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lunedì 28 aprile 2025

L'editoria, una malattia meravigliosa. La storia, incredibile, delle Edizioni La Zisa



Gli editori puri - quelli veri, quelli che nascono tali - sono come i cercatori d'oro: un po' folli, un po' visionari, costantemente sospesi tra l'entusiasmo della scoperta e l'orlo del fallimento. Da trent'anni osservo questa fauna particolare aggirarsi tra le fiere del libro, riconoscibili dal loro sguardo febbrile, dalla cravatta leggermente allentata, dalle occhiaie che raccontano notti trascorse a leggere manoscritti che, nella maggior parte dei casi, non pubblicheranno mai.

Le Edizioni La Zisa rappresentano perfettamente questo spirito di avventura culturale. Fondate con l'intento di dare voce a una Sicilia diversa da quella dei luoghi comuni, hanno costruito nel tempo un catalogo che è specchio fedele di questa filosofia: coraggioso, eclettico, mai scontato. Come mi confidò una volta Davide Romano, ex direttore editoriale della casa editrice: "Pubblicare libri in Sicilia è un atto di resistenza culturale, una sfida quotidiana contro l'indifferenza e il disincanto."

"Fare libri" - espressione deliziosa nella sua semplicità - racchiude un universo di passione, follia e calcoli disperati che solo chi vi è immerso può comprendere fino in fondo. La creazione di un libro è un atto che ha qualcosa di demiurgico: si prende una sostanza informe - pensieri, idee, storie - e le si dà forma concreta, materiale, destinata a sopravvivere al suo stesso creatore.

Romano, con il suo approccio meticoloso e la sua visione chiara, ha saputo impostare una linea editoriale riconoscibile per La Zisa, puntando su temi forti come la legalità, la memoria storica, l'identità mediterranea. "Un libro non è solo un prodotto", ripeteva spesso durante le riunioni editoriali, "è un seme che piantiamo nella coscienza collettiva, sperando che germogli al momento giusto."

Il vero editore è un personaggio paradossale: conservatore e rivoluzionario allo stesso tempo. Custode di una tradizione millenaria e, al contempo, in costante ricerca dell'innovazione che potrebbe scardinare il mercato. Le Edizioni La Zisa incarnano questa duplicità: da un lato recuperano e valorizzano la tradizione culturale siciliana, dall'altro esplorano nuovi linguaggi e tematiche contemporanee, tenendo sempre lo sguardo rivolto verso l'altra sponda del Mediterraneo.

Poi, il grande salto. Le Edizioni La Zisa lasciano la loro Palermo per trasferirsi a Firenze, in una mossa che ha sorpreso molti nel settore. Un trapianto geografico che non è solo un cambio di sede, ma una vera e propria scommessa culturale. Dalla culla della cultura arabo-normanna alla patria del Rinascimento: un viaggio simbolico che rappresenta la volontà di espandere i propri orizzonti, di confrontarsi con nuove realtà, di tessere nuove trame editoriali.

"Cambiare città è un po' come cambiare pelle", mi ha confidato un redattore della casa editrice, "conservi la tua identità ma la arricchisci di nuove prospettive, di nuovi stimoli." E Firenze, con la sua stratificazione culturale millenaria, con le sue biblioteche prestigiose, con la sua comunità di lettori esigenti, rappresenta un terreno fertile per chi fa del libro la propria ragione di vita.

Vi è una verità che ogni editore conosce intimamente: per ogni bestseller che sostiene economicamente la casa editrice, ci sono decine di titoli che non raggiungeranno mai il pareggio dei costi. Eppure, si continuano a pubblicare, perché l'editoria non è solo un'impresa commerciale, ma un atto culturale. La collana "Mediterranea" de Le Edizioni La Zisa, fortemente voluta da Romano, è emblematica di questa visione: testi che costruiscono ponti tra culture diverse, che esplorano territori letterari poco battuti, che offrono al lettore stimoli e prospettive nuove.

A Firenze, questa vocazione si arricchisce di nuove possibilità: la vicinanza con istituzioni culturali prestigiose, la presenza di un'università con una solida tradizione umanistica, la possibilità di dialogare con altre realtà editoriali che hanno fatto della qualità la propria bandiera. Un contesto che promette di essere fertile per nuove collaborazioni, nuovi progetti, nuove scoperte.

Ho conosciuto piccoli editori come Le Edizioni La Zisa che hanno rischiato tutto per pubblicare opere di valore che le grandi case editrici avevano rifiutato. Romano mi raccontò una volta di come avessero deciso di pubblicare un saggio storico complesso e impegnativo, consapevoli che le vendite sarebbero state limitate ma convinti dell'importanza culturale dell'operazione. "In certi casi", diceva, "il valore di un libro non si misura in copie vendute ma in menti stimolate."

L'editore vive con un piede nel passato e uno nel futuro. Cerca di interpretare il presente attraverso una sensibilità che è frutto di stratificazioni culturali, di esperienze accumulate, di intuizioni fulminee. Le Edizioni La Zisa, ora con la loro sede nel cuore di Firenze, assorbono e restituiscono l'energia di una città che ha sempre fatto della cultura il proprio tratto distintivo. Il dialogo tra l'anima siciliana della casa editrice e il genius loci fiorentino promette di generare frutti interessanti, ibridazioni culturali, contaminazioni feconde.

Vi è poi la questione del rapporto con gli autori, che meriterebbe un trattato a parte. L'editore è un po' confessore, un po' psicologo, un po' banchiere e, in alcuni casi, anche babysitter. Deve saper gestire ego smisurati, crisi creative, ritardi nella consegna e, talvolta, manoscritti che arrivano completamente diversi da quello che si era concordato. Romano era maestro in quest'arte della mediazione: sapeva essere fermo quando necessario e comprensivo quando la situazione lo richiedeva. "Gli autori sono come bambini", mi disse una volta con un sorriso, "hanno bisogno di regole chiare e di tanto, tanto amore."

Il trasferimento a Firenze rappresenta anche l'opportunità di allargare il proprio parco autori, di intercettare nuove voci, di costruire un catalogo che sia sempre più un ponte tra Sud e Centro Italia, tra la cultura isolana e quella continentale. Una sfida non da poco, che richiede sensibilità, intelligenza e quella capacità di visione che ha sempre contraddistinto Le Edizioni La Zisa.

Chiunque abbia messo piede nella sede de Le Edizioni La Zisa sa che i libri, prima di arrivare sugli scaffali delle librerie, passano attraverso un processo quasi alchemico: dalla scelta del manoscritto all'editing, dalla grafica all'impaginazione, dalla stampa alla distribuzione. Ogni fase comporta decisioni che possono determinare il successo o il fallimento di un'opera. Romano presiedeva a questo processo con la meticolosità di un artigiano e la visione d'insieme di un architetto, consapevole che ogni dettaglio contribuisce all'identità finale del libro.

A Firenze, questo processo si arricchisce di nuove possibilità: la vicinanza con tipografie storiche, la presenza di artigiani del libro che perpetuano antiche tradizioni, la possibilità di dialogare con designer e grafici formatisi in una città dove il senso estetico è parte integrante dell'identità collettiva. Una combinazione che promette di elevare ulteriormente la qualità formale delle pubblicazioni de Le Edizioni La Zisa.

