sabato 6 settembre 2025

“Palermo e la carta perduta, anatomia di un declino editoriale” di Davide Romano



 

C'era una volta Palermo con le sue librerie. Non è un incipit da fiaba, ma da necrologio. Perché di quelle insegne che segnavano il paesaggio urbano e intellettuale della città resta oggi più la memoria che la presenza fisica. E dietro ogni saracinesca abbassata, ogni scaffale vuoto, ogni edicola dismessa, si cela una storia più ampia: quella di una città che sta perdendo i suoi luoghi della cultura scritta.

 

Il tramonto delle librerie storiche

La Flaccovio, regina di via Ruggero Settimo per generazioni di palermitani, è caduta nel 2013 come un'aristocratica che non resiste al secolo plebeo degli smartphone. Era più di una libreria: era un salotto intellettuale, un punto di riferimento per studenti universitari, professori, appassionati di cultura. Le sue vetrine esibivano non solo bestseller, ma anche le novità editoriali più raffinate, i saggi che nessun'altra libreria cittadina osava tenere in vista.

Broadway, in via Rosolino Pilo, ha tirato giù la saracinesca nel 2019, dopo diciannove anni di onorata carriera. Specializzata in narrativa e cinema, aveva saputo creare una comunità di lettori affezionati che si ritrovavano tra i suoi scaffali per consigli e scoperte letterarie. La sua chiusura ha privato la città di uno degli ultimi presidi della cultura popolare di qualità.

Altroquando, la fumetteria-libreria che faceva pensare a un avamposto di Parigi nel cuore di Palermo, aveva già chiuso nel 2013. Era il regno dei graphic novel, delle edizioni d'autore, dei libri che profumavano di inchiostro fresco e creatività. Un luogo dove generazioni di giovani avevano scoperto che la letteratura poteva essere anche disegnata, colorata, ribelle.

Poi, a catena, la Sciuti (fine 2023), storica libreria di quartiere che aveva resistito per decenni ai cambiamenti del mercato. E da ultimo il Punto Einaudi, travolto da un addio nazionale: dal primo gennaio 2025 i "punti" sono rimasti solo sulla carta intestata della storia editoriale italiana.

La città dei lettori sembra aver smarrito i suoi scaffali. Ogni chiusura non è solo un evento commerciale, ma un piccolo lutto culturale che impoverisce il tessuto urbano. Perché una libreria non è mai solo un negozio: è un luogo di incontro, di scoperta, di serendipità intellettuale.

 

L'editoria in fuga: quando anche gli editori se ne vanno

Qualche casa editrice palermitana resiste eroicamente: Sellerio, con la sua vocazione per la narrativa di qualità e i gialli mediterranei; Dario Flaccovio Editore, che ha saputo rinnovarsi puntando su tecnologia e formazione professionale. Glifo Edizioni, nata nel 2013, continua a occuparsi di editoria per l'infanzia e saggistica, mentre Edizioni Kalós, da più di trent'anni si dedica a storia, arte, cultura e tradizione siciliana.

Ma la diaspora è comunque in corso. La Zisa, editore di battaglie culturali e letteratura impegnata, nel 2023 si è trasferita a Firenze, perché persino l'Arno sembra più ospitale dell'Oreto per fare cultura. Una scelta simbolica che racconta di un'isola sempre più periferica anche nel mondo dei libri.

Le vecchie glorie sono finite nel cimitero della memoria: Flaccovio Editore ha chiuso i battenti nel 2013, dopo aver pubblicato per generazioni saggi, romanzi e opere di autori siciliani. Duepunti edizioni si è dissolta nel 2014, portando con sé un catalogo di autori emergenti che non hanno più trovato casa editrice. E il deserto editoriale si allarga inesorabilmente.

Palermo, che fu capitale letteraria del Meridione, che diede i natali a Pirandello e ospitò Sciascia, oggi appare come una cattedrale gotica con le navate vuote: l'architettura culturale resiste, ma mancano i fedeli.

 

I giornali: da giganti a fantasmi

Se le librerie cadono, i quotidiani non se la passano meglio. Il Giornale di Sicilia ha seguito la parabola tragica dei pazienti terminali. I numeri sono spietati: nel 2008 stampava 67mila copie, nel 2015 era già sceso a 34mila, nel 2017 viaggiava poco sopra le 22mila. Nel 2022 ancora 5.609 copie, nel luglio 2023 erano 5.078: più che un quotidiano, un bollettino condominiale.

E non è che i "cugini" di Catania se la passino meglio. La Sicilia aveva nel 2011 oltre 51mila copie. Nel 2013 erano già 27mila, nel 2018 appena 18.645. Oggi, meno di 5.500. Da grande quotidiano regionale a foglio di provincia, la parabola è identica.

