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sabato 6 settembre 2025

“Palermo e la carta perduta, anatomia di un declino editoriale” di Davide Romano



 

C'era una volta Palermo con le sue librerie. Non è un incipit da fiaba, ma da necrologio. Perché di quelle insegne che segnavano il paesaggio urbano e intellettuale della città resta oggi più la memoria che la presenza fisica. E dietro ogni saracinesca abbassata, ogni scaffale vuoto, ogni edicola dismessa, si cela una storia più ampia: quella di una città che sta perdendo i suoi luoghi della cultura scritta.

 

Il tramonto delle librerie storiche

La Flaccovio, regina di via Ruggero Settimo per generazioni di palermitani, è caduta nel 2013 come un'aristocratica che non resiste al secolo plebeo degli smartphone. Era più di una libreria: era un salotto intellettuale, un punto di riferimento per studenti universitari, professori, appassionati di cultura. Le sue vetrine esibivano non solo bestseller, ma anche le novità editoriali più raffinate, i saggi che nessun'altra libreria cittadina osava tenere in vista.

Broadway, in via Rosolino Pilo, ha tirato giù la saracinesca nel 2019, dopo diciannove anni di onorata carriera. Specializzata in narrativa e cinema, aveva saputo creare una comunità di lettori affezionati che si ritrovavano tra i suoi scaffali per consigli e scoperte letterarie. La sua chiusura ha privato la città di uno degli ultimi presidi della cultura popolare di qualità.

Altroquando, la fumetteria-libreria che faceva pensare a un avamposto di Parigi nel cuore di Palermo, aveva già chiuso nel 2013. Era il regno dei graphic novel, delle edizioni d'autore, dei libri che profumavano di inchiostro fresco e creatività. Un luogo dove generazioni di giovani avevano scoperto che la letteratura poteva essere anche disegnata, colorata, ribelle.

Poi, a catena, la Sciuti (fine 2023), storica libreria di quartiere che aveva resistito per decenni ai cambiamenti del mercato. E da ultimo il Punto Einaudi, travolto da un addio nazionale: dal primo gennaio 2025 i "punti" sono rimasti solo sulla carta intestata della storia editoriale italiana.

La città dei lettori sembra aver smarrito i suoi scaffali. Ogni chiusura non è solo un evento commerciale, ma un piccolo lutto culturale che impoverisce il tessuto urbano. Perché una libreria non è mai solo un negozio: è un luogo di incontro, di scoperta, di serendipità intellettuale.

 

L'editoria in fuga: quando anche gli editori se ne vanno

Qualche casa editrice palermitana resiste eroicamente: Sellerio, con la sua vocazione per la narrativa di qualità e i gialli mediterranei; Dario Flaccovio Editore, che ha saputo rinnovarsi puntando su tecnologia e formazione professionale. Glifo Edizioni, nata nel 2013, continua a occuparsi di editoria per l'infanzia e saggistica, mentre Edizioni Kalós, da più di trent'anni si dedica a storia, arte, cultura e tradizione siciliana.

Ma la diaspora è comunque in corso. La Zisa, editore di battaglie culturali e letteratura impegnata, nel 2023 si è trasferita a Firenze, perché persino l'Arno sembra più ospitale dell'Oreto per fare cultura. Una scelta simbolica che racconta di un'isola sempre più periferica anche nel mondo dei libri.

Le vecchie glorie sono finite nel cimitero della memoria: Flaccovio Editore ha chiuso i battenti nel 2013, dopo aver pubblicato per generazioni saggi, romanzi e opere di autori siciliani. Duepunti edizioni si è dissolta nel 2014, portando con sé un catalogo di autori emergenti che non hanno più trovato casa editrice. E il deserto editoriale si allarga inesorabilmente.

Palermo, che fu capitale letteraria del Meridione, che diede i natali a Pirandello e ospitò Sciascia, oggi appare come una cattedrale gotica con le navate vuote: l'architettura culturale resiste, ma mancano i fedeli.

 

I giornali: da giganti a fantasmi

Se le librerie cadono, i quotidiani non se la passano meglio. Il Giornale di Sicilia ha seguito la parabola tragica dei pazienti terminali. I numeri sono spietati: nel 2008 stampava 67mila copie, nel 2015 era già sceso a 34mila, nel 2017 viaggiava poco sopra le 22mila. Nel 2022 ancora 5.609 copie, nel luglio 2023 erano 5.078: più che un quotidiano, un bollettino condominiale.

E non è che i "cugini" di Catania se la passino meglio. La Sicilia aveva nel 2011 oltre 51mila copie. Nel 2013 erano già 27mila, nel 2018 appena 18.645. Oggi, meno di 5.500. Da grande quotidiano regionale a foglio di provincia, la parabola è identica.

I dati ADS sono impietosi: «La diffusione quotidiana media dei giornali siciliani, esclusa la Repubblica, è scesa da 25.363 a 23.545 copie». Non serve essere economisti per capire che qui non si parla di fisiologico calo, ma di vera e propria eutanasia. Il Giornale di Sicilia nel 2020 registrava -16,4% di lettori e -37,5% di copie vendute. È come se un teatro da mille posti avesse ridotto il pubblico a cento, con l'orchestra che continua a suonare come se niente fosse.

L'unico dato in crescita? Le edizioni online: +25,2% per il GdS nello stesso anno, +54,8% per La Sicilia. Ma anche lì si parla di briciole rispetto all'impero perduto della carta. Il web cresce, ma non compensa minimamente il crollo della carta stampata. Soprattutto, manca quella ritualità del giornale cartaceo che per generazioni ha accompagnato i palermitani nel loro rapporto quotidiano con le notizie.

 

Il nuovo ecosistema digitale: tanti siti, poca profondità

Il panorama informativo siciliano oggi si è frammentato in decine di testate online: LiveSicilia, ilSicilia, BlogSicilia e molti altri. Ogni provincia ha i suoi portali di informazione locale, ogni comune sembra avere il suo "giornale online". Ma si tratta spesso di operazioni editoriali fragili, con pochi giornalisti, budget risicati e una tendenza alla cronaca spicciola piuttosto che al giornalismo di inchiesta.

Il paradosso è evidente: mai come oggi Palermo ha avuto tanti "giornali", ma mai come oggi l'informazione è stata così superficiale e frammentata. Manca quella funzione di agenda setting che i grandi quotidiani storici riuscivano a svolgere, quella capacità di orientare il dibattito pubblico e di tenere sotto i riflettori i problemi strutturali della città.

 

Le edicole: addio alle vetrine della democrazia

Nel frattempo spariscono anche le edicole, che sono sempre state le vetrine materiali di questa civiltà in disarmo. In provincia di Palermo, tra il 2019 e il 2023, sono scomparsi 21 chioschi. Nel 2024 la città ha visto smontare un'edicola storica del 1929, un piccolo monumento alla storia dell'informazione cittadina.

