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mercoledì 28 maggio 2025

La Sicilia e i suoi libri, un amore contrastato



C'è qualcosa di paradossalmente tragico nel rapporto che la Sicilia intrattiene con i libri. Quest'isola che ha dato i natali a Luigi Pirandello e a Leonardo Sciascia, che ha nutrito le pagine immortali di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e di Gesualdo Bufalino, che ha ispirato le cronache di Andrea Camilleri e le riflessioni di Vincenzo Consolo, sembra guardare con sospetto quell'oggetto misterioso che chiamiamo libro. Come se fosse un corpo estraneo, un'intrusione nella sua millenaria saggezza orale, fatta di proverbi tramandati sotto il sole cocente dei cortili e di storie raccontate all'ombra dei carrubi.

Ho sempre pensato che la Sicilia avesse con la cultura scritta lo stesso rapporto ambivalente che intrattiene con l'Italia stessa: formalmente la riconosce, ma nella sostanza la tiene a debita distanza, preferendo affidarsi alle proprie leggi non scritte, ai propri codici d'onore, alle proprie tradizioni che si tramandano di bocca in bocca come antichi segreti iniziatici. Il libro, in questo contesto, diventa quasi un'imposizione dall'alto, qualcosa che viene da fuori e che disturba l'equilibrio millenario di un'isola abituata a fare da sé, a bastare a se stessa.

Eppure, quando la Sicilia decide di raccontarsi attraverso la scrittura, il risultato è sempre di una potenza straordinaria. È come se tutti i sentimenti compressi, tutte le parole non dette, tutta la bellezza malinconica e la rabbia trattenuta accumulate nei secoli esplodessero all'improvviso in pagine di una densità emotiva che lascia senza fiato. Pensate al "Gattopardo" di Lampedusa, scritto quasi per caso da un principe che non aveva mai pubblicato nulla e che morì senza vedere il successo del suo capolavoro. O alle pagine taglienti di Sciascia, capace di trasformare i fatti di cronaca nera in indagini filosofiche sulla natura del potere e della giustizia.

 

I maestri della parola

La letteratura siciliana del Novecento è un fenomeno che meriterebbe studi più approfonditi di quelli che gli sono stati dedicati. Non si tratta solo di una fortunata coincidenza anagrafica, ma di qualcosa di più profondo: come se l'isola, dopo secoli di silenzio forzato, avesse trovato improvvisamente la sua voce letteraria e l'avesse utilizzata con una maestria che lascia stupiti.

Pirandello, con le sue maschere e i suoi paradossi, ha saputo tradurre in forma teatrale e narrativa quel senso dell'assurdo che è così tipicamente siciliano, quella capacità di vedere dietro le apparenze la verità nascosta delle cose. Le sue novelle sono piccoli capolavori di psicologia dove i personaggi si muovono in un mondo che sembra sempre sul punto di rivelare la sua natura illusoria.

Sciascia, dal canto suo, ha fatto della Sicilia un laboratorio per indagare i meccanismi del potere in tutte le loro forme. I suoi romanzi e i suoi saggi sono lezioni di lucidità politica che vanno ben oltre i confini regionali. Quando scriveva di mafia, Sciascia non faceva cronaca ma antropologia; quando raccontava di commissari e di giudici, non faceva giallo ma filosofia morale.

E che dire di Gesualdo Bufalino, scoperto tardivamente ma capace di regalare alla letteratura italiana alcune delle pagine più raffinate e malinconiche del secondo Novecento? La sua "Diceria dell'untore" è un piccolo gioiello di prosa dove la memoria si fa poesia e la malattia diventa metafora di una condizione esistenziale universale.

 

Camilleri e la tradizione popolare

Un discorso a parte merita Andrea Camilleri, che è riuscito nell'impresa quasi impossibile di coniugare letteratura alta e successo popolare, tradizione siciliana e mercato nazionale. I suoi romanzi su Montalbano hanno fatto conoscere la Sicilia a milioni di lettori, ma lo hanno fatto senza cadere nel folklorismo facile o nell'esotismo di maniera.

Camilleri ha capito che la lingua siciliana non è un dialetto pittoresco da esibire come una curiosità, ma uno strumento espressivo ricco di sfumature e di possibilità narrative. I suoi personaggi parlano un italiano mescolato di siciliano che suona autentico perché nasce dall'interno, non è costruito a tavolino per fare colore locale.

Il successo di Camilleri ha dimostrato che esiste un pubblico per una letteratura che sappia essere al tempo stesso radicata nel territorio e aperta al mondo, capace di parlare di cose universali utilizzando un linguaggio particolare. È una lezione che molti scrittori siciliani contemporanei stanno cercando di mettere a frutto.