I dati ADS sono impietosi: «La diffusione quotidiana media dei giornali siciliani, esclusa la Repubblica, è scesa da 25.363 a 23.545 copie». Non serve essere economisti per capire che qui non si parla di fisiologico calo, ma di vera e propria eutanasia. Il Giornale di Sicilia nel 2020 registrava -16,4% di lettori e -37,5% di copie vendute. È come se un teatro da mille posti avesse ridotto il pubblico a cento, con l'orchestra che continua a suonare come se niente fosse.

L'unico dato in crescita? Le edizioni online: +25,2% per il GdS nello stesso anno, +54,8% per La Sicilia. Ma anche lì si parla di briciole rispetto all'impero perduto della carta. Il web cresce, ma non compensa minimamente il crollo della carta stampata. Soprattutto, manca quella ritualità del giornale cartaceo che per generazioni ha accompagnato i palermitani nel loro rapporto quotidiano con le notizie.

 

Il nuovo ecosistema digitale: tanti siti, poca profondità

Il panorama informativo siciliano oggi si è frammentato in decine di testate online: LiveSicilia, ilSicilia, BlogSicilia e molti altri. Ogni provincia ha i suoi portali di informazione locale, ogni comune sembra avere il suo "giornale online". Ma si tratta spesso di operazioni editoriali fragili, con pochi giornalisti, budget risicati e una tendenza alla cronaca spicciola piuttosto che al giornalismo di inchiesta.

Il paradosso è evidente: mai come oggi Palermo ha avuto tanti "giornali", ma mai come oggi l'informazione è stata così superficiale e frammentata. Manca quella funzione di agenda setting che i grandi quotidiani storici riuscivano a svolgere, quella capacità di orientare il dibattito pubblico e di tenere sotto i riflettori i problemi strutturali della città.

 

Le edicole: addio alle vetrine della democrazia

Nel frattempo spariscono anche le edicole, che sono sempre state le vetrine materiali di questa civiltà in disarmo. In provincia di Palermo, tra il 2019 e il 2023, sono scomparsi 21 chioschi. Nel 2024 la città ha visto smontare un'edicola storica del 1929, un piccolo monumento alla storia dell'informazione cittadina.

Non è soltanto un luogo di vendita che scompare, ma un pezzo di paesaggio urbano e di socialità: un'edicola che chiude toglie anima a una piazza, la rende più anonima, meno vissuta. L'edicolante era spesso una figura di riferimento del quartiere, colui che conosceva i gusti letterari e informativi dei suoi clienti, che consigliava una rivista o anticipava le notizie del giorno. Senza edicole, Palermo perde non solo carta, ma anche teatro sociale.

 

Il confronto con il resto d'Italia: perché qui è diverso

Si dirà: è il mondo che cambia, non solo Palermo. È vero, ma solo in parte. Anche a Milano i giornali hanno perso tiratura, anche a Roma si vendono meno copie. Ma lì le librerie non chiudono tutte insieme, e la borghesia che compra un libro in libreria o sfoglia il quotidiano al bar esiste ancora. A Torino, l'editoria resiste con Einaudi, Bollati Boringhieri, UTET, e le librerie indipendenti non solo sopravvivono, ma spesso prosperano.

L'editoria italiana nel 2025 ha registrato un calo del 3,6% nelle vendite, ma questo dato nazionale nasconde profonde differenze territoriali. Al Nord e al Centro esistono ancora anticorpi culturali: università più strutturate, un ceto medio più numeroso e con maggiore propensione alla spesa culturale, politiche locali di sostegno alla lettura.

A Palermo, invece, il declino è più feroce e apparentemente irreversibile, perché non ci sono anticorpi. Qui si chiude, e basta. E il vuoto resta vuoto. Manca una strategia cittadina per salvaguardare questi presidi culturali, mancano incentivi per chi vuole aprire una libreria indipendente, manca persino la consapevolezza che perdere una libreria significa impoverire il tessuto sociale di un quartiere.

 

Il paradosso palermitano: il teatro senza pubblico

Il paradosso è che Palermo, città barocca per eccellenza, non rinuncia mai al teatro. Così, mentre i dati dicono che la carta è morta, i palermitani continuano a vivere come se i giornali fossero ancora quelli di un tempo. Ricordano le prime pagine urlate sul maxiprocesso, i titoli sparati sulla mafia, le inchieste che facevano cadere governi regionali, e si illudono che il giornale sia ancora lì, a fare opinione e a scuotere le coscienze.

Ma intanto lo leggono sempre meno. Il giornale, insomma, resta un rito identitario, ma senza più fedeli. È come se la città continuasse a celebrare messe in una cattedrale vuota: il rito c'è, ma l'assemblea è altrove, distratta da altri altari digitali.

Anche per le librerie vale lo stesso discorso: Palermo si commuove quando chiude una libreria storica, sui social si moltiplicano i post nostalgici e gli appelli a "comprare più libri". Ma poi, nei fatti, i palermitani preferiscono ordinare su Amazon o scaricare ebook. Il sentimento c'è, ma non si traduce in comportamenti di acquisto che possano sostenere l'economia reale della cultura.