Non è soltanto un luogo di vendita che scompare, ma un pezzo di paesaggio urbano e di socialità: un'edicola che chiude toglie anima a una piazza, la rende più anonima, meno vissuta. L'edicolante era spesso una figura di riferimento del quartiere, colui che conosceva i gusti letterari e informativi dei suoi clienti, che consigliava una rivista o anticipava le notizie del giorno. Senza edicole, Palermo perde non solo carta, ma anche teatro sociale.

 

Il confronto con il resto d'Italia: perché qui è diverso

Si dirà: è il mondo che cambia, non solo Palermo. È vero, ma solo in parte. Anche a Milano i giornali hanno perso tiratura, anche a Roma si vendono meno copie. Ma lì le librerie non chiudono tutte insieme, e la borghesia che compra un libro in libreria o sfoglia il quotidiano al bar esiste ancora. A Torino, l'editoria resiste con Einaudi, Bollati Boringhieri, UTET, e le librerie indipendenti non solo sopravvivono, ma spesso prosperano.

L'editoria italiana nel 2025 ha registrato un calo del 3,6% nelle vendite, ma questo dato nazionale nasconde profonde differenze territoriali. Al Nord e al Centro esistono ancora anticorpi culturali: università più strutturate, un ceto medio più numeroso e con maggiore propensione alla spesa culturale, politiche locali di sostegno alla lettura.

A Palermo, invece, il declino è più feroce e apparentemente irreversibile, perché non ci sono anticorpi. Qui si chiude, e basta. E il vuoto resta vuoto. Manca una strategia cittadina per salvaguardare questi presidi culturali, mancano incentivi per chi vuole aprire una libreria indipendente, manca persino la consapevolezza che perdere una libreria significa impoverire il tessuto sociale di un quartiere.

 

Il paradosso palermitano: il teatro senza pubblico

Il paradosso è che Palermo, città barocca per eccellenza, non rinuncia mai al teatro. Così, mentre i dati dicono che la carta è morta, i palermitani continuano a vivere come se i giornali fossero ancora quelli di un tempo. Ricordano le prime pagine urlate sul maxiprocesso, i titoli sparati sulla mafia, le inchieste che facevano cadere governi regionali, e si illudono che il giornale sia ancora lì, a fare opinione e a scuotere le coscienze.

Ma intanto lo leggono sempre meno. Il giornale, insomma, resta un rito identitario, ma senza più fedeli. È come se la città continuasse a celebrare messe in una cattedrale vuota: il rito c'è, ma l'assemblea è altrove, distratta da altri altari digitali.

Anche per le librerie vale lo stesso discorso: Palermo si commuove quando chiude una libreria storica, sui social si moltiplicano i post nostalgici e gli appelli a "comprare più libri". Ma poi, nei fatti, i palermitani preferiscono ordinare su Amazon o scaricare ebook. Il sentimento c'è, ma non si traduce in comportamenti di acquisto che possano sostenere l'economia reale della cultura.

 

I sopravvissuti: chi resiste e perché

Non tutto è perduto, però. Una Marina di Libri, il festival del libro di Palermo, continua a svolgersi ai Cantieri culturali alla Zisa, dimostrando che esiste ancora un pubblico per gli eventi letterari. Alcune librerie specializzate resistono puntando su nicchie specifiche: quelle universitarie vicino agli atenei, quelle religiose nei quartieri più tradizionali, qualche libreria per ragazzi che ha saputo rinnovarsi con eventi e laboratori.

G.B. Palumbo Editore continua la sua attività, concentrandosi soprattutto su editoria scolastica e servizi didattici online. È una strategia di sopravvivenza: specializzarsi su mercati di nicchia ma stabili, dove la concorrenza dei giganti dell'e-commerce è meno aggressiva.

Anche nel panorama dell'informazione qualcosa si muove: alcuni dei nuovi portali online stanno investendo in giornalismo di qualità, assumendo cronisti esperti, puntando su inchieste e approfondimenti. Ma si tratta ancora di esperimenti fragili, spesso dipendenti da finanziamenti pubblici o da sponsor privati.

 

Le cause profonde di un declino

Perché Palermo ha perso così rapidamente i suoi luoghi della cultura scritta? Le cause sono molteplici e interconnesse. C'è ovviamente il fattore tecnologico: l'avvento del digitale ha rivoluzionato le abitudini di lettura e informazione di tutti, non solo dei palermitani.

Ma ci sono anche cause più specificamente locali. La crisi economica che ha colpito il Meridione negli ultimi vent'anni ha ridotto il potere d'acquisto delle famiglie, e i libri e i giornali sono spesso i primi beni culturali su cui si risparmia. La disoccupazione giovanile, che a Palermo tocca punte drammatiche, ha svuotato la città dei suoi potenziali lettori più giovani.

C'è poi un problema strutturale nel rapporto tra istituzioni e cultura: troppo spesso le politiche culturali locali si sono concentrate su grandi eventi e manifestazioni di richiamo turistico, trascurando la rete capillare di librerie, edicole e piccole case editrici che costituisce l'ossatura della vita culturale quotidiana di una città.


Quello che si perde: non solo carta, ma memoria

In conclusione, i numeri parlano chiaro: Palermo sta perdendo la sua carta. Non quella dei documenti, che la burocrazia continua a produrre con zelo medievale, ma quella che profumava di inchiostro fresco e di possibilità infinite. La carta delle librerie che chiudevano tardi la sera, delle case editrici che scoprivano nuovi talenti, dei giornali che facevano paura ai potenti.

E senza carta, una città rischia di perdere anche la sua memoria. Perché i libri e i giornali non sono solo merci, ma depositi di memoria collettiva, strumenti di elaborazione critica della realtà, spazi di confronto democratico.

Una città senza giornali non è solo una città meno informata: è una città meno libera. E Palermo, che di libertà e di giornali ne ha pagato il prezzo con il sangue dei suoi cronisti, dovrebbe ricordarselo prima che sia troppo tardi.

Il rischio è che, tra qualche anno, i turisti visitino Palermo come si visita Pompei: per ammirare i resti di una civiltà che fu. Solo che, al posto delle terme e dei teatri romani, troveranno le vetrine vuote delle librerie e i chioschi abbandonati delle edicole. Testimoni silenziosi di un'epoca in cui, in questa città, si leggeva ancora.