La sfida maggiore per una casa editrice come Le Edizioni La Zisa è quella della distribuzione. In un mercato dominato dai grandi gruppi, farsi spazio e ottenere visibilità è una battaglia quotidiana. Romano aveva compreso l'importanza di costruire relazioni solide con librerie indipendenti e biblioteche, di creare eventi che trasformassero la presentazione di un libro in un'esperienza culturale completa, di utilizzare i social media non solo come vetrina ma come spazio di dialogo con i lettori.

Firenze, con la sua rete di librerie storiche e indipendenti, con i suoi festival letterari, con la sua comunità di lettori curiosi e attenti, offre un terreno fertile per questa strategia. La posizione centrale nella penisola, inoltre, facilita la distribuzione e la logistica, permettendo di raggiungere più agevolmente un pubblico nazionale.

L'editoria è un settore in costante evoluzione. L'avvento del digitale ha rivoluzionato non solo il modo di leggere ma anche quello di produrre e distribuire i libri. Le Edizioni La Zisa hanno saputo abbracciare queste trasformazioni senza perdere la propria identità, esplorando nuovi formati e canali senza rinunciare alla qualità che ha sempre contraddistinto il loro catalogo.

Firenze, con le sue eccellenze nel campo della digitalizzazione e della conservazione del patrimonio culturale, offre opportunità interessanti per chi vuole coniugare tradizione e innovazione. La vicinanza con centri di ricerca e università può favorire collaborazioni feconde, sperimentazioni, progetti innovativi che possono aprire nuove strade nel mondo dell'editoria.

Vi è qualcosa di profondamente politico - nel senso più alto del termine - nel fare libri. Significa partecipare attivamente alla costruzione dell'immaginario collettivo, influenzare il dibattito pubblico, offrire strumenti di comprensione e interpretazione della realtà. Le Edizioni La Zisa lo fanno da sempre, pubblicando testi che affrontano temi scomodi, che danno voce a chi spesso non ne ha, che illuminano angoli bui della nostra storia e della nostra società.

"Un buon editore", mi disse una volta Romano, "deve avere tre qualità fondamentali: curiosità insaziabile, pazienza infinita e un pizzico di follia." Qualità che certamente non gli mancavano e che ha saputo trasmettere a tutti coloro che hanno lavorato con lui. La sua eredità alla guida de Le Edizioni La Zisa è un catalogo ricco e variegato, che spazia dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai libri per ragazzi, sempre con un'attenzione particolare alla qualità dei contenuti e alla cura formale.

L'editoria è un mestiere antico che si rinnova continuamente. È un ponte tra passato e futuro, tra autore e lettore, tra cultura alta e cultura popolare. È un atto di fede nella parola scritta e nella sua capacità di resistere al tempo e all'oblio. Le Edizioni La Zisa, con il loro impegno culturale e la loro visione, adesso trapiantate nel fertile terreno fiorentino, rappresentano perfettamente questa concezione dell'editoria come missione più che come professione.

In un'epoca di bestseller costruiti a tavolino e di logiche puramente commerciali, case editrici come Le Edizioni La Zisa, che hanno fatto della qualità e dell'indipendenza la propria bandiera, sono più preziose che mai. Come sottolineava spesso Romano, "pubblicare un libro è sempre un atto politico, una scelta di campo, una dichiarazione di intenti."

E allora, lunga vita agli editori visionari, a quelli che non si accontentano del già visto e del già letto, a quelli che sanno rischiare e innovare. Lunga vita a chi, come Le Edizioni La Zisa, continua a credere che i libri possano davvero cambiare il mondo, un lettore alla volta. Ora più che mai, dalla loro nuova casa nel cuore pulsante della cultura italiana.

(Anna Miraglia)

venerdì 18 aprile 2025

La Zisa: 37 anni di impegno civile e culturale dalla "parte sbagliata"



Nel panorama editoriale italiano, poche case editrici possono vantare un impegno civile e culturale così profondo e duraturo come La Zisa. Fondata a Palermo nel 1988, questa realtà editoriale rappresenta molto più di una semplice impresa commerciale: è un vero e proprio baluardo di resistenza culturale, un faro di pensiero critico che ha saputo mantenere viva la sua missione originaria pur evolvendo con i tempi.

Le case editrici, come gli uomini, hanno un'anima. E se l'anima resta fedele a sé stessa, anche quando cambia casa, non si può dire che tradisca. Questa riflessione coglie perfettamente l'essenza del percorso de La Zisa, che recentemente ha intrapreso una nuova avventura trasferendosi a Firenze, senza però tradire le proprie radici siciliane. Non un addio alla sicilianità, ma un modo per portarla nel cuore della tradizione culturale italiana.

La Zisa si è rapidamente affermata come voce autorevole nel panorama dell'editoria di qualità, grazie a una linea editoriale coraggiosa che non ha mai temuto di schierarsi apertamente "dalla parte sbagliata" - come orgogliosamente rivendica - ovvero al fianco degli ultimi, contro ogni sopruso e ingiustizia, dando spazio a voci scomode ma necessarie.

Come scrisse Leonardo Sciascia: "La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c'è più né sole né luna, c'è la verità." Ed è proprio questa ricerca della verità, anche quando scomoda, che ha caratterizzato il percorso editoriale de La Zisa.

Il percorso della casa editrice si articola in tre fasi ben distinte. La prima, che abbraccia l'ultimo scorcio del Novecento (1988-1999), ha visto La Zisa delineare con chiarezza la propria identità come soggetto culturale profondamente radicato nella realtà siciliana e palermitana. In questi anni, la casa editrice guidata da Maurizio Rizza ha avuto l'ardire di scommettere sui libri nel momento in cui Palermo sembrava dover affondare nei suoi dolori. Ha ospitato firme prestigiose quali Napoleone Colaianni, Nicola Barbato e figure emblematiche della lotta alla mafia come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto. A questi si sono affiancati intellettuali del calibro di Andrea Camilleri, Giancarlo Caselli e Gherardo Colombo.

Come sottolineava Andrea Camilleri: "La cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini." Ed è proprio questo tipo di cultura che La Zisa ha cercato di promuovere.

Particolarmente significativo è stato l'impegno contro la mafia, con pubblicazioni che hanno contribuito a svelare la natura proteiforme del fenomeno mafioso, il suo radicamento sul territorio e i suoi intrecci con economia e politica. La Zisa ha così offerto una piattaforma preziosa a chi, in prima linea nell'impegno istituzionale e civile, necessitava di strumenti per comunicare direttamente con il pubblico.

Come ricordava Giovanni Falcone: "La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine." Ed è proprio questa convinzione che ha animato molte delle pubblicazioni de La Zisa.

Il secondo periodo (2000-2007) ha rappresentato una fase di transizione e ampliamento degli orizzonti. I temi tradizionali sono stati approfonditi con maggiore ampiezza, includendo analisi sui nuovi soggetti politici emergenti e sulle profonde trasformazioni del panorama sociale italiano. Lo sguardo si è allargato anche ad altre confessioni religiose oltre il cattolicesimo, come testimonia il saggio sulla storia e il martirio dei Valdesi. Anche l'interesse per la Sicilia si è diversificato, abbracciando nuovi ambiti di ricerca storica e sociale, come la storia dell'astronomia nell'isola con un'introduzione di Margherita Hack.