 

I sopravvissuti: chi resiste e perché

Non tutto è perduto, però. Una Marina di Libri, il festival del libro di Palermo, continua a svolgersi ai Cantieri culturali alla Zisa, dimostrando che esiste ancora un pubblico per gli eventi letterari. Alcune librerie specializzate resistono puntando su nicchie specifiche: quelle universitarie vicino agli atenei, quelle religiose nei quartieri più tradizionali, qualche libreria per ragazzi che ha saputo rinnovarsi con eventi e laboratori.

G.B. Palumbo Editore continua la sua attività, concentrandosi soprattutto su editoria scolastica e servizi didattici online. È una strategia di sopravvivenza: specializzarsi su mercati di nicchia ma stabili, dove la concorrenza dei giganti dell'e-commerce è meno aggressiva.

Anche nel panorama dell'informazione qualcosa si muove: alcuni dei nuovi portali online stanno investendo in giornalismo di qualità, assumendo cronisti esperti, puntando su inchieste e approfondimenti. Ma si tratta ancora di esperimenti fragili, spesso dipendenti da finanziamenti pubblici o da sponsor privati.

 

Le cause profonde di un declino

Perché Palermo ha perso così rapidamente i suoi luoghi della cultura scritta? Le cause sono molteplici e interconnesse. C'è ovviamente il fattore tecnologico: l'avvento del digitale ha rivoluzionato le abitudini di lettura e informazione di tutti, non solo dei palermitani.

Ma ci sono anche cause più specificamente locali. La crisi economica che ha colpito il Meridione negli ultimi vent'anni ha ridotto il potere d'acquisto delle famiglie, e i libri e i giornali sono spesso i primi beni culturali su cui si risparmia. La disoccupazione giovanile, che a Palermo tocca punte drammatiche, ha svuotato la città dei suoi potenziali lettori più giovani.

C'è poi un problema strutturale nel rapporto tra istituzioni e cultura: troppo spesso le politiche culturali locali si sono concentrate su grandi eventi e manifestazioni di richiamo turistico, trascurando la rete capillare di librerie, edicole e piccole case editrici che costituisce l'ossatura della vita culturale quotidiana di una città.


Quello che si perde: non solo carta, ma memoria

In conclusione, i numeri parlano chiaro: Palermo sta perdendo la sua carta. Non quella dei documenti, che la burocrazia continua a produrre con zelo medievale, ma quella che profumava di inchiostro fresco e di possibilità infinite. La carta delle librerie che chiudevano tardi la sera, delle case editrici che scoprivano nuovi talenti, dei giornali che facevano paura ai potenti.

E senza carta, una città rischia di perdere anche la sua memoria. Perché i libri e i giornali non sono solo merci, ma depositi di memoria collettiva, strumenti di elaborazione critica della realtà, spazi di confronto democratico.

Una città senza giornali non è solo una città meno informata: è una città meno libera. E Palermo, che di libertà e di giornali ne ha pagato il prezzo con il sangue dei suoi cronisti, dovrebbe ricordarselo prima che sia troppo tardi.

Il rischio è che, tra qualche anno, i turisti visitino Palermo come si visita Pompei: per ammirare i resti di una civiltà che fu. Solo che, al posto delle terme e dei teatri romani, troveranno le vetrine vuote delle librerie e i chioschi abbandonati delle edicole. Testimoni silenziosi di un'epoca in cui, in questa città, si leggeva ancora.

 

mercoledì 28 maggio 2025

La Sicilia e i suoi libri, un amore contrastato



C'è qualcosa di paradossalmente tragico nel rapporto che la Sicilia intrattiene con i libri. Quest'isola che ha dato i natali a Luigi Pirandello e a Leonardo Sciascia, che ha nutrito le pagine immortali di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e di Gesualdo Bufalino, che ha ispirato le cronache di Andrea Camilleri e le riflessioni di Vincenzo Consolo, sembra guardare con sospetto quell'oggetto misterioso che chiamiamo libro. Come se fosse un corpo estraneo, un'intrusione nella sua millenaria saggezza orale, fatta di proverbi tramandati sotto il sole cocente dei cortili e di storie raccontate all'ombra dei carrubi.

Ho sempre pensato che la Sicilia avesse con la cultura scritta lo stesso rapporto ambivalente che intrattiene con l'Italia stessa: formalmente la riconosce, ma nella sostanza la tiene a debita distanza, preferendo affidarsi alle proprie leggi non scritte, ai propri codici d'onore, alle proprie tradizioni che si tramandano di bocca in bocca come antichi segreti iniziatici. Il libro, in questo contesto, diventa quasi un'imposizione dall'alto, qualcosa che viene da fuori e che disturba l'equilibrio millenario di un'isola abituata a fare da sé, a bastare a se stessa.