 

lunedì 28 aprile 2025

L'editoria, una malattia meravigliosa. La storia, incredibile, delle Edizioni La Zisa



Gli editori puri - quelli veri, quelli che nascono tali - sono come i cercatori d'oro: un po' folli, un po' visionari, costantemente sospesi tra l'entusiasmo della scoperta e l'orlo del fallimento. Da trent'anni osservo questa fauna particolare aggirarsi tra le fiere del libro, riconoscibili dal loro sguardo febbrile, dalla cravatta leggermente allentata, dalle occhiaie che raccontano notti trascorse a leggere manoscritti che, nella maggior parte dei casi, non pubblicheranno mai.

Le Edizioni La Zisa rappresentano perfettamente questo spirito di avventura culturale. Fondate con l'intento di dare voce a una Sicilia diversa da quella dei luoghi comuni, hanno costruito nel tempo un catalogo che è specchio fedele di questa filosofia: coraggioso, eclettico, mai scontato. Come mi confidò una volta Davide Romano, ex direttore editoriale della casa editrice: "Pubblicare libri in Sicilia è un atto di resistenza culturale, una sfida quotidiana contro l'indifferenza e il disincanto."

"Fare libri" - espressione deliziosa nella sua semplicità - racchiude un universo di passione, follia e calcoli disperati che solo chi vi è immerso può comprendere fino in fondo. La creazione di un libro è un atto che ha qualcosa di demiurgico: si prende una sostanza informe - pensieri, idee, storie - e le si dà forma concreta, materiale, destinata a sopravvivere al suo stesso creatore.

Romano, con il suo approccio meticoloso e la sua visione chiara, ha saputo impostare una linea editoriale riconoscibile per La Zisa, puntando su temi forti come la legalità, la memoria storica, l'identità mediterranea. "Un libro non è solo un prodotto", ripeteva spesso durante le riunioni editoriali, "è un seme che piantiamo nella coscienza collettiva, sperando che germogli al momento giusto."

Il vero editore è un personaggio paradossale: conservatore e rivoluzionario allo stesso tempo. Custode di una tradizione millenaria e, al contempo, in costante ricerca dell'innovazione che potrebbe scardinare il mercato. Le Edizioni La Zisa incarnano questa duplicità: da un lato recuperano e valorizzano la tradizione culturale siciliana, dall'altro esplorano nuovi linguaggi e tematiche contemporanee, tenendo sempre lo sguardo rivolto verso l'altra sponda del Mediterraneo.

Poi, il grande salto. Le Edizioni La Zisa lasciano la loro Palermo per trasferirsi a Firenze, in una mossa che ha sorpreso molti nel settore. Un trapianto geografico che non è solo un cambio di sede, ma una vera e propria scommessa culturale. Dalla culla della cultura arabo-normanna alla patria del Rinascimento: un viaggio simbolico che rappresenta la volontà di espandere i propri orizzonti, di confrontarsi con nuove realtà, di tessere nuove trame editoriali.

"Cambiare città è un po' come cambiare pelle", mi ha confidato un redattore della casa editrice, "conservi la tua identità ma la arricchisci di nuove prospettive, di nuovi stimoli." E Firenze, con la sua stratificazione culturale millenaria, con le sue biblioteche prestigiose, con la sua comunità di lettori esigenti, rappresenta un terreno fertile per chi fa del libro la propria ragione di vita.

Vi è una verità che ogni editore conosce intimamente: per ogni bestseller che sostiene economicamente la casa editrice, ci sono decine di titoli che non raggiungeranno mai il pareggio dei costi. Eppure, si continuano a pubblicare, perché l'editoria non è solo un'impresa commerciale, ma un atto culturale. La collana "Mediterranea" de Le Edizioni La Zisa, fortemente voluta da Romano, è emblematica di questa visione: testi che costruiscono ponti tra culture diverse, che esplorano territori letterari poco battuti, che offrono al lettore stimoli e prospettive nuove.

A Firenze, questa vocazione si arricchisce di nuove possibilità: la vicinanza con istituzioni culturali prestigiose, la presenza di un'università con una solida tradizione umanistica, la possibilità di dialogare con altre realtà editoriali che hanno fatto della qualità la propria bandiera. Un contesto che promette di essere fertile per nuove collaborazioni, nuovi progetti, nuove scoperte.

Ho conosciuto piccoli editori come Le Edizioni La Zisa che hanno rischiato tutto per pubblicare opere di valore che le grandi case editrici avevano rifiutato. Romano mi raccontò una volta di come avessero deciso di pubblicare un saggio storico complesso e impegnativo, consapevoli che le vendite sarebbero state limitate ma convinti dell'importanza culturale dell'operazione. "In certi casi", diceva, "il valore di un libro non si misura in copie vendute ma in menti stimolate."

L'editore vive con un piede nel passato e uno nel futuro. Cerca di interpretare il presente attraverso una sensibilità che è frutto di stratificazioni culturali, di esperienze accumulate, di intuizioni fulminee. Le Edizioni La Zisa, ora con la loro sede nel cuore di Firenze, assorbono e restituiscono l'energia di una città che ha sempre fatto della cultura il proprio tratto distintivo. Il dialogo tra l'anima siciliana della casa editrice e il genius loci fiorentino promette di generare frutti interessanti, ibridazioni culturali, contaminazioni feconde.

Vi è poi la questione del rapporto con gli autori, che meriterebbe un trattato a parte. L'editore è un po' confessore, un po' psicologo, un po' banchiere e, in alcuni casi, anche babysitter. Deve saper gestire ego smisurati, crisi creative, ritardi nella consegna e, talvolta, manoscritti che arrivano completamente diversi da quello che si era concordato. Romano era maestro in quest'arte della mediazione: sapeva essere fermo quando necessario e comprensivo quando la situazione lo richiedeva. "Gli autori sono come bambini", mi disse una volta con un sorriso, "hanno bisogno di regole chiare e di tanto, tanto amore."

Il trasferimento a Firenze rappresenta anche l'opportunità di allargare il proprio parco autori, di intercettare nuove voci, di costruire un catalogo che sia sempre più un ponte tra Sud e Centro Italia, tra la cultura isolana e quella continentale. Una sfida non da poco, che richiede sensibilità, intelligenza e quella capacità di visione che ha sempre contraddistinto Le Edizioni La Zisa.

Chiunque abbia messo piede nella sede de Le Edizioni La Zisa sa che i libri, prima di arrivare sugli scaffali delle librerie, passano attraverso un processo quasi alchemico: dalla scelta del manoscritto all'editing, dalla grafica all'impaginazione, dalla stampa alla distribuzione. Ogni fase comporta decisioni che possono determinare il successo o il fallimento di un'opera. Romano presiedeva a questo processo con la meticolosità di un artigiano e la visione d'insieme di un architetto, consapevole che ogni dettaglio contribuisce all'identità finale del libro.

