eccellenti, tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta del secolo scorso. La disponibilità della chiesa siciliana postconciliare, offerta da Pappalardo, a una cooperazione con lo Stato in vista del rinnovamento di una coscienza comune, anche civica, per la legalità, fu definita da alcuni “la rivoluzione degli onesti”: opporre «all’ingiustizia di molti la propria personale giustizia».
Una stagione di durata relativamente breve. Quando fu chiaro che il progetto di impegno della chiesa contro il fenomeno mafioso passava per una riformulazione politica del sostegno dell’episcopato nazionale al partito unico dei cattolici e la rimozione di quelle connivenze tra mafia e poteri dello Stato non di rado garantite da figure nominalmente cattoliche, si tornò alla vecchia difesa apologetica dallo stereotipo mafioso in nome di un’astratta identità culturale cristiana dell’uomo siciliano.
L’uccisione di Puglisi si colloca così in un periodo di sostanziale latenza del tema nel dibattito intraecclesiale. Il martirio del prete di borgata che seppe opporre al potere mafioso prassi pastorali originali ed una visione rinnovata di rievangelizzazione popolare del territorio, fu di poco preceduta dal famoso “grido” contro la mafia col quale Giovanni Paolo II, ricorrendo ad un linguaggio addirittura apocalittico, spostò bruscamente la sfida dal terreno dell’analisi socio-politica e culturale a quello espressamente escatologico.
Oggi risulta chiaro che il fenomeno mafioso, in quanto esplicitazione di un’antropologia aberrante, ha una sua rilevanza morale e teologica. Non si può fare a meno di osservare, tuttavia, che in un certo senso questa nuova coscienza collettiva giunge con più di cinquanta anni di ritardo, al termine di un non lineare cammino di una comunità ecclesiale che non ha ancora espresso compiutamente la propria autocomprensione di fronte al carattere di strutturale contrarietà al Vangelo del peccato di mafia.

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