Eppure, quando la Sicilia decide di raccontarsi attraverso la scrittura, il risultato è sempre di una potenza straordinaria. È come se tutti i sentimenti compressi, tutte le parole non dette, tutta la bellezza malinconica e la rabbia trattenuta accumulate nei secoli esplodessero all'improvviso in pagine di una densità emotiva che lascia senza fiato. Pensate al "Gattopardo" di Lampedusa, scritto quasi per caso da un principe che non aveva mai pubblicato nulla e che morì senza vedere il successo del suo capolavoro. O alle pagine taglienti di Sciascia, capace di trasformare i fatti di cronaca nera in indagini filosofiche sulla natura del potere e della giustizia.

 

I maestri della parola

La letteratura siciliana del Novecento è un fenomeno che meriterebbe studi più approfonditi di quelli che gli sono stati dedicati. Non si tratta solo di una fortunata coincidenza anagrafica, ma di qualcosa di più profondo: come se l'isola, dopo secoli di silenzio forzato, avesse trovato improvvisamente la sua voce letteraria e l'avesse utilizzata con una maestria che lascia stupiti.

Pirandello, con le sue maschere e i suoi paradossi, ha saputo tradurre in forma teatrale e narrativa quel senso dell'assurdo che è così tipicamente siciliano, quella capacità di vedere dietro le apparenze la verità nascosta delle cose. Le sue novelle sono piccoli capolavori di psicologia dove i personaggi si muovono in un mondo che sembra sempre sul punto di rivelare la sua natura illusoria.

Sciascia, dal canto suo, ha fatto della Sicilia un laboratorio per indagare i meccanismi del potere in tutte le loro forme. I suoi romanzi e i suoi saggi sono lezioni di lucidità politica che vanno ben oltre i confini regionali. Quando scriveva di mafia, Sciascia non faceva cronaca ma antropologia; quando raccontava di commissari e di giudici, non faceva giallo ma filosofia morale.

E che dire di Gesualdo Bufalino, scoperto tardivamente ma capace di regalare alla letteratura italiana alcune delle pagine più raffinate e malinconiche del secondo Novecento? La sua "Diceria dell'untore" è un piccolo gioiello di prosa dove la memoria si fa poesia e la malattia diventa metafora di una condizione esistenziale universale.

 

Camilleri e la tradizione popolare

Un discorso a parte merita Andrea Camilleri, che è riuscito nell'impresa quasi impossibile di coniugare letteratura alta e successo popolare, tradizione siciliana e mercato nazionale. I suoi romanzi su Montalbano hanno fatto conoscere la Sicilia a milioni di lettori, ma lo hanno fatto senza cadere nel folklorismo facile o nell'esotismo di maniera.

Camilleri ha capito che la lingua siciliana non è un dialetto pittoresco da esibire come una curiosità, ma uno strumento espressivo ricco di sfumature e di possibilità narrative. I suoi personaggi parlano un italiano mescolato di siciliano che suona autentico perché nasce dall'interno, non è costruito a tavolino per fare colore locale.

Il successo di Camilleri ha dimostrato che esiste un pubblico per una letteratura che sappia essere al tempo stesso radicata nel territorio e aperta al mondo, capace di parlare di cose universali utilizzando un linguaggio particolare. È una lezione che molti scrittori siciliani contemporanei stanno cercando di mettere a frutto.

 

La Zisa: un ponte tra due mondi

In questo panorama complesso e contraddittorio, una menzione particolare merita la casa editrice La Zisa, nata nel 1988 con l'ambizioso progetto di dare voce alla migliore letteratura siciliana e meridionale. Non è un caso che abbia scelto come nome quello del castello normanno-arabo di Palermo: come quell'antica costruzione, anch'essa ha rappresentato per anni un ponte tra culture diverse, un punto d'incontro tra tradizione e modernità.

La storia della Zisa è emblematica delle difficoltà che incontra l'editoria di qualità nel Mezzogiorno. Nata a Palermo con l'idea di creare un polo editoriale siciliano capace di competere con le grandi case editrici del Nord, ha dovuto fare i conti con le resistenze del mercato locale e con le difficoltà di distribuzione che affliggono tutti gli editori del Sud. Il suo trasferimento a Firenze, avvenuto dopo trent'anni di attività, è la dimostrazione plastica di quanto sia difficile fare editoria di qualità rimanendo ancorati al territorio d'origine.

Eppure, nei suoi anni palermitani, La Zisa è riuscita a svolgere un ruolo importante nel panorama culturale siciliano. I suoi cataloghi erano come piccoli atlanti dell'anima isolana, mappe dettagliate di un territorio interiore che sfugge alle classificazioni facili e alle semplificazioni turistiche. Ha pubblicato autori siciliani e meridionali di qualità, mantenendo sempre un equilibrio difficile tra radicamento territoriale e respiro nazionale.