In questo periodo, la letteratura sulla criminalità organizzata si è arricchita di nuove prospettive, come l'analisi della 'ndrangheta, di cui La Zisa ha pubblicato la relazione integrale della Commissione parlamentare d'inchiesta, offrendo così un contributo fondamentale alla comprensione di un fenomeno in rapida evoluzione.


La svolta internazionale e il trasferimento a Firenze

La terza fase, iniziata nel 2007 con l'avvento di Davide Romano alla guida della casa editrice, ha visto un'ulteriore evoluzione. Pur mantenendo salde le linee editoriali tradizionali incentrate sulla critica sociale e politica – con opere come l'inchiesta di Sante Sguotti su pedofilia e celibato nella Chiesa o le biografie di Paolo Borsellino e Padre Puglisi – La Zisa ha ampliato la propria offerta includendo nuovi generi e collane dedicate alla poesia, alla narrativa e alla saggistica culturale.

L'orizzonte geografico e culturale si è espanso fino ad abbracciare quello che viene definito il "Mediterraneo esteso", con la pubblicazione di opere provenienti dalla Grecia – come quelle del premio Nobel Ghiorgos Seferis con "Sei notti sull'Acropoli" – e dal Vicino Oriente, oltre a testi che esplorano tradizioni culturali diverse come quella ebraica italiana con "Poesia nascosta" di Ines De Benedetti sulla cucina tradizionale ebraica.

Come affermava lo stesso Seferis: "Ovunque io vada, la Grecia mi ferisce", parole che risuonano come un eco del legame viscerale che La Zisa mantiene con la Sicilia pur ampliando i propri orizzonti.

Il recente trasferimento a Firenze non rappresenta un tradimento delle origini, ma piuttosto una strategia intelligente di sopravvivenza e crescita. Firenze offre strutture, connessioni e collaborazioni istituzionali e universitarie che consentono una diffusione più capillare del catalogo. È anche più vicina all'Europa, verso cui La Zisa ha sempre guardato, con le sue collane uniche in Italia di letteratura neogreca e i rapporti con enti culturali internazionali. Non ci saranno più gli odori della Kalsa o il frastuono dei mercati palermitani a fare da sottofondo alla sede della casa editrice, ma i libri restano, e continuano a parlare di Sicilia, di mafia e antimafia, di letteratura e di poesia mediterranea.

Come diceva François Mauriac, uno degli autori pubblicati dalla casa editrice: "Quello che conta non è ciò che si guarda, ma ciò che si vede." E La Zisa ha sempre cercato di vedere oltre le apparenze, di scavare in profondità nella complessità del reale.


Un patrimonio culturale in movimento

Ciò che distingue La Zisa nel panorama editoriale italiano è proprio questa capacità di mantenere un'identità forte e riconoscibile pur evolvendosi con i tempi. La casa editrice non si è mai limitata a essere un semplice produttore di libri, ma ha sempre concepito il proprio ruolo come quello di un'impresa intellettuale condivisa, di un soggetto politico collettivo animato da ideali di partecipazione, inclusione e riduzione delle distanze sociali e culturali.

Come scriveva Gesualdo Bufalino: "La Sicilia ha inventato la malinconia, i siciliani il rimpianto." Ma La Zisa ha dimostrato che oltre la malinconia e il rimpianto c'è la possibilità di un impegno concreto, di una resistenza culturale che non si piega alle logiche del mercato o del potere.

In un'epoca in cui l'editoria attraversa profondi cambiamenti e difficoltà, La Zisa rappresenta un modello virtuoso di resilienza culturale. La sua longevità non è frutto del caso, ma della coerenza con cui ha perseguito la propria missione, adattandosi ai cambiamenti senza mai tradire i propri valori fondanti.

Oggi, a 37 anni dalla fondazione, La Zisa costituisce un autentico patrimonio civile per l'Italia intera: una riserva di energie morali e intellettuali che continua a crescere e a sviluppare il proprio progetto editoriale con rinnovato entusiasmo. Il suo esempio ci ricorda che fare cultura significa anche prendere posizione, schierarsi dalla parte giusta - o, come direbbe La Zisa stessa, dalla "parte sbagliata" - per contribuire alla costruzione di una società più giusta e consapevole.

L'augurio, come sottolineato dalla stessa casa editrice, è che realtà come questa possano moltiplicarsi e prosperare, continuando a immaginare e a realizzare quell'universo di valori che La Zisa persegue da quasi quattro decenni con tenacia e passione. In un mondo sempre più polarizzato e frammentato, l'impegno civile e culturale di questa determinata casa editrice rappresenta un faro di speranza e un modello da seguire.

Come affermava Italo Calvino: "Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire." Allo stesso modo, La Zisa non ha ancora finito di dire la sua, e continuerà a farlo, da Firenze, con la stessa passione e lo stesso impegno che l'hanno caratterizzata sin dalla sua nascita nel cuore di Palermo.

sabato 5 aprile 2025

“Sicilia, l’isola che non ama leggere (neppure i quotidiani). I record negativi della terra del sole” di Davide Romano

 


 

Il deserto delle pagine che avanza nell'isola del sole e dei contrasti. 

 

Indice di lettura in Sicilia: una questione culturale o strutturale?

Gli ultimi dati sulle capacità di lettura di noi siciliani, provenienti dall'Associazione Italiana Editori, non sono soltanto impietosi: sono il ritratto di una catastrofe culturale che si consuma nel silenzio complice delle istituzioni. Come diceva Leonardo Sciascia, nostro illustre conterraneo: "La Sicilia ha questo di tremendo: che tutto vi accade come dovunque, ma con una intensità che altrove non si riscontra". Anche il non leggere, in Sicilia, avviene con un'intensità particolare.

Sapevamo già che il nostro popolo era fra quelli che leggevano di meno in Italia, ma ora il divario con il resto del paese – e in particolare con le province del Nord – e gli altri paesi europei si configura come un abisso incolmabile, una voragine che inghiotte speranze e possibilità di riscatto. Siamo un'isola anche in questo: isolati dalla cultura, dal sapere, dalla conoscenza che si trasmette attraverso la parola scritta.

Pier Paolo Pasolini, che amava la Sicilia ma ne conosceva anche i limiti, aveva intuito questo dramma: "La cultura è una difesa contro le offese della vita". E noi siciliani, a quanto pare, siamo sempre più indifesi.

 

I numeri del disastro: percentuali che raccontano una disfatta

La situazione delineata dalle varie percentuali presentate dall'AIE è davvero drammatica. Nel sud Italia solo il 62% della popolazione ha aperto almeno un libro nell'ultimo anno, mentre in Sicilia il dato è ancora più drammatico: esso si assesta al 60%. Una cifra che fa rabbrividire, se pensiamo che in alcune regioni del Nord si supera l'80%.

E attenzione: bisogna ricordare che "aprire un libro" non vuol dire riuscire a leggerlo tutto. Uno può aprirlo, sfogliarlo, magari guardare le figure, e poi richiuderlo, come si richiude una porta su un mondo che non ci appartiene. E poi bisogna anche valutare di quale testo si sta parlando. Con tutto il rispetto per i ricettari di cucina siciliana (ottima, per carità!), per le biografie dei vari influencer dalle teste vuote e per le raccolte di barzellette che fanno ridere solo chi le scrive, la cultura è altra cosa.