A Firenze, questo processo si arricchisce di nuove possibilità: la vicinanza con tipografie storiche, la presenza di artigiani del libro che perpetuano antiche tradizioni, la possibilità di dialogare con designer e grafici formatisi in una città dove il senso estetico è parte integrante dell'identità collettiva. Una combinazione che promette di elevare ulteriormente la qualità formale delle pubblicazioni de Le Edizioni La Zisa.

La sfida maggiore per una casa editrice come Le Edizioni La Zisa è quella della distribuzione. In un mercato dominato dai grandi gruppi, farsi spazio e ottenere visibilità è una battaglia quotidiana. Romano aveva compreso l'importanza di costruire relazioni solide con librerie indipendenti e biblioteche, di creare eventi che trasformassero la presentazione di un libro in un'esperienza culturale completa, di utilizzare i social media non solo come vetrina ma come spazio di dialogo con i lettori.

Firenze, con la sua rete di librerie storiche e indipendenti, con i suoi festival letterari, con la sua comunità di lettori curiosi e attenti, offre un terreno fertile per questa strategia. La posizione centrale nella penisola, inoltre, facilita la distribuzione e la logistica, permettendo di raggiungere più agevolmente un pubblico nazionale.

L'editoria è un settore in costante evoluzione. L'avvento del digitale ha rivoluzionato non solo il modo di leggere ma anche quello di produrre e distribuire i libri. Le Edizioni La Zisa hanno saputo abbracciare queste trasformazioni senza perdere la propria identità, esplorando nuovi formati e canali senza rinunciare alla qualità che ha sempre contraddistinto il loro catalogo.

Firenze, con le sue eccellenze nel campo della digitalizzazione e della conservazione del patrimonio culturale, offre opportunità interessanti per chi vuole coniugare tradizione e innovazione. La vicinanza con centri di ricerca e università può favorire collaborazioni feconde, sperimentazioni, progetti innovativi che possono aprire nuove strade nel mondo dell'editoria.

Vi è qualcosa di profondamente politico - nel senso più alto del termine - nel fare libri. Significa partecipare attivamente alla costruzione dell'immaginario collettivo, influenzare il dibattito pubblico, offrire strumenti di comprensione e interpretazione della realtà. Le Edizioni La Zisa lo fanno da sempre, pubblicando testi che affrontano temi scomodi, che danno voce a chi spesso non ne ha, che illuminano angoli bui della nostra storia e della nostra società.

"Un buon editore", mi disse una volta Romano, "deve avere tre qualità fondamentali: curiosità insaziabile, pazienza infinita e un pizzico di follia." Qualità che certamente non gli mancavano e che ha saputo trasmettere a tutti coloro che hanno lavorato con lui. La sua eredità alla guida de Le Edizioni La Zisa è un catalogo ricco e variegato, che spazia dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai libri per ragazzi, sempre con un'attenzione particolare alla qualità dei contenuti e alla cura formale.

L'editoria è un mestiere antico che si rinnova continuamente. È un ponte tra passato e futuro, tra autore e lettore, tra cultura alta e cultura popolare. È un atto di fede nella parola scritta e nella sua capacità di resistere al tempo e all'oblio. Le Edizioni La Zisa, con il loro impegno culturale e la loro visione, adesso trapiantate nel fertile terreno fiorentino, rappresentano perfettamente questa concezione dell'editoria come missione più che come professione.

In un'epoca di bestseller costruiti a tavolino e di logiche puramente commerciali, case editrici come Le Edizioni La Zisa, che hanno fatto della qualità e dell'indipendenza la propria bandiera, sono più preziose che mai. Come sottolineava spesso Romano, "pubblicare un libro è sempre un atto politico, una scelta di campo, una dichiarazione di intenti."

E allora, lunga vita agli editori visionari, a quelli che non si accontentano del già visto e del già letto, a quelli che sanno rischiare e innovare. Lunga vita a chi, come Le Edizioni La Zisa, continua a credere che i libri possano davvero cambiare il mondo, un lettore alla volta. Ora più che mai, dalla loro nuova casa nel cuore pulsante della cultura italiana.

(Anna Miraglia)

sabato 5 aprile 2025

“Sicilia, l’isola che non ama leggere (neppure i quotidiani). I record negativi della terra del sole” di Davide Romano

 


 

Il deserto delle pagine che avanza nell'isola del sole e dei contrasti. 

 

Indice di lettura in Sicilia: una questione culturale o strutturale?

Gli ultimi dati sulle capacità di lettura di noi siciliani, provenienti dall'Associazione Italiana Editori, non sono soltanto impietosi: sono il ritratto di una catastrofe culturale che si consuma nel silenzio complice delle istituzioni. Come diceva Leonardo Sciascia, nostro illustre conterraneo: "La Sicilia ha questo di tremendo: che tutto vi accade come dovunque, ma con una intensità che altrove non si riscontra". Anche il non leggere, in Sicilia, avviene con un'intensità particolare.

Sapevamo già che il nostro popolo era fra quelli che leggevano di meno in Italia, ma ora il divario con il resto del paese – e in particolare con le province del Nord – e gli altri paesi europei si configura come un abisso incolmabile, una voragine che inghiotte speranze e possibilità di riscatto. Siamo un'isola anche in questo: isolati dalla cultura, dal sapere, dalla conoscenza che si trasmette attraverso la parola scritta.

Pier Paolo Pasolini, che amava la Sicilia ma ne conosceva anche i limiti, aveva intuito questo dramma: "La cultura è una difesa contro le offese della vita". E noi siciliani, a quanto pare, siamo sempre più indifesi.

 

I numeri del disastro: percentuali che raccontano una disfatta

La situazione delineata dalle varie percentuali presentate dall'AIE è davvero drammatica. Nel sud Italia solo il 62% della popolazione ha aperto almeno un libro nell'ultimo anno, mentre in Sicilia il dato è ancora più drammatico: esso si assesta al 60%. Una cifra che fa rabbrividire, se pensiamo che in alcune regioni del Nord si supera l'80%.

E attenzione: bisogna ricordare che "aprire un libro" non vuol dire riuscire a leggerlo tutto. Uno può aprirlo, sfogliarlo, magari guardare le figure, e poi richiuderlo, come si richiude una porta su un mondo che non ci appartiene. E poi bisogna anche valutare di quale testo si sta parlando. Con tutto il rispetto per i ricettari di cucina siciliana (ottima, per carità!), per le biografie dei vari influencer dalle teste vuote e per le raccolte di barzellette che fanno ridere solo chi le scrive, la cultura è altra cosa.

Come diceva Umberto Eco: "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito... perché la lettura è un'immortalità all'indietro". Ma a quanto pare, noi siciliani preferiamo la mortalità della nostra singola esistenza.