Il suo trasferimento a Firenze non va letto come un tradimento delle origini, ma come un adattamento necessario alle leggi spietate del mercato editoriale. Firenze, con la sua tradizione culturale e la sua posizione geografica, offre possibilità di distribuzione e di visibilità che Palermo, nonostante la sua ricchezza storica e culturale, non può garantire.

 

Il paradosso dell'indifferenza

Ma torniamo al paradosso iniziale: perché un'isola così ricca di talenti letterari, così carica di storie da raccontare, così densa di contraddizioni affascinanti, continua ad avere un rapporto difficile con il libro come oggetto di consumo culturale? La risposta, come spesso accade quando si parla di Sicilia, non è semplice e richiede uno sguardo che vada oltre i luoghi comuni.

C'è innanzitutto una questione strutturale: la Sicilia ha sempre avuto tassi di analfabetismo più alti rispetto al resto d'Italia, e anche quando questo problema è stato superato dal punto di vista quantitativo, sono rimaste sacche di resistenza culturale che vedono nel libro un oggetto sostanzialmente inutile, un lusso per chi ha tempo da perdere.

Ma c'è anche qualcosa di più sottile: una diffidenza istintiva verso tutto ciò che viene percepito come "ufficiale". Il libro, soprattutto quello che arriva dalle case editrici del Nord, è spesso visto come un prodotto estraneo, che porta con sé valori e sensibilità lontane da quelle isolane. È una diffidenza che ha radici storiche profonde, legate ai secoli di dominazioni straniere che hanno sempre imposto le loro regole dall'esterno.

 

La tradizione orale come concorrente

Non bisogna poi dimenticare che la Sicilia ha una tradizione orale straordinariamente ricca, che per molti versi entra in competizione con la cultura scritta. Quando hai cresciuto generazioni intere con i cunti dell'Opera dei Pupi, quando ogni angolo di strada custodisce una leggenda, quando ogni famiglia ha le sue storie tramandate di nonno in nipote, il libro può apparire come qualcosa di artificioso, di costruito a tavolino.

La realtà siciliana è già così letteraria di per sé che la letteratura scritta rischia di sembrare una ripetizione, una ridondanza. I siciliani sono tutti un po' narratori nati: basta sentirli raccontare una storia qualunque per rendersi conto di quanto sia naturale in loro il senso del ritmo, dell'ironia, della suspense. In questo contesto, il libro diventa quasi superfluo.

 

Consolo e la lingua della memoria

Tra gli scrittori siciliani contemporanei che hanno saputo confrontarsi con questa eredità complessa, Vincenzo Consolo occupa un posto particolare. La sua prosa densa e barocca, intessuta di sicilianismi e di echi letterari, rappresenta forse il tentativo più riuscito di tradurre in forma scritta la ricchezza espressiva della tradizione orale siciliana.

Consolo non ha mai ceduto alla tentazione della semplificazione. I suoi romanzi, da "Il sorriso dell'ignoto marinaio" a "Nottetempo, casa per casa", sono costruzioni linguistiche complesse che richiedono un lettore attento e colto. Ma proprio questa complessità è la loro forza: restituiscono alla Sicilia una dignità letteraria che va ben oltre il pittoresco e il folklore.

La sua morte, avvenuta nel 2012, ha privato la letteratura siciliana di una delle sue voci più originali e necessarie. Consolo aveva capito che per raccontare la Sicilia in modo autentico bisognava inventare una lingua nuova, che fosse al tempo stesso antica e moderna, colta e popolare.

 

Il peso della storia

C'è poi da considerare il peso della storia. La Sicilia ha alle spalle tremila anni di dominazioni straniere, che hanno lasciato tracce profonde nella mentalità collettiva. Ogni volta che è arrivato qualcosa dall'esterno - che fossero leggi, mode, o anche libri - è stato spesso sinonimo di imposizione, di perdita di autonomia.

Questa diffidenza storica si riflette anche nell'atteggiamento verso la cultura "alta". Il libro viene spesso percepito come qualcosa che appartiene alle classi dominanti, un simbolo di privilegi che la maggior parte della popolazione non può permettersi. È un'eredità del passato che resiste tenacemente, nonostante i cambiamenti sociali degli ultimi decenni.

 

La sfida del presente

Oggi la situazione sta lentamente cambiando. Le nuove generazioni di siciliani sono più scolarizzate e più aperte al mondo rispetto a quelle del passato. Ma permangono ancora delle resistenze profonde, legate non tanto a problemi economici quanto a questioni culturali più sottili.

Il libro, per essere veramente accettato in Sicilia, deve dimostrare di saper parlare la lingua dell'anima isolana, di saper intercettare quelle corde profonde che da sempre fanno vibrare l'immaginario siciliano. Non basta essere tecnicamente perfetti; bisogna essere autentici.