Come diceva Umberto Eco: "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito... perché la lettura è un'immortalità all'indietro". Ma a quanto pare, noi siciliani preferiamo la mortalità della nostra singola esistenza.

 

Lettori occasionali e abituali: un'isola divisa in due

Nel Sud e nelle Isole, inoltre, si registra una più alta percentuale di lettori occasionali, che si limitano a leggere un massimo di 3 libri all'anno. Essi risultano il 37% dei lettori, mentre la percentuale di lettori abituali che leggono anche più di 12 libri all'anno è in linea con il centro nord. Si tratta dell'8% del totale di tutti i lettori.

Abbiamo quindi un'élite di lettori forti, che resistono come Asterix e Obelix nel villaggio gallico circondato dai romani, e poi una massa di non-lettori o di lettori occasionali che sfogliano un libro come si sfoglia un album di figurine: distrattamente, senza passione, senza quella fame di conoscenza che dovrebbe essere il motore della crescita personale e sociale.

Italo Calvino, che di libri se ne intendeva, ammoniva: "Chi usa la letteratura per distrarsi vuole solo utilizzare una facoltà che in lui resta attiva, quella dell'attenzione". Ma l'attenzione del siciliano medio sembra essere catturata da ben altro: dallo smartphone, dalla televisione, dai pettegolezzi di paese che rimbalzano di bocca in bocca più velocemente di un virus.

 

La crisi della carta stampata: un altro tassello del mosaico

Ugualmente drammatica la situazione dei quotidiani e delle riviste. Come indicato dagli stessi direttori di giornale, le vendite continuano a diminuire e ci sono territori centrali della nostra regione che sembrano possedere poche decine di lettori, quasi tutti anziani che presentano delle difficoltà nell'usare il web.

Indro Montanelli, maestro di giornalismo, diceva: "Un paese che ignora il proprio ieri, non può avere un domani". E noi siciliani sembriamo ignorare non solo il nostro ieri, ma anche il nostro oggi, riportato sulle pagine dei giornali che nessuno legge più.

I quotidiani locali, che un tempo erano il termometro della vita sociale e politica dei nostri paesi, ora sopravvivono a stento, ridotti a contenitori di necrologi e pubblicità di mobilifici in svendita perpetua. Come se la morte e il consumo fossero le uniche notizie che interessano ancora.

 

Le biblioteche: cattedrali nel deserto

Anche il patrimonio librario delle nostre biblioteche risulta essere carente. Esso è molto vecchio e sottodimensionato rispetto alle collezioni delle biblioteche del settentrione. Si sta parlando di circa 1763 libri per mille abitanti contro i 3244 volumi disponibili nel centro nord.

Le nostre biblioteche sembrano essere diventate ciò che Borges, maestro della narrativa e bibliotecario lui stesso, temeva: "Ho sempre immaginato il Paradiso come una specie di biblioteca". Ma le nostre, di biblioteche, sono più simili a un Purgatorio dimenticato: scaffali polverosi, libri ingialliti dal tempo, cataloghi che si fermano agli anni '90 come se il millennio nuovo non fosse mai arrivato.

Ciò non vuol dire che la Sicilia e le altre regioni del sud Italia non presentano collezioni bibliografiche di pregio. La stessa presenza di numerosi archivi statali e regionali nel nostro territorio va contro questa semplicistica lettura, ma come si può immaginare queste collezioni dispongono di volumi alquanto superati e non aggiornati.

Marginale è anche il ridotto numero di accessi alle biblioteche. All'interno della nostra regione su ogni mille abitanti si registrano poco meno di cento accessi alle biblioteche, contro la media italiana, che è di circa 568 accessi. Molto distante la media del centro nord, che si attesta ai 774 accessi.

Antonio Gramsci, nel secolo scorso, scriveva: "Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza". Ma come può istruirsi un popolo che non ha accesso ai libri, o che, pur avendolo, preferisce dedicare il proprio tempo ad attività che richiedono meno sforzo intellettuale?

 

La chiusura delle librerie e delle edicole: un territorio culturalmente desertificato

Una delle cause principali di questa situazione è la difficoltà di accesso ai libri, con la chiusura di centinaia di edicole e di librerie in tutto il territorio regionale. I piccoli centri sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto. In molti comuni siciliani non esiste più un solo punto vendita di libri o giornali. Bisogna fare chilometri per trovare una libreria, e quando la si trova, spesso è una di quelle grandi catene che privilegiano i bestseller e le novità del momento, trascurando la cultura locale e i piccoli editori.

Gustave Flaubert sosteneva che "Leggere per innalzarsi è la cosa più nobile che si possa fare". Ma come si fa ad innalzarsi se non c'è nemmeno la possibilità materiale di procurarsi un libro? È come pretendere che un contadino coltivi la terra senza avere né seme né aratro.

Le librerie non sono solo punti vendita, sono presidi culturali, luoghi di incontro e di scambio, spazi dove le idee circolano insieme ai libri. La loro chiusura rappresenta un impoverimento non solo commerciale ma anche sociale e intellettuale.

 

L'abbandono scolastico: il seme della non-lettura

Un altro fattore determinante è l'abbandono scolastico, piaga che affligge la nostra isola con percentuali tra le più alte d'Italia. I ragazzi che lasciano la scuola difficilmente diventeranno lettori. La scuola è il luogo dove, tradizionalmente, si impara ad amare i libri, dove si acquisiscono gli strumenti per comprendere e apprezzare la lettura.

Maria Montessori, grande pedagogista, insegnava che "Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere". Ma se il bambino abbandona la scuola, quel fuoco non sarà mai acceso, e con esso si spegne anche la possibilità di una vita illuminata dalla conoscenza.

Le statistiche ci dicono che i giovani siciliani tra i 15 e i 17 anni sono i più propensi alla lettura (86%), seguiti da quelli tra i 18 e i 24 anni (79%). Questo dato potrebbe sembrare incoraggiante, ma in realtà è emblematico di un problema più profondo: man mano che si cresce, si smette di leggere. La scuola, finché si frequenta, mantiene vivo l'interesse per i libri. Ma una volta fuori, in una società che non valorizza la cultura, quell'interesse si affievolisce fino a scomparire.

 

La competizione con i nuovi media: una battaglia impari

Non possiamo ignorare l'impatto dei nuovi media sulle abitudini di lettura. Smartphone, social network, videogiochi e piattaforme di streaming offrono un intrattenimento immediato, che non richiede lo sforzo che invece è necessario per leggere un libro.

Marshall McLuhan, visionario teorico della comunicazione, aveva previsto: "Il medium è il messaggio". E il messaggio dei nuovi media sembra essere: perché sforzarsi di leggere quando si può guardare? Perché costruirsi un'opinione quando si può condividere quella altrui con un semplice click?

In Sicilia, terra di contraddizioni, questo fenomeno si amplifica. Siamo tra le regioni con la più alta penetrazione di smartphone e social network, ma con il più basso indice di lettura. Preferiamo scorrere le pagine virtuali di Facebook piuttosto che quelle reali di un libro.

 

Una speranza per il futuro: i giovani lettori

In questo scenario desolante bisogna tuttavia valorizzare alcuni importanti segnali di speranza. La maggioranza dei lettori siciliani risulta più giovane di 25 anni (i lettori dai 15 ai 17 anni sono l'86%, mentre quelli dai 18 ai 24 anni il 79%).