 

Lettori occasionali e abituali: un'isola divisa in due

Nel Sud e nelle Isole, inoltre, si registra una più alta percentuale di lettori occasionali, che si limitano a leggere un massimo di 3 libri all'anno. Essi risultano il 37% dei lettori, mentre la percentuale di lettori abituali che leggono anche più di 12 libri all'anno è in linea con il centro nord. Si tratta dell'8% del totale di tutti i lettori.

Abbiamo quindi un'élite di lettori forti, che resistono come Asterix e Obelix nel villaggio gallico circondato dai romani, e poi una massa di non-lettori o di lettori occasionali che sfogliano un libro come si sfoglia un album di figurine: distrattamente, senza passione, senza quella fame di conoscenza che dovrebbe essere il motore della crescita personale e sociale.

Italo Calvino, che di libri se ne intendeva, ammoniva: "Chi usa la letteratura per distrarsi vuole solo utilizzare una facoltà che in lui resta attiva, quella dell'attenzione". Ma l'attenzione del siciliano medio sembra essere catturata da ben altro: dallo smartphone, dalla televisione, dai pettegolezzi di paese che rimbalzano di bocca in bocca più velocemente di un virus.

 

La crisi della carta stampata: un altro tassello del mosaico

Ugualmente drammatica la situazione dei quotidiani e delle riviste. Come indicato dagli stessi direttori di giornale, le vendite continuano a diminuire e ci sono territori centrali della nostra regione che sembrano possedere poche decine di lettori, quasi tutti anziani che presentano delle difficoltà nell'usare il web.

Indro Montanelli, maestro di giornalismo, diceva: "Un paese che ignora il proprio ieri, non può avere un domani". E noi siciliani sembriamo ignorare non solo il nostro ieri, ma anche il nostro oggi, riportato sulle pagine dei giornali che nessuno legge più.

I quotidiani locali, che un tempo erano il termometro della vita sociale e politica dei nostri paesi, ora sopravvivono a stento, ridotti a contenitori di necrologi e pubblicità di mobilifici in svendita perpetua. Come se la morte e il consumo fossero le uniche notizie che interessano ancora.

 

Le biblioteche: cattedrali nel deserto

Anche il patrimonio librario delle nostre biblioteche risulta essere carente. Esso è molto vecchio e sottodimensionato rispetto alle collezioni delle biblioteche del settentrione. Si sta parlando di circa 1763 libri per mille abitanti contro i 3244 volumi disponibili nel centro nord.

Le nostre biblioteche sembrano essere diventate ciò che Borges, maestro della narrativa e bibliotecario lui stesso, temeva: "Ho sempre immaginato il Paradiso come una specie di biblioteca". Ma le nostre, di biblioteche, sono più simili a un Purgatorio dimenticato: scaffali polverosi, libri ingialliti dal tempo, cataloghi che si fermano agli anni '90 come se il millennio nuovo non fosse mai arrivato.

Ciò non vuol dire che la Sicilia e le altre regioni del sud Italia non presentano collezioni bibliografiche di pregio. La stessa presenza di numerosi archivi statali e regionali nel nostro territorio va contro questa semplicistica lettura, ma come si può immaginare queste collezioni dispongono di volumi alquanto superati e non aggiornati.

Marginale è anche il ridotto numero di accessi alle biblioteche. All'interno della nostra regione su ogni mille abitanti si registrano poco meno di cento accessi alle biblioteche, contro la media italiana, che è di circa 568 accessi. Molto distante la media del centro nord, che si attesta ai 774 accessi.

Antonio Gramsci, nel secolo scorso, scriveva: "Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza". Ma come può istruirsi un popolo che non ha accesso ai libri, o che, pur avendolo, preferisce dedicare il proprio tempo ad attività che richiedono meno sforzo intellettuale?

 

La chiusura delle librerie e delle edicole: un territorio culturalmente desertificato

Una delle cause principali di questa situazione è la difficoltà di accesso ai libri, con la chiusura di centinaia di edicole e di librerie in tutto il territorio regionale. I piccoli centri sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto. In molti comuni siciliani non esiste più un solo punto vendita di libri o giornali. Bisogna fare chilometri per trovare una libreria, e quando la si trova, spesso è una di quelle grandi catene che privilegiano i bestseller e le novità del momento, trascurando la cultura locale e i piccoli editori.

Gustave Flaubert sosteneva che "Leggere per innalzarsi è la cosa più nobile che si possa fare". Ma come si fa ad innalzarsi se non c'è nemmeno la possibilità materiale di procurarsi un libro? È come pretendere che un contadino coltivi la terra senza avere né seme né aratro.

Le librerie non sono solo punti vendita, sono presidi culturali, luoghi di incontro e di scambio, spazi dove le idee circolano insieme ai libri. La loro chiusura rappresenta un impoverimento non solo commerciale ma anche sociale e intellettuale.

 

L'abbandono scolastico: il seme della non-lettura

Un altro fattore determinante è l'abbandono scolastico, piaga che affligge la nostra isola con percentuali tra le più alte d'Italia. I ragazzi che lasciano la scuola difficilmente diventeranno lettori. La scuola è il luogo dove, tradizionalmente, si impara ad amare i libri, dove si acquisiscono gli strumenti per comprendere e apprezzare la lettura.

Maria Montessori, grande pedagogista, insegnava che "Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere". Ma se il bambino abbandona la scuola, quel fuoco non sarà mai acceso, e con esso si spegne anche la possibilità di una vita illuminata dalla conoscenza.

Le statistiche ci dicono che i giovani siciliani tra i 15 e i 17 anni sono i più propensi alla lettura (86%), seguiti da quelli tra i 18 e i 24 anni (79%). Questo dato potrebbe sembrare incoraggiante, ma in realtà è emblematico di un problema più profondo: man mano che si cresce, si smette di leggere. La scuola, finché si frequenta, mantiene vivo l'interesse per i libri. Ma una volta fuori, in una società che non valorizza la cultura, quell'interesse si affievolisce fino a scomparire.

 

La competizione con i nuovi media: una battaglia impari

Non possiamo ignorare l'impatto dei nuovi media sulle abitudini di lettura. Smartphone, social network, videogiochi e piattaforme di streaming offrono un intrattenimento immediato, che non richiede lo sforzo che invece è necessario per leggere un libro.

Marshall McLuhan, visionario teorico della comunicazione, aveva previsto: "Il medium è il messaggio". E il messaggio dei nuovi media sembra essere: perché sforzarsi di leggere quando si può guardare? Perché costruirsi un'opinione quando si può condividere quella altrui con un semplice click?