 

La Zisa: un ponte tra due mondi

In questo panorama complesso e contraddittorio, una menzione particolare merita la casa editrice La Zisa, nata nel 1988 con l'ambizioso progetto di dare voce alla migliore letteratura siciliana e meridionale. Non è un caso che abbia scelto come nome quello del castello normanno-arabo di Palermo: come quell'antica costruzione, anch'essa ha rappresentato per anni un ponte tra culture diverse, un punto d'incontro tra tradizione e modernità.

La storia della Zisa è emblematica delle difficoltà che incontra l'editoria di qualità nel Mezzogiorno. Nata a Palermo con l'idea di creare un polo editoriale siciliano capace di competere con le grandi case editrici del Nord, ha dovuto fare i conti con le resistenze del mercato locale e con le difficoltà di distribuzione che affliggono tutti gli editori del Sud. Il suo trasferimento a Firenze, avvenuto dopo trent'anni di attività, è la dimostrazione plastica di quanto sia difficile fare editoria di qualità rimanendo ancorati al territorio d'origine.

Eppure, nei suoi anni palermitani, La Zisa è riuscita a svolgere un ruolo importante nel panorama culturale siciliano. I suoi cataloghi erano come piccoli atlanti dell'anima isolana, mappe dettagliate di un territorio interiore che sfugge alle classificazioni facili e alle semplificazioni turistiche. Ha pubblicato autori siciliani e meridionali di qualità, mantenendo sempre un equilibrio difficile tra radicamento territoriale e respiro nazionale.

Il suo trasferimento a Firenze non va letto come un tradimento delle origini, ma come un adattamento necessario alle leggi spietate del mercato editoriale. Firenze, con la sua tradizione culturale e la sua posizione geografica, offre possibilità di distribuzione e di visibilità che Palermo, nonostante la sua ricchezza storica e culturale, non può garantire.

 

Il paradosso dell'indifferenza

Ma torniamo al paradosso iniziale: perché un'isola così ricca di talenti letterari, così carica di storie da raccontare, così densa di contraddizioni affascinanti, continua ad avere un rapporto difficile con il libro come oggetto di consumo culturale? La risposta, come spesso accade quando si parla di Sicilia, non è semplice e richiede uno sguardo che vada oltre i luoghi comuni.

C'è innanzitutto una questione strutturale: la Sicilia ha sempre avuto tassi di analfabetismo più alti rispetto al resto d'Italia, e anche quando questo problema è stato superato dal punto di vista quantitativo, sono rimaste sacche di resistenza culturale che vedono nel libro un oggetto sostanzialmente inutile, un lusso per chi ha tempo da perdere.

Ma c'è anche qualcosa di più sottile: una diffidenza istintiva verso tutto ciò che viene percepito come "ufficiale". Il libro, soprattutto quello che arriva dalle case editrici del Nord, è spesso visto come un prodotto estraneo, che porta con sé valori e sensibilità lontane da quelle isolane. È una diffidenza che ha radici storiche profonde, legate ai secoli di dominazioni straniere che hanno sempre imposto le loro regole dall'esterno.

 

La tradizione orale come concorrente

Non bisogna poi dimenticare che la Sicilia ha una tradizione orale straordinariamente ricca, che per molti versi entra in competizione con la cultura scritta. Quando hai cresciuto generazioni intere con i cunti dell'Opera dei Pupi, quando ogni angolo di strada custodisce una leggenda, quando ogni famiglia ha le sue storie tramandate di nonno in nipote, il libro può apparire come qualcosa di artificioso, di costruito a tavolino.

La realtà siciliana è già così letteraria di per sé che la letteratura scritta rischia di sembrare una ripetizione, una ridondanza. I siciliani sono tutti un po' narratori nati: basta sentirli raccontare una storia qualunque per rendersi conto di quanto sia naturale in loro il senso del ritmo, dell'ironia, della suspense. In questo contesto, il libro diventa quasi superfluo.

 

Consolo e la lingua della memoria

Tra gli scrittori siciliani contemporanei che hanno saputo confrontarsi con questa eredità complessa, Vincenzo Consolo occupa un posto particolare. La sua prosa densa e barocca, intessuta di sicilianismi e di echi letterari, rappresenta forse il tentativo più riuscito di tradurre in forma scritta la ricchezza espressiva della tradizione orale siciliana.