Questo dato, apparentemente positivo, deve però essere interpretato con cautela. I giovani leggono per obbligo scolastico o per genuino interesse? Continueranno a leggere anche dopo i 25 anni, quando saranno immersi nel mondo del lavoro (per chi avrà la fortuna di trovarlo) e nelle responsabilità familiari?

Eugenio Montale, poeta e giornalista, scriveva: "La cultura non è professione per pochi: è una condizione per tutti, che completa l'esistenza dell'uomo". Ma in Sicilia questa condizione sembra essere appannaggio di una minoranza sempre più esigua.

 

L'insoddisfazione come motore di cambiamento

Un altro dato interessante è che buona parte della popolazione siciliana si ritiene insoddisfatta dell'offerta culturale presente all'interno della propria regione e spinge per una valorizzazione del mercato librario interno.

C'è dunque una domanda di cultura che non trova risposta adeguata. C'è una sete di conoscenza che non ha fontane a cui abbeverarsi. C'è un desiderio di crescita intellettuale che si scontra con la povertà dell'offerta.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel suo capolavoro "Il Gattopardo", faceva dire al Principe di Salina: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi". Ma in Sicilia, paradossalmente, sembra che tutto cambi (tecnologie, abitudini, stili di vita) affinché tutto resti com'è: un'isola ai margini della cultura.

 

Conclusioni: un appello all'azione

La situazione della lettura in Sicilia non è solo un problema culturale, ma sociale ed economico. Una popolazione che non legge è una popolazione più facilmente manipolabile, meno critica, più incline all'accettazione passiva dello status quo.

Federico García Lorca, che della Sicilia fu innamorato, scriveva: "Un popolo che non aiuta e non favorisce la sua cultura è un popolo che non solo perde la sua identità ma commette un suicidio sociale". Noi siciliani siamo sul ciglio di questo baratro.

È necessario un piano di intervento serio e articolato: investimenti nelle biblioteche, incentivi per l'apertura di nuove librerie, campagne di promozione della lettura, valorizzazione degli autori locali, collaborazione tra scuole e istituzioni culturali.

Ma soprattutto è necessario un cambiamento di mentalità. Dobbiamo capire che leggere non è un lusso o un passatempo per intellettuali con la puzza sotto il naso. Leggere è un diritto, un bisogno, una necessità per chiunque voglia essere veramente libero.

Come diceva Gianni Rodari, scrittore e pedagogista: "Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo". E noi siciliani di schiavitù ne abbiamo conosciute fin troppe nella nostra storia millenaria. È tempo di liberarci anche da questa, la più subdola: l'ignoranza.

Le Edizioni La Zisa traslocano a Firenze. Ma Palermo non si scorda

 


 

Le case editrici, come gli uomini, hanno un’anima. E se l’anima resta fedele a sé stessa, anche quando cambia casa, non si può dire che tradisca. Ecco perché non bisogna piangere troppo se le Edizioni La Zisa, nate a Palermo nel 1988, hanno deciso di rifare le valigie e mettere radici a Firenze. No, non è un addio alla sicilianità, ma semmai un modo per portarla, con orgoglio e consapevolezza, nel cuore stesso della tradizione culturale italiana.

Per chi non lo sapesse — e dovrebbero saperlo in molti — La Zisa non è stata una casa editrice qualsiasi. È stata, ed è, un’avventura culturale nata in un momento in cui Palermo sembrava dover affondare nei suoi dolori. Invece, nel bel mezzo di un’isola in ebollizione, Maurizio Rizza e i suoi compagni di viaggio hanno avuto l’ardire (che è sempre la forma più onesta del coraggio) di scommettere sui libri. Non solo ristampe e memorie: ma pensiero, inchiesta, letteratura di frontiera. Una casa editrice, insomma, che ha voluto raccontare la Sicilia senza incensarla, senza deformarla, senza imbellettarla. E per questo, proprio per questo, l’ha amata come si ama una terra che è madre e matrigna.

Che poi, diciamolo, non si campa di soli affetti. Il mondo editoriale è cambiato, il baricentro culturale si è spostato, e Palermo, pur restando uno scrigno di passioni, non è più il crocevia che era un tempo. Firenze, al contrario, offre strutture, connessioni, collaborazioni istituzionali e universitarie che consentono una diffusione più capillare del catalogo. Non è un tradimento, è una necessità. Anzi, è una strategia di sopravvivenza intelligente.

Ci sono poi i numeri, che non mentono. Firenze è più vicina all’Europa — e La Zisa ha sempre guardato all’Europa, con le sue collane uniche in Italia di letteratura neogreca (poesia e narrativa), i rapporti con enti culturali internazionali, e autori che vanno da François Mauriac a Ghiorgos Seferis. Con la guida di Davide Romano dal 2007, la casa editrice non ha smesso di pensare in grande, ma ha imparato a parlare più lingue, a dialogare con nuovi pubblici, a superare la logica dell’isolamento culturale che spesso soffoca il Sud.

Certo, non ci saranno più gli odori della Kalsa o il frastuono dei mercati palermitani a fare da sottofondo alla sede della casa editrice. Ma i libri restano. E se i libri parlano ancora di Sicilia, di mafia e antimafia, di letteratura e di poesia mediterranea, allora vuol dire che Palermo — quella vera, fatta di parole e di sogni — non è mai andata via.

E forse, in fondo, è proprio questo che conta.

sabato 26 ottobre 2024

Scrivere un libro di successo si può? Alcuni consigli e qualche riflessione con un pizzico di ironia

















Scrivere un libro di grande successo è un’impresa che può essere paragonata a una lotteria: chiunque può tentare la fortuna, ma nessuno sa veramente chi vincerà. La buona notizia è che partecipare è facile. La cattiva notizia? Perdere è un’opzione molto probabile. Paul Valéry sosteneva che "scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti". Ebbene, molti scrittori temono di essere interrotti non da una conversazione, ma da un editor che esclama: “Questo non vale nemmeno il prezzo della carta!”


L'idea: il cuore della creazione (o il colpo di genio)

Il primo passo è sempre l’idea, un po’ come cercare di trovare il pezzo mancante di un puzzle in un cassetto pieno di calzini spaiati. Deve essere originale, scintillante, un vero e proprio colpo di genio. Orwell affermava che "il pensiero corretto dipende dalla capacità di utilizzare le parole in modo corretto". Ma come dimenticare le opere derivate da idee che sembravano completamente insensate e che, incredibilmente, hanno conquistato il mondo?

Pensate a Il codice Da Vinci di Dan Brown. Un thriller che gioca con simboli e religione, venduto a milioni di copie, ma che nel suo profondo non è altro che un rompicapo per chi ama mettere in discussione tutto. Se qualcuno avesse detto che un libro su una caccia al tesoro nella storia dell'arte avrebbe avuto successo, lo avremmo guardato come si guarda un giardiniere con un cactus in mano: con grande scetticismo.


La struttura: un’architettura solida (o un palazzo di vetro)

Una volta definita l’idea, è tempo di costruire una struttura. Aristotele ci avverte: "La qualità della prosa dipende dalla qualità della struttura". Peccato che alcuni dei libri più amati abbiano strutture che sfidano ogni logica. Prendiamo ad esempio Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry: chi avrebbe mai pensato che una favola per bambini sarebbe diventata un capolavoro universale? È un po’ come se un architetto avesse deciso di costruire una torre di Pisa per un concorso di bellezza.