In Sicilia, terra di contraddizioni, questo fenomeno si amplifica. Siamo tra le regioni con la più alta penetrazione di smartphone e social network, ma con il più basso indice di lettura. Preferiamo scorrere le pagine virtuali di Facebook piuttosto che quelle reali di un libro.

 

Una speranza per il futuro: i giovani lettori

In questo scenario desolante bisogna tuttavia valorizzare alcuni importanti segnali di speranza. La maggioranza dei lettori siciliani risulta più giovane di 25 anni (i lettori dai 15 ai 17 anni sono l'86%, mentre quelli dai 18 ai 24 anni il 79%).

Questo dato, apparentemente positivo, deve però essere interpretato con cautela. I giovani leggono per obbligo scolastico o per genuino interesse? Continueranno a leggere anche dopo i 25 anni, quando saranno immersi nel mondo del lavoro (per chi avrà la fortuna di trovarlo) e nelle responsabilità familiari?

Eugenio Montale, poeta e giornalista, scriveva: "La cultura non è professione per pochi: è una condizione per tutti, che completa l'esistenza dell'uomo". Ma in Sicilia questa condizione sembra essere appannaggio di una minoranza sempre più esigua.

 

L'insoddisfazione come motore di cambiamento

Un altro dato interessante è che buona parte della popolazione siciliana si ritiene insoddisfatta dell'offerta culturale presente all'interno della propria regione e spinge per una valorizzazione del mercato librario interno.

C'è dunque una domanda di cultura che non trova risposta adeguata. C'è una sete di conoscenza che non ha fontane a cui abbeverarsi. C'è un desiderio di crescita intellettuale che si scontra con la povertà dell'offerta.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel suo capolavoro "Il Gattopardo", faceva dire al Principe di Salina: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi". Ma in Sicilia, paradossalmente, sembra che tutto cambi (tecnologie, abitudini, stili di vita) affinché tutto resti com'è: un'isola ai margini della cultura.

 

Conclusioni: un appello all'azione

La situazione della lettura in Sicilia non è solo un problema culturale, ma sociale ed economico. Una popolazione che non legge è una popolazione più facilmente manipolabile, meno critica, più incline all'accettazione passiva dello status quo.

Federico García Lorca, che della Sicilia fu innamorato, scriveva: "Un popolo che non aiuta e non favorisce la sua cultura è un popolo che non solo perde la sua identità ma commette un suicidio sociale". Noi siciliani siamo sul ciglio di questo baratro.

È necessario un piano di intervento serio e articolato: investimenti nelle biblioteche, incentivi per l'apertura di nuove librerie, campagne di promozione della lettura, valorizzazione degli autori locali, collaborazione tra scuole e istituzioni culturali.

Ma soprattutto è necessario un cambiamento di mentalità. Dobbiamo capire che leggere non è un lusso o un passatempo per intellettuali con la puzza sotto il naso. Leggere è un diritto, un bisogno, una necessità per chiunque voglia essere veramente libero.

Come diceva Gianni Rodari, scrittore e pedagogista: "Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo". E noi siciliani di schiavitù ne abbiamo conosciute fin troppe nella nostra storia millenaria. È tempo di liberarci anche da questa, la più subdola: l'ignoranza.

lunedì 16 settembre 2024

“Gli italiani? Leggono sempre meno” di Davide Romano, giornalista

 


 

L’Italia, si sa, è un paese di santi, poeti e navigatori. Ma, ahimè, non di lettori. Non c'è bisogno di sfogliare troppi giornali o consultare le statistiche per comprendere una realtà amaramente evidente: gli italiani non leggono. Gli ultimi dati ISTAT parlano chiaro: meno di un italiano su due ha letto almeno un libro nell'ultimo anno. Un dramma culturale, come lo definirebbe Umberto Eco, uno dei pochi intellettuali italiani a difendere con vigore la lettura in un Paese che, paradossalmente, ha prodotto alcuni dei più grandi scrittori e poeti del mondo.

Per capire questa triste verità, basti guardare ai dati forniti da Associazione Italiana Editori (AIE): nel 2023, circa il 40% degli italiani dichiarava di non leggere mai libri. E non parliamo solo di alta letteratura, ma nemmeno un romanzo leggero o un saggio divulgativo. Perfino Antonio Gramsci, nelle sue Lettere dal carcere, lamentava questa tendenza all’apatia culturale, sottolineando quanto fosse fondamentale "formare una coscienza critica". E la lettura, si sa, è lo strumento principe per questo.

 

Il pensiero di scrittori e intellettuali

Cesare Pavese, in una delle sue riflessioni più amare, scriveva: "Un paese che non legge è un paese senza futuro". Pavese, che non solo scriveva romanzi ma li viveva, vedeva nella lettura una forma di resistenza al conformismo culturale. E aveva ragione. Ma la realtà italiana sembra smentire le sue parole: mentre in Francia o in Germania le librerie sono un'istituzione, in Italia chiudono a ritmo allarmante. Montanelli stesso, con il suo stile corrosivo, denunciava già nel secolo scorso una "mediocrità culturale di fondo" nel nostro Paese, sostenendo che “un popolo che non legge è più facile da governare”.

Non sorprende che Norberto Bobbio, filosofo di grande finezza intellettuale, abbia indicato la scarsa lettura come una delle cause della debolezza della democrazia in Italia. Per Bobbio, la mancanza di dibattito e riflessione, che solo i libri possono stimolare, rendeva i cittadini più vulnerabili alla manipolazione politica. Non c'è da stupirsi, dunque, se oggi, in una società dominata dai social media e dalle notizie frammentarie, i lettori critici siano diventati una rara specie in via d'estinzione.

 

La crisi dell'editoria e il declino delle librerie

Siamo nel Paese di Dante, Petrarca e Boccaccio, ma anche in quello in cui, secondo i dati dell’AIE, il 59% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non legge alcun libro. Questa è forse la statistica più allarmante, perché indica non solo una crisi presente, ma soprattutto un futuro culturale sempre più arido. Italo Calvino, nei suoi saggi, parlava della lettura come di "un atto di liberazione", qualcosa che ci permette di vivere altre vite, esplorare mondi sconosciuti, ma anche confrontarci con le contraddizioni della nostra stessa esistenza. Cosa ne sarà di una generazione che preferisce scrollare su TikTok invece di sfogliare le pagine di un libro?

Se poi guardiamo al panorama editoriale, la situazione non è meno desolante. Giulio Einaudi, il grande editore, lamentava già decenni fa che in Italia i libri di qualità faticavano a trovare lettori. Oggi, con la concorrenza delle piattaforme di streaming, dei videogiochi e dei social, la battaglia è ancora più dura. Nel 2022, il mercato editoriale italiano ha registrato un calo delle vendite del 6%, con una chiusura di oltre 700 librerie indipendenti. Un deserto culturale, come lo definirebbe Pier Paolo Pasolini, che in uno dei suoi ultimi interventi pubblici disse: "La cultura è sempre più un privilegio di pochi, un lusso che il popolo non può più permettersi".