 

L'eredità dei maestri

L'eredità dei grandi scrittori siciliani del Novecento è un patrimonio inestimabile, ma anche un peso non indifferente per le nuove generazioni. Come si fa a scrivere della Sicilia dopo Sciascia? Come si racconta Palermo dopo Consolo? Come si descrive la provincia siciliana dopo Camilleri?

La risposta sta forse nel non cercare di imitare i maestri, ma nel trovare nuove strade, nuovi linguaggi, nuove prospettive. La Sicilia di oggi non è più quella di Lampedusa o di Pirandello, e ha bisogno di scrittori che sappiano raccontarla per quello che è diventata, non per quello che era.

Il futuro della letteratura siciliana dipenderà dalla capacità di conciliare fedeltà alle radici e apertura al nuovo, rispetto per la tradizione e coraggio dell'innovazione. È una sfida difficile, ma non impossibile, se si considera la ricchezza di talenti che l'isola continua a esprimere.

La storia di case editrici come La Zisa, costrette a emigrare per sopravvivere, è simbolica di un problema più generale: la difficoltà del Sud di trattenere e valorizzare le proprie eccellenze. Ma è anche la dimostrazione che, quando c'è qualità autentica, prima o poi essa trova il modo di affermarsi, anche a costo di cambiare latitudine.

L'importante è che non si perdano mai completamente i legami con la terra d'origine, perché è da quella terra, con tutte le sue contraddizioni e le sue bellezze, che nasce la linfa vitale di ogni autentica esperienza letteraria siciliana.

 

lunedì 28 aprile 2025

L'editoria, una malattia meravigliosa. La storia, incredibile, delle Edizioni La Zisa



Gli editori puri - quelli veri, quelli che nascono tali - sono come i cercatori d'oro: un po' folli, un po' visionari, costantemente sospesi tra l'entusiasmo della scoperta e l'orlo del fallimento. Da trent'anni osservo questa fauna particolare aggirarsi tra le fiere del libro, riconoscibili dal loro sguardo febbrile, dalla cravatta leggermente allentata, dalle occhiaie che raccontano notti trascorse a leggere manoscritti che, nella maggior parte dei casi, non pubblicheranno mai.

Le Edizioni La Zisa rappresentano perfettamente questo spirito di avventura culturale. Fondate con l'intento di dare voce a una Sicilia diversa da quella dei luoghi comuni, hanno costruito nel tempo un catalogo che è specchio fedele di questa filosofia: coraggioso, eclettico, mai scontato. Come mi confidò una volta Davide Romano, ex direttore editoriale della casa editrice: "Pubblicare libri in Sicilia è un atto di resistenza culturale, una sfida quotidiana contro l'indifferenza e il disincanto."

"Fare libri" - espressione deliziosa nella sua semplicità - racchiude un universo di passione, follia e calcoli disperati che solo chi vi è immerso può comprendere fino in fondo. La creazione di un libro è un atto che ha qualcosa di demiurgico: si prende una sostanza informe - pensieri, idee, storie - e le si dà forma concreta, materiale, destinata a sopravvivere al suo stesso creatore.

Romano, con il suo approccio meticoloso e la sua visione chiara, ha saputo impostare una linea editoriale riconoscibile per La Zisa, puntando su temi forti come la legalità, la memoria storica, l'identità mediterranea. "Un libro non è solo un prodotto", ripeteva spesso durante le riunioni editoriali, "è un seme che piantiamo nella coscienza collettiva, sperando che germogli al momento giusto."

Il vero editore è un personaggio paradossale: conservatore e rivoluzionario allo stesso tempo. Custode di una tradizione millenaria e, al contempo, in costante ricerca dell'innovazione che potrebbe scardinare il mercato. Le Edizioni La Zisa incarnano questa duplicità: da un lato recuperano e valorizzano la tradizione culturale siciliana, dall'altro esplorano nuovi linguaggi e tematiche contemporanee, tenendo sempre lo sguardo rivolto verso l'altra sponda del Mediterraneo.

Poi, il grande salto. Le Edizioni La Zisa lasciano la loro Palermo per trasferirsi a Firenze, in una mossa che ha sorpreso molti nel settore. Un trapianto geografico che non è solo un cambio di sede, ma una vera e propria scommessa culturale. Dalla culla della cultura arabo-normanna alla patria del Rinascimento: un viaggio simbolico che rappresenta la volontà di espandere i propri orizzonti, di confrontarsi con nuove realtà, di tessere nuove trame editoriali.

"Cambiare città è un po' come cambiare pelle", mi ha confidato un redattore della casa editrice, "conservi la tua identità ma la arricchisci di nuove prospettive, di nuovi stimoli." E Firenze, con la sua stratificazione culturale millenaria, con le sue biblioteche prestigiose, con la sua comunità di lettori esigenti, rappresenta un terreno fertile per chi fa del libro la propria ragione di vita.