Eppure, libri come Moby Dick di Melville, che all’epoca fu un vero flop editoriale, oggi è considerato un pilastro della letteratura. Chi l’avrebbe mai detto? Il fatto che oggi si studi Moby Dick nelle scuole è la prova che il pubblico può essere sorprendentemente imprevedibile.


Scrivere con disciplina: l’atto della creazione

Stephen King, nel suo On Writing, ci esorta a scrivere ogni giorno, un approccio che sembra sagace, se non fosse per il fatto che l’ispirazione spesso decide di prendersi una vacanza ai Caraibi. "Scrivere un milione di parole ti rende un autore; scriverne dieci milioni ti rende un maestro", afferma. Ma per alcuni, è più una lotta da gladiatori in un’arena, dove l’ispirazione è l’ultimo dei gladiatori a scendere in campo. Non a caso, molti aspiranti scrittori si ritrovano a vagabondare tra le pagine di manoscritti non pubblicati, come anime in pena alla ricerca di un lettore.


Revisione: il lavoro di finitura (o la battaglia di Stalingrado)

Non dimentichiamoci del processo di revisione, quel momento in cui il nostro lavoro di cuore si trasforma in un campo di battaglia. Pavese lo sapeva bene: "La scrittura è un atto di coraggio". Ma se la revisione è un atto di coraggio, il rifiuto da parte degli editori è una vera e propria prova di resistenza. Pensate a J.K. Rowling: rifiutata da ben dodici editori prima di trovare finalmente un editore disposto a pubblicare la sua storia di un maghetto con gli occhiali. Chi l’avrebbe mai detto? Oggi Rowling è diventata una delle autrici più ricche del mondo. Ma quanti possono vantarsi di una carriera di rifiuti come la sua?


Il messaggio: l’essenza del successo (o il labirinto dell’interpretazione)

Il messaggio è l’anima del libro. Nietzsche ci ricorda: "Chi ha un perché può affrontare qualsiasi come". Ma i lettori a volte interpretano il messaggio in modi che nemmeno l’autore avrebbe mai immaginato. Un esempio emblematico è Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald, spesso considerato una critica alla società americana, ma che per alcuni è solo la storia di un uomo con un sogno e una camicia bianca molto costosa. Chi può dire quale sia la verità?


La magia della scrittura e il ruolo del caso

Ora, dopo aver discusso di tutti questi aspetti fondamentali, giungiamo al punto cruciale: tutto è affidato al caso. Scrivere un libro di successo è come giocare alla roulette russa con le parole: non sai mai dove ti porteranno. Anche i migliori piani possono naufragare senza nemmeno un sospiro, mentre opere scritte in un pomeriggio di ispirazione casuale possono diventare fenomeni mondiali.

Pensate ai famosi Diari di una schiappa: un libro scritto in modo semplice, ma che ha conquistato il cuore di milioni di ragazzi. D’altra parte, ci sono libri ben scritti, ben strutturati, con messaggi profondi, che si perdono nel silenzio dell’archivio delle biblioteche. Un esempio? L’Ulisse di James Joyce, che ha fatto la fortuna di molti lettori e ha lasciato altri a grattarsi la testa per decenni.

In definitiva, scrivere un libro di successo è un'arte che sfida ogni logica. Chi scrive lo fa con passione e disciplina, ma alla fine, il destino del proprio lavoro rimane sempre nelle mani del caso. E se la fortuna non è dalla vostra parte? Beh, c'è sempre la possibilità di scrivere un sequel, e sperare che il secondo tentativo porti a qualcosa di meglio. O, come direbbe un vecchio saggio, "Non conta tanto quello che scrivi, ma quanto sei disposto a insistere". Ma non dimenticate: alla fine, la vera arte è nella capacità di ridere dei propri fallimenti, perché, in fin dei conti, è tutto un grande gioco di parole e un pizzico di follia.

(D. R.)

domenica 20 ottobre 2024

“Il mercato editoriale librario italiano: concentrazioni, distribuzione e crisi delle librerie” di Davide Romano, giornalista

 


Il mercato editoriale italiano è caratterizzato da una forte concentrazione e da una serie di problematiche legate alla distribuzione e alla crisi delle librerie. Secondo i dati dell'Associazione Italiana Editori (AIE), nel 2023 il fatturato del settore ha superato i 3,5 miliardi di euro, con un mercato sempre più dominato da grandi gruppi editoriali, a discapito della varietà di editori indipendenti. In questo scenario, la distribuzione e le sfide delle librerie rappresentano un punto critico per l'intero ecosistema editoriale.

 

Concentrazioni editoriali: il dominio dei grandi gruppi

Le concentrazioni nel mercato editoriale italiano sono una delle tendenze più significative degli ultimi anni. Un gruppo ristretto di grandi editori domina la produzione e la distribuzione di libri, determinando forti squilibri nella competizione.

Gruppo Mondadori è il leader indiscusso del mercato librario italiano. Con un fatturato di oltre 1 miliardo di euro nel 2022, Mondadori detiene circa il 27% della quota di mercato. Negli ultimi anni, il gruppo ha consolidato la propria posizione attraverso acquisizioni strategiche, come l’acquisizione di Rizzoli Libri per 127,5 milioni di euro nel 2015 e di Bompiani nel 2016. Mondadori controlla circa 50 marchi editoriali, tra cui Einaudi, Sperling & Kupfer e Piemme, coprendo tutti i principali generi editoriali.

Gruppo Editoriale Mauri Spagnol (GeMS) è il secondo player per dimensioni, con una quota di mercato del 15% e un fatturato annuo stimato di circa 500 milioni di euro. GeMS comprende marchi come Garzanti, Longanesi, Nord, e Salani, e ha costruito il suo successo su un portafoglio editoriale diversificato, puntando sia sulla narrativa che sulla saggistica.

Gruppo Feltrinelli, con una quota di mercato del 9%, integra attività editoriali e distributive, gestendo oltre 120 punti vendita attraverso la catena di librerie omonima. Sebbene meno orientato alle acquisizioni, Feltrinelli ha cercato di espandersi attraverso partnership strategiche e l'e-commerce, diventando azionista di maggioranza di IBS.it, uno dei maggiori rivenditori di libri online in Italia.

 

Il problema della distribuzione: un collo di bottiglia per i piccoli editori

La distribuzione dei libri rappresenta uno degli aspetti più critici per gli editori indipendenti. In Italia, la distribuzione è altamente concentrata in mano a pochi attori, lasciando poco spazio alle piccole realtà editoriali.

Messaggerie Italiane è il più grande distributore di libri in Italia, con una quota di mercato del 60%. Questo significa che la maggior parte dei libri presenti nelle librerie italiane passa attraverso Messaggerie, che lavora principalmente con i grandi editori. La centralizzazione del potere distributivo rende difficile per i piccoli editori ottenere visibilità nelle librerie.

 

PDE (Promozione Distribuzione Editoria), di proprietà del Gruppo Feltrinelli, copre circa il 20% del mercato distributivo e si concentra principalmente sulla promozione e distribuzione di libri per catene e librerie indipendenti. Anche PDE, tuttavia, tende a favorire i marchi più redditizi e con alto potenziale di vendita.

