domenica 25 agosto 2024

La Zisa e Davide Romano, le fake news non finiscono mai (come i famosi rotoloni)




Nel grandioso palcoscenico del giornalismo, ogni tanto assistiamo a performance così stravaganti da farci dubitare se i protagonisti non abbiano scambiato la realtà con una commedia dell’assurdo. Oggi è il turno di Davide Romano, il nostro palermitano che ha deciso di vendere la casa editrice La Zisa per abbracciare la fede valdese. Sì, avete letto bene. Romano, giornalista, scrittore ed editore, ha scelto di passare dalle pagine ai sermoni, e la notizia è più assurda di un romanzo di fantascienza.

La Zisa, casa editrice con una storia antimafia che farebbe invidia a un eroe di guerra, è stata ceduta – non per difficoltà finanziarie, non per mancanza di idee, ma perché, evidentemente, gestire un’azienda editoriale e preparare sermoni sono attività che richiedono un talento e un tempo incompatibili. Forse Romano ha scoperto che la vera illuminazione arriva meglio senza dover rispondere a e-mail e revisionare bozze.

Romano giustifica la sua scelta con una dichiarazione che farebbe arrossire il più esperto degli sceneggiatori: “Nessuna polemica con i cattolici, solo un amore più grande”. Un amore che, a quanto pare, è più grande delle sue preoccupazioni editoriali. Un amore così grande che potrebbe far pensare a una rinuncia al mondo dei libri in favore di quello dei culti, sebbene il culto del sensazionalismo sembri avere una forte presa sulla stampa.

Ma il vero colpo di scena è che il giornale che ha diffuso questa bizzarra notizia non si è fermato qui. No, il divertimento non finisce mai nel circo della disinformazione! Lo stesso giornale, in un sussulto di creatività, ha prodotto una serie di altre notizie completamente false su Romano. È come se il nostro paladino della fede valdese avesse attirato l’attenzione dei giornalisti per una sorta di celebrazione continua di notizie assurde, destinate a diventare leggenda nel regno della fake news.

E ora, il peggio: la notizia, pur chiaramente inventata e assurda, si è radicata così profondamente nel web da sembrare un monumento alla disinformazione. La notizia di Romano che abbandona la stampa per la predicazione è diventata una sorta di romanzo a puntate, con aggiornamenti che non fanno altro che amplificare l’assurdo. Il fatto che questa farsa continui a girare sui nostri schermi è la dimostrazione lampante che il mondo del giornalismo, nel suo bramoso desiderio di clamorose novità, ha scambiato il fantastico per il reale.

In definitiva, il vero miracolo non è tanto la conversione di Romano, ma la capacità di una notizia ridicola di prosperare nel mare di disinformazione. È come se il circo della stampa si divertisse a tirare fuori ogni giorno nuove e spettacolari invenzioni, dimenticando che, nella giungla delle notizie, un pizzico di verità sarebbe sempre benvenuto. Ma chi ha bisogno di verità quando puoi avere una saga di notizie false che continua a regalare un sorriso beffardo a chi ha il coraggio di credere nel fantastico?

 

venerdì 2 agosto 2024

Una proposta per l’editoria indipendente

 


Express. LA RUBRICA DELLA CULTURA CHE FA IL GIRO DEL MONDO. Isabelle Kenyon ha pubblicato un articolo dove illustra i problemi del settore invitando a un «radicale ripensamento»

 

Di Maria Teresa Carbone (il manifesto, 1 agosto 2024)

 

Isabelle Kenyon deve essere una persona coraggiosa e soprattutto dotata di energie non comuni. Non solo nel 2018, a ventun’anni, ha fondato la casa editrice The Fly on the Wall a Manchester, la città inglese dove vive e di cui è una sostenitrice appassionata, ma la manda avanti da sola, pubblicando circa otto libri l’anno – di cui cura l’editing, disegna le copertine, organizza gli aspetti tecnici e gestisce le campagne di marketing. A quanto pare, tutto questo lavoro lo fa anche bene, se nei primi mesi di quest’anno «la sua azienda ha vinto il premio Small Press of the Year per l’Inghilterra del Nord ai British Book Awards 2024, battendo la concorrenza di rivali più grandi e affermati», come fa notare Cara Kilman su una testata locale, I Love MCR.

Tra l’altro, oltre all’attività nella casa editrice, Kenyon scrive e pubblica da anni poesie e di recente si è lanciata nella narrativa con un thriller psicologico, The Dark Within Them, di cui, parlando con Kilman, si dichiara molto orgogliosa. Insomma, a giudicare dalla sua attività, tutto si può dire di Kenyon tranne che sia un tipo rinunciatario e piagnucoloso. Eppure a metà luglio sul periodico specializzato britannico The Bookseller è uscito un suo articolo intitolato senza mezzi termini The sums don’t work, «I conti non tornano», in cui sostiene che «le finanze dell’editoria indipendente sono in crisi nera» ed «è necessario un radicale ripensamento».

Secondo Kenyon il problema si può ridurre a una parola sola: il prezzo – che, detto altrettanto sinteticamente, è troppo basso o, meglio, è troppo basso per le piccole case editrici indipendenti che hanno tirature limitate e una distribuzione ridotta rispetto a quella dei grandi gruppi.

Citando anche altri proprietari di piccole sigle editoriali, Kenyon sostiene che puntare a prezzi sempre più bassi è un errore: «Noi prezziamo i libri in base a quello che supponiamo le librerie venderanno – dice Sam Jordison di Galley Beggar Press – ma siamo arrivati all’assurdo che un paperback può costare meno di una pinta di birra. Il prezzo dei nostri libri dovrebbe riflettere meglio i costi di produzione e permettere a noi e soprattutto ai nostri autori di avere un ritorno economico che rifletta il lavoro fatto». Purtroppo, però, sembra il solito caso del cane che si morde la coda, rileva la responsabile di Emma Press, pure citata nell’articolo di Kenyon: «Per rientrare nei costi di manodopera, produzione e vendita, di una raccolta di poesia tirata in 300 copie, dovremmo fissare un prezzo di copertina di 20 sterline, il che probabilmente, renderebbe ancora meno probabile la vendita di 300 copie».

E allora? Kenyon una proposta ce l’ha, ed è appunto un ripensamento dei prezzi che dovrebbe essere condiviso anche dai grandi gruppi e che dovrebbe tenere conto, oltre che dell’esperienza e della fama dell’autore, anche del tempo impiegato nella scrittura e nell’editing, d’altra parte ipotizzando misure di sostegno per gli scrittori emergenti da ambienti «svantaggiati», e per le biblioteche e le scuole.

Il piano, per la verità non sembra di facile realizzazione, se non altro perché Kenyon pare convinta che la risposta dei lettori a questa rivoluzione sarà positiva. Ma è interessante che per una volta si parli di prezzi e si ammetta in modo esplicito come buona parte dell’editoria indipendente (non solo nel Regno Unito, del resto) si regga su un sistema di (auto)sfruttamento.