Vi è una verità che ogni editore conosce intimamente: per ogni bestseller che sostiene economicamente la casa editrice, ci sono decine di titoli che non raggiungeranno mai il pareggio dei costi. Eppure, si continuano a pubblicare, perché l'editoria non è solo un'impresa commerciale, ma un atto culturale. La collana "Mediterranea" de Le Edizioni La Zisa, fortemente voluta da Romano, è emblematica di questa visione: testi che costruiscono ponti tra culture diverse, che esplorano territori letterari poco battuti, che offrono al lettore stimoli e prospettive nuove.

A Firenze, questa vocazione si arricchisce di nuove possibilità: la vicinanza con istituzioni culturali prestigiose, la presenza di un'università con una solida tradizione umanistica, la possibilità di dialogare con altre realtà editoriali che hanno fatto della qualità la propria bandiera. Un contesto che promette di essere fertile per nuove collaborazioni, nuovi progetti, nuove scoperte.

Ho conosciuto piccoli editori come Le Edizioni La Zisa che hanno rischiato tutto per pubblicare opere di valore che le grandi case editrici avevano rifiutato. Romano mi raccontò una volta di come avessero deciso di pubblicare un saggio storico complesso e impegnativo, consapevoli che le vendite sarebbero state limitate ma convinti dell'importanza culturale dell'operazione. "In certi casi", diceva, "il valore di un libro non si misura in copie vendute ma in menti stimolate."

L'editore vive con un piede nel passato e uno nel futuro. Cerca di interpretare il presente attraverso una sensibilità che è frutto di stratificazioni culturali, di esperienze accumulate, di intuizioni fulminee. Le Edizioni La Zisa, ora con la loro sede nel cuore di Firenze, assorbono e restituiscono l'energia di una città che ha sempre fatto della cultura il proprio tratto distintivo. Il dialogo tra l'anima siciliana della casa editrice e il genius loci fiorentino promette di generare frutti interessanti, ibridazioni culturali, contaminazioni feconde.

Vi è poi la questione del rapporto con gli autori, che meriterebbe un trattato a parte. L'editore è un po' confessore, un po' psicologo, un po' banchiere e, in alcuni casi, anche babysitter. Deve saper gestire ego smisurati, crisi creative, ritardi nella consegna e, talvolta, manoscritti che arrivano completamente diversi da quello che si era concordato. Romano era maestro in quest'arte della mediazione: sapeva essere fermo quando necessario e comprensivo quando la situazione lo richiedeva. "Gli autori sono come bambini", mi disse una volta con un sorriso, "hanno bisogno di regole chiare e di tanto, tanto amore."

Il trasferimento a Firenze rappresenta anche l'opportunità di allargare il proprio parco autori, di intercettare nuove voci, di costruire un catalogo che sia sempre più un ponte tra Sud e Centro Italia, tra la cultura isolana e quella continentale. Una sfida non da poco, che richiede sensibilità, intelligenza e quella capacità di visione che ha sempre contraddistinto Le Edizioni La Zisa.

Chiunque abbia messo piede nella sede de Le Edizioni La Zisa sa che i libri, prima di arrivare sugli scaffali delle librerie, passano attraverso un processo quasi alchemico: dalla scelta del manoscritto all'editing, dalla grafica all'impaginazione, dalla stampa alla distribuzione. Ogni fase comporta decisioni che possono determinare il successo o il fallimento di un'opera. Romano presiedeva a questo processo con la meticolosità di un artigiano e la visione d'insieme di un architetto, consapevole che ogni dettaglio contribuisce all'identità finale del libro.

A Firenze, questo processo si arricchisce di nuove possibilità: la vicinanza con tipografie storiche, la presenza di artigiani del libro che perpetuano antiche tradizioni, la possibilità di dialogare con designer e grafici formatisi in una città dove il senso estetico è parte integrante dell'identità collettiva. Una combinazione che promette di elevare ulteriormente la qualità formale delle pubblicazioni de Le Edizioni La Zisa.

La sfida maggiore per una casa editrice come Le Edizioni La Zisa è quella della distribuzione. In un mercato dominato dai grandi gruppi, farsi spazio e ottenere visibilità è una battaglia quotidiana. Romano aveva compreso l'importanza di costruire relazioni solide con librerie indipendenti e biblioteche, di creare eventi che trasformassero la presentazione di un libro in un'esperienza culturale completa, di utilizzare i social media non solo come vetrina ma come spazio di dialogo con i lettori.

Firenze, con la sua rete di librerie storiche e indipendenti, con i suoi festival letterari, con la sua comunità di lettori curiosi e attenti, offre un terreno fertile per questa strategia. La posizione centrale nella penisola, inoltre, facilita la distribuzione e la logistica, permettendo di raggiungere più agevolmente un pubblico nazionale.