 

Lettori: una razza in estinzione?

Viene spontaneo chiedersi: cosa ci aspetta? In un mondo sempre più frenetico e dominato da stimoli immediati, ha ancora senso parlare di lettura? Sì, se pensiamo che la lettura non è solo un piacere intellettuale, ma una necessità per la nostra stessa umanità. Tullio De Mauro, uno dei più grandi linguisti italiani, sottolineava come la lettura fosse un potente strumento di emancipazione personale e sociale. Non leggere, al contrario, significa rinunciare a una parte essenziale di sé, rinchiudersi in una bolla di superficialità che ci rende meno liberi.

E allora, per concludere con una riflessione di Montaigne, "chi non legge non solo ignora le parole, ma le idee". Forse è proprio questo il nodo del problema: l'Italia, Paese di grande cultura, è diventata una nazione di non lettori. E finché non si risolverà questa frattura tra la nostra tradizione culturale e la realtà contemporanea, il nostro futuro, come ammoniva Pavese, sarà irrimediabilmente compromesso.

venerdì 2 agosto 2024

Una proposta per l’editoria indipendente

 


Express. LA RUBRICA DELLA CULTURA CHE FA IL GIRO DEL MONDO. Isabelle Kenyon ha pubblicato un articolo dove illustra i problemi del settore invitando a un «radicale ripensamento»

 

Di Maria Teresa Carbone (il manifesto, 1 agosto 2024)

 

Isabelle Kenyon deve essere una persona coraggiosa e soprattutto dotata di energie non comuni. Non solo nel 2018, a ventun’anni, ha fondato la casa editrice The Fly on the Wall a Manchester, la città inglese dove vive e di cui è una sostenitrice appassionata, ma la manda avanti da sola, pubblicando circa otto libri l’anno – di cui cura l’editing, disegna le copertine, organizza gli aspetti tecnici e gestisce le campagne di marketing. A quanto pare, tutto questo lavoro lo fa anche bene, se nei primi mesi di quest’anno «la sua azienda ha vinto il premio Small Press of the Year per l’Inghilterra del Nord ai British Book Awards 2024, battendo la concorrenza di rivali più grandi e affermati», come fa notare Cara Kilman su una testata locale, I Love MCR.

Tra l’altro, oltre all’attività nella casa editrice, Kenyon scrive e pubblica da anni poesie e di recente si è lanciata nella narrativa con un thriller psicologico, The Dark Within Them, di cui, parlando con Kilman, si dichiara molto orgogliosa. Insomma, a giudicare dalla sua attività, tutto si può dire di Kenyon tranne che sia un tipo rinunciatario e piagnucoloso. Eppure a metà luglio sul periodico specializzato britannico The Bookseller è uscito un suo articolo intitolato senza mezzi termini The sums don’t work, «I conti non tornano», in cui sostiene che «le finanze dell’editoria indipendente sono in crisi nera» ed «è necessario un radicale ripensamento».

Secondo Kenyon il problema si può ridurre a una parola sola: il prezzo – che, detto altrettanto sinteticamente, è troppo basso o, meglio, è troppo basso per le piccole case editrici indipendenti che hanno tirature limitate e una distribuzione ridotta rispetto a quella dei grandi gruppi.

Citando anche altri proprietari di piccole sigle editoriali, Kenyon sostiene che puntare a prezzi sempre più bassi è un errore: «Noi prezziamo i libri in base a quello che supponiamo le librerie venderanno – dice Sam Jordison di Galley Beggar Press – ma siamo arrivati all’assurdo che un paperback può costare meno di una pinta di birra. Il prezzo dei nostri libri dovrebbe riflettere meglio i costi di produzione e permettere a noi e soprattutto ai nostri autori di avere un ritorno economico che rifletta il lavoro fatto». Purtroppo, però, sembra il solito caso del cane che si morde la coda, rileva la responsabile di Emma Press, pure citata nell’articolo di Kenyon: «Per rientrare nei costi di manodopera, produzione e vendita, di una raccolta di poesia tirata in 300 copie, dovremmo fissare un prezzo di copertina di 20 sterline, il che probabilmente, renderebbe ancora meno probabile la vendita di 300 copie».

E allora? Kenyon una proposta ce l’ha, ed è appunto un ripensamento dei prezzi che dovrebbe essere condiviso anche dai grandi gruppi e che dovrebbe tenere conto, oltre che dell’esperienza e della fama dell’autore, anche del tempo impiegato nella scrittura e nell’editing, d’altra parte ipotizzando misure di sostegno per gli scrittori emergenti da ambienti «svantaggiati», e per le biblioteche e le scuole.

Il piano, per la verità non sembra di facile realizzazione, se non altro perché Kenyon pare convinta che la risposta dei lettori a questa rivoluzione sarà positiva. Ma è interessante che per una volta si parli di prezzi e si ammetta in modo esplicito come buona parte dell’editoria indipendente (non solo nel Regno Unito, del resto) si regga su un sistema di (auto)sfruttamento.

martedì 9 luglio 2024

La sfida dell’editoria: il 2024 un anno cruciale

 



Nonostante i tentativi di guardare i dati “dal lato positivo”, la consueta conferenza di gennaio della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri, che traccia l’andamento del mercato editoriale per l’anno appena trascorso, non può non lasciare un po’ di amaro in bocca. Rispetto alle disamine precedenti da cui il libro e l’Italia nel suo complesso uscivano decisamente vincitori sulle crisi cui il mondo era andato incontro (la pandemia su tutte), quest’anno è più marcato il potenziale rallentamento.

 

Dalle analisi di Angelo Tantazzi, presidente di Prometeia, emerge infatti che se da un parte il livello di disoccupazione è rientrato ai valori precedenti la pandemia (addirittura sceso del 2% – e questo è un dato di importanza storica), dall’altra è ancora con il debito pubblico che paghiamo la crisi, molto più degli altri Paesi (la performance migliore nel rapporto Pil/debito è, senza troppe sorprese, della Germania) e il nostro Pil cresce molto poco (dello +0,7% nel 2023 e si stima dello +0,4% nel 2024). Siamo però usciti dalla crisi abbastanza bene: i consumi degli Italiani si sono mossi in linea con quelli dei cittadini degli altri Paesi ma decisamente superiore è stata, in questi ultimi quattro anni, la performance degli investimenti, soprattutto perché, da parte dello Stato, sono state messe in atto azioni di sostegno (per esempio con gli incentivi per le ristrutturazioni). Ecco: d’ora in avanti è prevista una normalizzazione delle politiche, dopo gli anni di emergenza che si sono aperti con la crisi Covid-19, e si restringeranno quindi gli spazi per la politica di bilancio. Con il 2024 terminerà l’impatto sui consumi dei sostegni straordinari, che saranno sostituiti solo in parte dalle misure introdotte dalla legge di bilancio, destinate soprattutto a sostenere i redditi delle famiglie, perciò è da attendersi una contrazione nei consumi. In ambito culturale, in particolare, la 18 app – strumento che aveva funzionato assai bene – verrà sostituite da due diverse “carte” con riduzione di fondi da 230 milioni stanziati a 190, mentre per l’editoria è stato rinnovato il finanziamento del Fondo straordinario che ammonterà, per il 2024, a 14.5 milioni di euro.

