giovedì 6 maggio 2010

IL MISTERO DELLA SANTUZZA: UN DETECTIVE INDAGA SULLA VERGINE EREMITA


Repubblica — 28 marzo 2010


Da lungo tempo desideravo visitare quel remoto monte. Lì mi spingeva la mia curiosità di speleologo ma ancor più l' inquietudine del viaggiatore, la mia irriducibile smania di cacciatore di epos. Mi spingeva a quel luogo soprattutto un nome dai mitici contorni: Rosalia Sinibaldi, una bellissima fanciulla vissuta forse in epoca normanna, meglio conosciuta in Sicilia e nel mondo come santa Rosalia. Alla Serra Quisquina, raccontava una delle tante storie fiorite sulla Santuzza, la Vergine romita aveva vissuto una lunga parte della sua breve vita, forse dodici anni, in solitario eremitaggio prima di trasferirsi sul più celebre Monte Pellegrino. Alla Quisquina Rosalia sarebbe giunta dopo essere fuggita dalla reggia normanna e dalla sua famiglia che la voleva sposa di un nobile cavaliere e qui, in una piccola grotta, la giovane avrebbe trovato pace e rifugio, l' intimità spirituale con l' Infinito. La grotta della Santa, come sapevo, non era di grande rilevanza naturalistica; pochi metri appena di lunghezza. Pochi metri però fatti di pietre che videro grandi e miracolose cose, che trasudavano emozioni profonde e non solo algida umidità. Mi attraeva in particolare una iscrizione graffita dalla stessa Rosalia nella parte iniziale della grotta; una sorta di messaggio ai posteri, avventurosamente scoperto nel ' 600, da cui fu possibile ricostruire parte della vita della misteriosa Santa... (Incipit libro Giancarlo Santi, Ego Rosalia. La Vergine palermitana tra santità ed impostura, 442 pagine, La Zisa edizioni, 25 euro) Giancarlo Santi è un giornalista pubblicistae speleologo dilettante, un devoto di santa Rosalia che con grande pazienza e spirito da detective comincia a indagare su alcuni fatti accaduti in una grotta alla Quisquina nel 1624. Il risultato è un libro - Ergo Rosalia. La Vergine palermitana tra santità ed impostura - a tratti ingenuo ma sempre intrigante, tutto giocato sul rigoroso montaggio degli elementi probatori. È l' estate del 1624, la pestilenza terrorizza Palermo e la città cerca rifugio nei suoi celesti protettori. Sino a quel momento santa Rosalia era stata una delle nebulose figure che affollavano il pantheon cittadino: il suo rifugio in una grotta la collegava ad antichissimi culti che negli stessi luoghi avevano onorato la Grande Madre, Rosalia è «una sorta di rupestre Deus Loci, una divinità ctonia sfuggente e misteriosa». Per la prima volta si manifesta in sogno alla moribonda Girolama Lo Gatto, promettendole la guarigione se avesse pronunciato il voto di recarsi sul monte Pellegrino. La donna promette. Subito guarisce e quasi dimentica l' impegno, finisce per recarsi sul monte alcuni mesi dopo. Ma Rosalia continua a darle indicazioni in sogno, permettendole di guidare gli scavatori che il 15 luglio trovano un agglomerato d' ossa all' interno di una massa di calcite. L' epidemia continua a seguire il suo corso, anche se la tradizione ascrive alla nuova santa il merito di avere debellato la peste. Quaranta giorni dopo, mentre a Bivona una drammatica processione invoca l' aiuto divino, nei boschi della Quisquina due muratori palermitani scoprono un' iscrizione in una grotta. Comincia: «Ego Rosalia Sinibaldi...». Lettere incise nella roccia e subito presentate come la prova dell' esistenza terrena di Rosalia e delle sue nobiliari ascendenze: è una Sinibaldi imparentata con gli Altavilla, discendente addirittura da Carlo Magno. L' iscrizione sapeva di umana vanità e il messaggio celebrava il proprio casato, senza contare che la forma delle lettere era contemporanea invece che normanna. In breve suscitò molti dubbi. Tutti doverosamente rintuzzati dal gesuita padre Cascini, definito dai contemporanei «tromba d' oro della gloria di santa Rosalia». Giancarlo Santi si confronta con la bibliografia accumulata negli ultimi anni, ma nessuno ha messo in primo piano l' iscrizione della Quisquina: va quindi a ritroso, arriva ai protagonisti e alle loro ragioni attraverso le convulse vicende della città impaurita. La storia di Rosalia in fondo vede all' opera pochi personaggi, che non perdono mai di vista il proprio interesse. Trattandosi di una vicenda così lontana nel tempo, lo scrittore-detective adopera i testi secenteschi alla stregua di «testimonianze giudiziarie da mettere a confronto per scoprirvi eventuali incongruenze». Ed è inevitabile che trovi aiuto e conforto nella filologia. Insegue varianti, contraddizioni e rifacimenti testuali, arriva a un antico manoscritto conservato presso la Biblioteca comunale di Palermo. Fra le sue polverose pagine trova le dimenticate «tessere centrali del complesso mosaico»: sono le dichiarazioni rese nel 1642 da dodici abitanti di Santo Stefano di Quisquina testimoni del rinvenimento, adesso riportate in appendice a Ego Rosalia. Quasi suo malgrado, nell' andarea ritroso lo scrittore-detective scopre vistose incongruenze che rischiano di annullare le certezze esibite da padre Cascini. Manca infatti la testimonianza principale, quella dei due muratori palermitani: solo uno dei testimoni era presente al momento della scoperta, gli altri parlano per sentito dire. In pratica, l' unica prova dell' esistenza terrena di santa Rosalia si deve a un non meglio qualificato mastro Francesco Cattano. Sembra di essere di fronte a un falso, un particolare però disturba la logica concatenazione delle ipotesi: tutti concordano che l' iscrizione risalta su una parete di muschio, «lippo antichissimo per l' umidità». Gli eventuali falsificatori avevano lavorato sopra quella patina vegetale, senza distruggerla: ma il continuo rimarcarne l' esistenza ci mostra la sua natura posticcia di trovata teatrale, osservata da vicino l' iscrizione ci riporta all' estetica della meraviglia praticata dal barocco teatro gesuitico. E probabilmente il «lippo antichissimo» si limitava a incorniciare l' iscrizione, che se ricoperta in maniera uniforme nemmeno sarebbe stata notata. L' andare a ritroso, la tecnica indiziaria serve a Giancarlo Santi anche per ricostruire la vivace competizione fra gli Ordini religiosi e la diffusa disponibilità a costruire falsi storici.I benedettini edificano fragili castelli di congetture per dimostrare che Rosalia era stata nel loro Ordine, le basiliane producono documenti che la fanno monaca basiliana. Da parte sua padre Cascini è gesuita: invece di spedirla dritta a giustificarsi con l' Inquisizione, accoglie le rivelazioni della terziaria benedettina suor Maria Roccaforte che sostiene di avere quotidiani colloqui con lo spirito di Rosalia. È padre Cascini a ratificare la genealogia nobiliare della nuova santa, eremita ma di stirpe reale. Una santa per il popolo, ma pronta a rassicurare anche i re.

AMELIA CRISANTINO

Nessun commento:

Posta un commento