Distribuzione limitata per i piccoli editori: I piccoli editori devono spesso affidarsi a distributori specializzati o a piccole reti di distribuzione, che non riescono a competere con i colossi del settore. Questo crea un collo di bottiglia, dove i loro libri faticano a entrare nelle librerie e sono costretti a trovare canali alternativi, come vendite online dirette o partecipazioni a fiere ed eventi letterari.

 

La crisi delle librerie indipendenti

Le librerie indipendenti sono un altro anello debole della catena editoriale italiana. Negli ultimi dieci anni, più di 1.500 librerie indipendenti hanno chiuso i battenti, travolte dalla concorrenza delle grandi catene e dalle piattaforme online come Amazon.

Dati sulla chiusura delle librerie: Nel 2019, l’Italia contava circa 3.500 librerie, ma entro il 2023 questo numero è sceso a meno di 2.800. Solo il 12% delle librerie italiane sono indipendenti, mentre il resto è costituito da catene o affiliati a grandi gruppi editoriali come Mondadori e Feltrinelli.

Concorrenza delle catene: Le catene di librerie come Mondadori Store e Feltrinelli, con oltre 600 punti vendita complessivi, possono contare su una rete capillare e su economie di scala che consentono di applicare politiche di sconto aggressive. Le piccole librerie, al contrario, spesso non riescono a competere in termini di prezzi e offerta.

 

Effetto Amazon: Le vendite di libri online hanno rappresentato circa il 40% del mercato nel 2023, con Amazon che domina il settore dell’e-commerce librario. Il gigante statunitense è in grado di offrire sconti superiori a quelli consentiti dalla Legge Levi, aggirando le normative attraverso promozioni sugli accessori, spedizioni gratuite e programmi di abbonamento come Amazon Prime. Le librerie fisiche non possono reggere questo tipo di concorrenza.

 

Prospettive per il Futuro

Nonostante queste sfide, esistono alcuni segnali positivi e strategie innovative che potrebbero aiutare a rilanciare il settore.

Iniziative locali e sostegni pubblici: Il governo italiano ha avviato diversi programmi per sostenere le librerie indipendenti e la biblio-diversità. Tra le iniziative più rilevanti c’è il Fondo per le Librerie di Prossimità, che prevede contributi a fondo perduto per le librerie che operano in comuni con meno di 15.000 abitanti. Tuttavia, questi aiuti spesso non bastano a compensare le perdite dovute alla diminuzione della clientela e alla concorrenza online.

Nuove piattaforme di distribuzione: Piattaforme digitali come Bookdealer stanno cercando di dare nuova vita alle librerie indipendenti, permettendo loro di vendere online mantenendo il rapporto diretto con i clienti. Lanciata durante la pandemia, Bookdealer consente ai lettori di acquistare libri da librerie indipendenti locali, supportando il tessuto culturale del territorio.

 

Il futuro delle librerie come spazi culturali: Alcune librerie stanno cercando di reinventarsi come centri culturali, puntando su eventi dal vivo, presentazioni di libri, caffetterie e spazi di co-working per attrarre una clientela più ampia. La Feltrinelli, ad esempio, ha aperto nuovi concept store chiamati RED (Read Eat Dream), che uniscono l’esperienza del libro a quella gastronomica.

 

Conclusioni

Il mercato editoriale italiano si trova in un momento cruciale, segnato da concentrazioni editoriali, crisi delle librerie e una distribuzione squilibrata. I grandi gruppi editoriali, grazie a un controllo sempre più stretto su produzione e distribuzione, continuano a dominare il settore, mentre i piccoli editori e le librerie indipendenti lottano per trovare spazi di visibilità e sopravvivenza.

Il futuro del mercato dipenderà dalla capacità degli editori di innovare e adattarsi alle nuove tecnologie, dalla capacità di resistere alle pressioni concorrenziali delle piattaforme online e dalle politiche pubbliche volte a sostenere la diversità culturale. Solo così il panorama editoriale italiano potrà continuare a essere una fonte ricca di produzione intellettuale e culturale.

lunedì 16 settembre 2024

“Gli italiani? Leggono sempre meno” di Davide Romano, giornalista

 


 

L’Italia, si sa, è un paese di santi, poeti e navigatori. Ma, ahimè, non di lettori. Non c'è bisogno di sfogliare troppi giornali o consultare le statistiche per comprendere una realtà amaramente evidente: gli italiani non leggono. Gli ultimi dati ISTAT parlano chiaro: meno di un italiano su due ha letto almeno un libro nell'ultimo anno. Un dramma culturale, come lo definirebbe Umberto Eco, uno dei pochi intellettuali italiani a difendere con vigore la lettura in un Paese che, paradossalmente, ha prodotto alcuni dei più grandi scrittori e poeti del mondo.

Per capire questa triste verità, basti guardare ai dati forniti da Associazione Italiana Editori (AIE): nel 2023, circa il 40% degli italiani dichiarava di non leggere mai libri. E non parliamo solo di alta letteratura, ma nemmeno un romanzo leggero o un saggio divulgativo. Perfino Antonio Gramsci, nelle sue Lettere dal carcere, lamentava questa tendenza all’apatia culturale, sottolineando quanto fosse fondamentale "formare una coscienza critica". E la lettura, si sa, è lo strumento principe per questo.

 

Il pensiero di scrittori e intellettuali

Cesare Pavese, in una delle sue riflessioni più amare, scriveva: "Un paese che non legge è un paese senza futuro". Pavese, che non solo scriveva romanzi ma li viveva, vedeva nella lettura una forma di resistenza al conformismo culturale. E aveva ragione. Ma la realtà italiana sembra smentire le sue parole: mentre in Francia o in Germania le librerie sono un'istituzione, in Italia chiudono a ritmo allarmante. Montanelli stesso, con il suo stile corrosivo, denunciava già nel secolo scorso una "mediocrità culturale di fondo" nel nostro Paese, sostenendo che “un popolo che non legge è più facile da governare”.

Non sorprende che Norberto Bobbio, filosofo di grande finezza intellettuale, abbia indicato la scarsa lettura come una delle cause della debolezza della democrazia in Italia. Per Bobbio, la mancanza di dibattito e riflessione, che solo i libri possono stimolare, rendeva i cittadini più vulnerabili alla manipolazione politica. Non c'è da stupirsi, dunque, se oggi, in una società dominata dai social media e dalle notizie frammentarie, i lettori critici siano diventati una rara specie in via d'estinzione.

 

La crisi dell'editoria e il declino delle librerie

Siamo nel Paese di Dante, Petrarca e Boccaccio, ma anche in quello in cui, secondo i dati dell’AIE, il 59% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non legge alcun libro. Questa è forse la statistica più allarmante, perché indica non solo una crisi presente, ma soprattutto un futuro culturale sempre più arido. Italo Calvino, nei suoi saggi, parlava della lettura come di "un atto di liberazione", qualcosa che ci permette di vivere altre vite, esplorare mondi sconosciuti, ma anche confrontarci con le contraddizioni della nostra stessa esistenza. Cosa ne sarà di una generazione che preferisce scrollare su TikTok invece di sfogliare le pagine di un libro?