 

Per fortuna si sta assistendo al rientro dei prezzi al consumo, trainato da quelli dell’energia (-24.7% mese su mese a dicembre) ma in cui la componente alimentare resta erratica e gravosa, e nonostante, nel corso del 2023, i prezzi dell’energia siano scesi, mediamente dimezzandosi, rimarranno comunque permanentemente più alti (circa il doppio) degli anni prepandemici. Al contempo i salari aumentano ma non recuperano l’inflazione e in Italia restano ben al di sotto della media europea (+3% contro il 4.5%) mentre i tassi di interesse continuano a salire. Quindi, anche se il livello occupazionale è decisamente aumentato (rispetto a fine 2019, nel quarto trimestre del 2023 gli occupati sono 560.000 in più e i disoccupati sono quasi 500.000 in meno), il potere d’acquisto reale del reddito è sceso, ma non la propensione al consumo degli Italiani (che hanno anche intaccato i risparmi), tornata ai livelli prepandemici. È ipotizzabile che nel 2024 la ripresa del potere di acquisto, alimentata dalla discesa dell’inflazione e dalla tenuta del mercato del lavoro, sosterrà i consumi in crescita: la propensione al risparmio è infatti calata, rispetto al massimo del +15.6% dell’anno del lockdown, ma rispetto al 2023 (+6.9%) si stima che torni a salire a +7.4%. Sembra una differenza trascurabile, ma non lo è: ogni punto percentuale incide per 13.7 miliardi annui.

 

E su cosa si concentra il consumo italiano? Negli ultimi anni le spese per affitti, luce, acqua, gas, carburanti, salute eccetera (sostanzialmente legati al rincaro dei costi dell’energia) sono salite di due punti percentuali che hanno quindi corrispondentemente “schiacciato” i servizi non obbligati. I libri sono catalogati tra i beni non durevoli (insieme ad abbigliamento, igiene, cosmesi) e dal 2019 sono scesi di mezzo punto. Si stima che nel 2024, in generale, la crescita dei consumi rallenterà. Le famiglie tenderanno a ricostituire il risparmio e ciò influenzerà negativamente la loro propensione a spendere. Per i libri, dopo il veloce recupero dei livelli prepandemia nel 2022, nel 2023 si è osservato un calo sia dei volumi sia dei prezzi invece dal 2024 si stima l’avvio di un trend di crescita.

 

La sensazione dilagante di “sentirsi più poveri” dipende molto dal livello di reddito: le asimmetrie di ricchezza condizionano i comportamenti di consumo. Le famiglie più ricche detengono una ricchezza media tale da poter garantire lo stesso stile di vita, essendo in grado di sopportare gli aumenti di prezzo, e spostano il proprio paniere di spesa sempre di più verso la componente dei servizi, mentre le famiglie meno benestanti restano condizionate dall’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Quindi se l’inflazione per le prime è stata del +5.7% per le seconde invece è stata del +6.5%.

 

In un panorama generale non esattamente roseo, come ha performato il mercato editoriale?

 

I dati dell’Associazione Italiana degli Editori (Aie), raccolti e analizzati in collaborazione con Nielsen, BookScan e IE Informazioni Editoriali, e riportati durante la conferenza dal Presidente della Federazione degli Editori Europei (Fep) Ricardo Franco Levi, hanno mostrato che l’Italia si piazza al quarto posto tra i grandi mercati europei con un valore complessivo di 3-3.5 miliardi di euro, seguendo Regno Unito (4-4.5), Francia (4.5-5), Germania (9.5-10), in un mercato che complessivamente vale 37-38 miliardi di fatturato e che fa del libro la prima industria culturale europea.

 

In Italia l’editoria trade (romanzi e saggistica) è cresciuta del +0,8% a valore rispetto al 2022 (+14.1% rispetto al 2019) invece ha subito una lieve flessione in termini di copie (-0.7% sul 2022 ma +12.6% sul 2019). Nel 2023 il prezzo medio di copertina dei libri comprati è stato di 15.17 euro, in crescita del +1.5% rispetto l’anno precedente ma ben meno dell’inflazione che è stata invece del +5.7%. Confrontando con il 2019, invece, il prezzo dei libri venduti è cresciuto del +2.6%, contro una crescita generale dei prezzi del +15.7%. Sono numeri che testimoniano la riduzione dei margini di guadagno degli editori, ma anche lo sforzo per tenere bassi i prezzi e non deprimere la domanda di lettura.

 

Le librerie fisiche restano il principale canale di distribuzione di libri, recuperando terreno (il 54.7% del totale contro il 53.5% dell’anno scorso), ma sempre in calo rispetto a prima della pandemia (il 64% nel 2019). Questi trend si individuano, con percentuali lievemente diverse, a livello europeo, ed emerge che il libro di carta resta il preferito dei lettori, anche se guadagnano terreno gli audiolibri, che crescono in Italia del +12% rispetto al 2022, e gli e-book che crescono del +2.5%. Nel complesso, quindi, il mercato editoriale italiano cresce in quest’ultimo anno dell’1.1%. Non sono risultati deludenti, ma preoccupanti se si tiene conto che l'anno prossimo verranno meno, come detto, alcune misure a sostegno della domanda.

 

Il 2024 sarà un anno cruciale per il futuro dell’editoria quindi, anche per un altro aspetto, non direttamente legato al mercato, ma alla sua struttura interna: il 2 aprile, con tutta probabilità, verrà approvata la direttiva europea sull’intelligenza artificiale che dovrebbe garantire la trasparenza delle fonti usate per alimentare i database delle reti neurali. Il tema è delicatissimo perché fortemente interconnesso con il diritto d’autore, e non dobbiamo mai dimenticare che a dar vita ai libri che il mercato dell’editoria perfeziona, pubblica e distribuisce è, in primis, chi scrive. Che va tutelato.


(Fonte: di Valentina Berengo, https://ilbolive.unipd.it/)