Express. LA RUBRICA DELLA CULTURA CHE FA IL GIRO DEL MONDO. Isabelle Kenyon ha pubblicato un articolo dove illustra i problemi del settore invitando a un «radicale ripensamento»
Di Maria Teresa
Carbone (il manifesto, 1 agosto 2024)
Isabelle Kenyon deve essere una persona coraggiosa e
soprattutto dotata di energie non comuni. Non solo nel 2018, a ventun’anni, ha
fondato la casa editrice The Fly on the
Wall a Manchester, la città inglese dove vive e di cui
è una sostenitrice appassionata, ma la manda avanti da sola, pubblicando circa
otto libri l’anno – di cui cura l’editing, disegna le copertine, organizza gli
aspetti tecnici e gestisce le campagne di marketing. A quanto pare, tutto
questo lavoro lo fa anche bene, se nei primi mesi di quest’anno «la sua azienda
ha vinto il premio Small Press of the Year per l’Inghilterra
del Nord ai British Book Awards 2024, battendo la concorrenza di
rivali più grandi e affermati», come fa notare Cara
Kilman su una testata locale, I Love MCR.
Tra l’altro, oltre all’attività nella casa editrice,
Kenyon scrive e pubblica da anni poesie e di recente si è lanciata nella
narrativa con un thriller psicologico, The Dark Within Them, di
cui, parlando con Kilman, si dichiara molto orgogliosa. Insomma, a giudicare
dalla sua attività, tutto si può dire di Kenyon tranne che sia un tipo
rinunciatario e piagnucoloso. Eppure a metà luglio sul periodico specializzato
britannico The Bookseller è uscito un suo articolo intitolato senza mezzi
termini The sums don’t
work, «I conti non tornano», in cui sostiene che «le finanze
dell’editoria indipendente sono in crisi nera» ed «è necessario un radicale
ripensamento».
Secondo Kenyon il problema si può ridurre a una parola
sola: il prezzo – che, detto altrettanto sinteticamente, è troppo basso o,
meglio, è troppo basso per le piccole case editrici indipendenti che hanno
tirature limitate e una distribuzione ridotta rispetto a quella dei grandi
gruppi.
Citando anche altri proprietari di piccole sigle
editoriali, Kenyon sostiene che puntare a prezzi sempre più bassi è un errore:
«Noi prezziamo i libri in base a quello che supponiamo le librerie venderanno –
dice Sam Jordison di Galley Beggar Press – ma siamo arrivati all’assurdo che un
paperback può costare meno di una pinta di birra. Il prezzo dei nostri libri
dovrebbe riflettere meglio i costi di produzione e permettere a noi e
soprattutto ai nostri autori di avere un ritorno economico che rifletta il
lavoro fatto». Purtroppo, però, sembra il solito caso del cane che si morde la
coda, rileva la responsabile di Emma Press, pure citata nell’articolo di
Kenyon: «Per rientrare nei costi di manodopera, produzione e vendita, di una
raccolta di poesia tirata in 300 copie, dovremmo fissare un prezzo di copertina
di 20 sterline, il che probabilmente, renderebbe ancora meno probabile la
vendita di 300 copie».
E allora? Kenyon una proposta ce l’ha, ed è appunto un
ripensamento dei prezzi che dovrebbe essere condiviso anche dai grandi gruppi e
che dovrebbe tenere conto, oltre che dell’esperienza e della fama dell’autore,
anche del tempo impiegato nella scrittura e nell’editing, d’altra parte
ipotizzando misure di sostegno per gli scrittori emergenti da ambienti
«svantaggiati», e per le biblioteche e le scuole.
Il piano, per la verità non sembra di facile
realizzazione, se non altro perché Kenyon pare convinta che la risposta dei
lettori a questa rivoluzione sarà positiva. Ma è interessante che per una volta
si parli di prezzi e si ammetta in modo esplicito come buona parte
dell’editoria indipendente (non solo nel Regno Unito, del resto) si regga su un
sistema di (auto)sfruttamento.
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