Consolo non ha mai ceduto alla tentazione della semplificazione. I suoi romanzi, da "Il sorriso dell'ignoto marinaio" a "Nottetempo, casa per casa", sono costruzioni linguistiche complesse che richiedono un lettore attento e colto. Ma proprio questa complessità è la loro forza: restituiscono alla Sicilia una dignità letteraria che va ben oltre il pittoresco e il folklore.

La sua morte, avvenuta nel 2012, ha privato la letteratura siciliana di una delle sue voci più originali e necessarie. Consolo aveva capito che per raccontare la Sicilia in modo autentico bisognava inventare una lingua nuova, che fosse al tempo stesso antica e moderna, colta e popolare.

 

Il peso della storia

C'è poi da considerare il peso della storia. La Sicilia ha alle spalle tremila anni di dominazioni straniere, che hanno lasciato tracce profonde nella mentalità collettiva. Ogni volta che è arrivato qualcosa dall'esterno - che fossero leggi, mode, o anche libri - è stato spesso sinonimo di imposizione, di perdita di autonomia.

Questa diffidenza storica si riflette anche nell'atteggiamento verso la cultura "alta". Il libro viene spesso percepito come qualcosa che appartiene alle classi dominanti, un simbolo di privilegi che la maggior parte della popolazione non può permettersi. È un'eredità del passato che resiste tenacemente, nonostante i cambiamenti sociali degli ultimi decenni.

 

La sfida del presente

Oggi la situazione sta lentamente cambiando. Le nuove generazioni di siciliani sono più scolarizzate e più aperte al mondo rispetto a quelle del passato. Ma permangono ancora delle resistenze profonde, legate non tanto a problemi economici quanto a questioni culturali più sottili.

Il libro, per essere veramente accettato in Sicilia, deve dimostrare di saper parlare la lingua dell'anima isolana, di saper intercettare quelle corde profonde che da sempre fanno vibrare l'immaginario siciliano. Non basta essere tecnicamente perfetti; bisogna essere autentici.

 

L'eredità dei maestri

L'eredità dei grandi scrittori siciliani del Novecento è un patrimonio inestimabile, ma anche un peso non indifferente per le nuove generazioni. Come si fa a scrivere della Sicilia dopo Sciascia? Come si racconta Palermo dopo Consolo? Come si descrive la provincia siciliana dopo Camilleri?

La risposta sta forse nel non cercare di imitare i maestri, ma nel trovare nuove strade, nuovi linguaggi, nuove prospettive. La Sicilia di oggi non è più quella di Lampedusa o di Pirandello, e ha bisogno di scrittori che sappiano raccontarla per quello che è diventata, non per quello che era.

Il futuro della letteratura siciliana dipenderà dalla capacità di conciliare fedeltà alle radici e apertura al nuovo, rispetto per la tradizione e coraggio dell'innovazione. È una sfida difficile, ma non impossibile, se si considera la ricchezza di talenti che l'isola continua a esprimere.

La storia di case editrici come La Zisa, costrette a emigrare per sopravvivere, è simbolica di un problema più generale: la difficoltà del Sud di trattenere e valorizzare le proprie eccellenze. Ma è anche la dimostrazione che, quando c'è qualità autentica, prima o poi essa trova il modo di affermarsi, anche a costo di cambiare latitudine.

L'importante è che non si perdano mai completamente i legami con la terra d'origine, perché è da quella terra, con tutte le sue contraddizioni e le sue bellezze, che nasce la linfa vitale di ogni autentica esperienza letteraria siciliana.

 

sabato 16 gennaio 2010

“Il libro nel cassetto” La casa editrice La Zisa seleziona operare letterarie di nuovi autori in lingua italiana.



“Il libro nel cassetto”. La casa editrice La Zisa (http://www.lazisa.it/) seleziona opere letterarie di nuovi autori in lingua italiana da pubblicare nelle proprie collane di narrativa, poesia e saggistica. Per partecipare è sufficiente inviare la propria opera (corredata da nome, cognome, indirizzo, numeri telefonici, e-mail, una breve nota autobiografica e dichiarazione di proprietà del testo: qualora ci siamo terzi inserire per esteso i nomi degli autori con relativo consenso) entro e non oltre il 28/02/2010 a:

Edizioni La Zisa
via Francesco Guardione, 5/E
90139 – Palermo;

o via e-mail a: manoscritti@lazisa.it

Gli autori delle opere ritenute idonee per la pubblicazione riceveranno una proposta editoriale. I dattiloscritti non saranno restituiti.

Per info: tel. 091 331104 - cell. 328 4728708 o 329 0326070; e-mail: presidente@lazisa.it - segreteria@lazisa.it