Se poi guardiamo al panorama editoriale, la situazione non è meno desolante. Giulio Einaudi, il grande editore, lamentava già decenni fa che in Italia i libri di qualità faticavano a trovare lettori. Oggi, con la concorrenza delle piattaforme di streaming, dei videogiochi e dei social, la battaglia è ancora più dura. Nel 2022, il mercato editoriale italiano ha registrato un calo delle vendite del 6%, con una chiusura di oltre 700 librerie indipendenti. Un deserto culturale, come lo definirebbe Pier Paolo Pasolini, che in uno dei suoi ultimi interventi pubblici disse: "La cultura è sempre più un privilegio di pochi, un lusso che il popolo non può più permettersi".

 

Lettori: una razza in estinzione?

Viene spontaneo chiedersi: cosa ci aspetta? In un mondo sempre più frenetico e dominato da stimoli immediati, ha ancora senso parlare di lettura? Sì, se pensiamo che la lettura non è solo un piacere intellettuale, ma una necessità per la nostra stessa umanità. Tullio De Mauro, uno dei più grandi linguisti italiani, sottolineava come la lettura fosse un potente strumento di emancipazione personale e sociale. Non leggere, al contrario, significa rinunciare a una parte essenziale di sé, rinchiudersi in una bolla di superficialità che ci rende meno liberi.

E allora, per concludere con una riflessione di Montaigne, "chi non legge non solo ignora le parole, ma le idee". Forse è proprio questo il nodo del problema: l'Italia, Paese di grande cultura, è diventata una nazione di non lettori. E finché non si risolverà questa frattura tra la nostra tradizione culturale e la realtà contemporanea, il nostro futuro, come ammoniva Pavese, sarà irrimediabilmente compromesso.

lunedì 22 aprile 2024

Torna in libreria il più antico ricettario di cucina tradizionale ebraica italiana!

 


 

Ines De Benedetti, “Poesia nascosta. Le ricette della cucina tradizionale ebraica italiana”, Edizioni La Zisa, A cura di Davide Romano, Presentazione di Daniela Fubini, Prefazione alla terza edizione di Nanette R. Hayon, Prefazione alla seconda edizione di Ines De Benedetti, Prefazione alla prima edizione di Lucia Levi, Illustrazioni di Letizia Romano

 

Ines De Benedetti, con la sua “Poesia nascosta”, non ha soltanto raccolto e pubblicato delle ricette. Ha messo a disposizione di quattro generazioni di famiglie ebraiche italiane (fino ad oggi) un compendio di kasherut (regole alimentari ebraiche) applicato, vissuto nel quotidiano in modi che nella sua, di generazione, erano evidentemente a rischio di andare perduti. E Lucia Levi nel presentare il libro al lettore di allora ne ha segnalato subito il valore come strumento per riportare i sapori ebraici alla tavola insieme ai rituali e all’osservanza dei precetti. Oggi, a distanza che appare siderale dagli anni del primo dopoguerra, dopo la seconda guerra, la Shoah e il ritorno alla vita, dopo l’arrivo in Italia degli ebrei da tutto il mondo arabo, con tradizioni ebraiche e culinarie tutte nuove, ancora oggi la Poesia nascosta trova spazio nelle nostre cucine. Con i suoi fogli macchiati e unti dall’uso, le annotazioni a margine e le modifiche appuntate su foglietti volanti, è un pezzetto di storia ebraica italiana, rivolto come la sua autrice a un futuro più consapevole e orgoglioso della propria tradizione, anche culinaria.

(dalla Presentazione di Daniela Fubini)

 

Ines De Benedetti, nata il 12 novembre 1874, è scomparsa a Padova nel 1960. Per anni è stata presidente della sezione padovana, da lei fondata nel 1929, dell’ADEI, l’Associazione Donne Ebree d’Italia, diventata in seguito ADEI Wizo, che si occupa di volontariato sociale e di diffondere la cultura e i valori dell’ebraismo e del sionismo, nonché di promuovere la condizione della donna e sostenere le istituzioni Wizo in Israele.


martedì 9 aprile 2024

In libreria: Ernesto Buonaiuti, “Apologia del cattolicesimo”, a cura di Davide Romano, prefazione di Francesco Armetta, Edizioni La Zisa


 

L’Apologia del cattolicesimo venne pubblicata per la prima volta a Roma nel 1923 all’interno della collana Apologie, creata e diretta da Angelo Fortunato Formiggini. L’Apologia e il saggio di apologetica religiosa intitolato Verso la luce, guadagnarono al Buonaiuti la scomunica papale e la messa all’indice di tutte le sue opere. Le argomentazioni, così come affrontate dal Buonaiuti nell’Apologia, non si basavano più sui precetti della filosofia scolastica ma erano impregnate di un misticismo che diede vita ad una sorta di antitetico individualismo dell’anima. È lo stesso Buonaiuti a chiarire sin dall’inizio la sua tesi apologetica: «il movimento religioso, scaturito dalla predicazione del Vangelo, rappresenta la perfezione soprannaturale nello sviluppo della religiosità umana, e che del cristianesimo, sigillato e consacrato dalla luce incontaminata di un divino afflato rivelatore, il cattolicismo costituisce in una completa identità sostanziale la logica realizzazione nella storia».


Ernesto Buonaiuti (1881-1946), illustre esponente della corrente modernista italiana, presbitero e accademico, nei suoi studi indagò ogni aspetto e ogni figura appartenente alla storia cristiana. Oltre all’Apologia possiamo ricordare, tra i suoi scritti più significativi, Lutero e la Riforma religiosa in GermaniaGioacchino da FioreStoria del cristianesimo e l’autobiografia dal titolo Pellegrino di Roma.


martedì 2 aprile 2024

In libreria la ristampa del saggio di Laura Veccia Vaglieri, “Apologia dell’islamismo”, a cura di Davide Romano, con una nota di padre Marcello Di Tora op., Edizioni La Zisa

 

 


Quest’opera, concepita per celebrare la grandezza dell’Islam, è stata pubblicata per la prima volta nel 1925 dall’editore Formiggini e rivede ora la luce grazie all’opera meritoria della casa editrice La Zisa di Palermo, sempre attenta a riscoprire autentici gioielli ormai da tempo sepolti.

A distanza di quasi un secolo, l’autrice, la celebre arabista e islamista Laura Veccia Vaglieri, ci invita a considerare «l’Islam come religione e come civiltà, ancorate nella perfezione insuperabile e divina del Corano».

«Dunque, una religione, una rivelazione che (…) conferma e rinnova il messaggio dell’unico e stesso Dio per mezzo di un profeta, Muhammad, che si iscrive nella catena degli inviati o profeti divini che (…) hanno ricordato alle loro rispettive comunità religiose il monito divino alla responsabilità sacrale e spirituale dell’uomo in questo mondo. Quale Monito? (…) “considerare Iddio unico nella Sua sovranità, a Lui sottomettendosi devotamente, a Lui prestare obbedienza nei comandi e nelle proibizioni, facendo il bene e astenendosi dal male”».

 

Laura Veccia Vaglieri (1893 – 1989), antesignana dell’arabistica e dell’islamologia italiane, fu professore ordinario presso l’Istituto Orientale di Napoli e autrice d’importanti manuali che svelano la sua approfondita conoscenza della cultura arabo-islamica e della lingua araba. Oltre al presente volume, si ricorda il più completo e preciso testo di grammatica araba scrittoi in lingua italiana: “Grammatica teorico–pratica della lingua araba”.