L'editoria è un settore in costante evoluzione. L'avvento del digitale ha rivoluzionato non solo il modo di leggere ma anche quello di produrre e distribuire i libri. Le Edizioni La Zisa hanno saputo abbracciare queste trasformazioni senza perdere la propria identità, esplorando nuovi formati e canali senza rinunciare alla qualità che ha sempre contraddistinto il loro catalogo.

Firenze, con le sue eccellenze nel campo della digitalizzazione e della conservazione del patrimonio culturale, offre opportunità interessanti per chi vuole coniugare tradizione e innovazione. La vicinanza con centri di ricerca e università può favorire collaborazioni feconde, sperimentazioni, progetti innovativi che possono aprire nuove strade nel mondo dell'editoria.

Vi è qualcosa di profondamente politico - nel senso più alto del termine - nel fare libri. Significa partecipare attivamente alla costruzione dell'immaginario collettivo, influenzare il dibattito pubblico, offrire strumenti di comprensione e interpretazione della realtà. Le Edizioni La Zisa lo fanno da sempre, pubblicando testi che affrontano temi scomodi, che danno voce a chi spesso non ne ha, che illuminano angoli bui della nostra storia e della nostra società.

"Un buon editore", mi disse una volta Romano, "deve avere tre qualità fondamentali: curiosità insaziabile, pazienza infinita e un pizzico di follia." Qualità che certamente non gli mancavano e che ha saputo trasmettere a tutti coloro che hanno lavorato con lui. La sua eredità alla guida de Le Edizioni La Zisa è un catalogo ricco e variegato, che spazia dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai libri per ragazzi, sempre con un'attenzione particolare alla qualità dei contenuti e alla cura formale.

L'editoria è un mestiere antico che si rinnova continuamente. È un ponte tra passato e futuro, tra autore e lettore, tra cultura alta e cultura popolare. È un atto di fede nella parola scritta e nella sua capacità di resistere al tempo e all'oblio. Le Edizioni La Zisa, con il loro impegno culturale e la loro visione, adesso trapiantate nel fertile terreno fiorentino, rappresentano perfettamente questa concezione dell'editoria come missione più che come professione.

In un'epoca di bestseller costruiti a tavolino e di logiche puramente commerciali, case editrici come Le Edizioni La Zisa, che hanno fatto della qualità e dell'indipendenza la propria bandiera, sono più preziose che mai. Come sottolineava spesso Romano, "pubblicare un libro è sempre un atto politico, una scelta di campo, una dichiarazione di intenti."

E allora, lunga vita agli editori visionari, a quelli che non si accontentano del già visto e del già letto, a quelli che sanno rischiare e innovare. Lunga vita a chi, come Le Edizioni La Zisa, continua a credere che i libri possano davvero cambiare il mondo, un lettore alla volta. Ora più che mai, dalla loro nuova casa nel cuore pulsante della cultura italiana.

(Anna Miraglia)

venerdì 18 aprile 2025

La Zisa: 37 anni di impegno civile e culturale dalla "parte sbagliata"



Nel panorama editoriale italiano, poche case editrici possono vantare un impegno civile e culturale così profondo e duraturo come La Zisa. Fondata a Palermo nel 1988, questa realtà editoriale rappresenta molto più di una semplice impresa commerciale: è un vero e proprio baluardo di resistenza culturale, un faro di pensiero critico che ha saputo mantenere viva la sua missione originaria pur evolvendo con i tempi.

Le case editrici, come gli uomini, hanno un'anima. E se l'anima resta fedele a sé stessa, anche quando cambia casa, non si può dire che tradisca. Questa riflessione coglie perfettamente l'essenza del percorso de La Zisa, che recentemente ha intrapreso una nuova avventura trasferendosi a Firenze, senza però tradire le proprie radici siciliane. Non un addio alla sicilianità, ma un modo per portarla nel cuore della tradizione culturale italiana.

La Zisa si è rapidamente affermata come voce autorevole nel panorama dell'editoria di qualità, grazie a una linea editoriale coraggiosa che non ha mai temuto di schierarsi apertamente "dalla parte sbagliata" - come orgogliosamente rivendica - ovvero al fianco degli ultimi, contro ogni sopruso e ingiustizia, dando spazio a voci scomode ma necessarie.

Come scrisse Leonardo Sciascia: "La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c'è più né sole né luna, c'è la verità." Ed è proprio questa ricerca della verità, anche quando scomoda, che ha caratterizzato il percorso editoriale de La Zisa.

Il percorso della casa editrice si articola in tre fasi ben distinte. La prima, che abbraccia l'ultimo scorcio del Novecento (1988-1999), ha visto La Zisa delineare con chiarezza la propria identità come soggetto culturale profondamente radicato nella realtà siciliana e palermitana. In questi anni, la casa editrice guidata da Maurizio Rizza ha avuto l'ardire di scommettere sui libri nel momento in cui Palermo sembrava dover affondare nei suoi dolori. Ha ospitato firme prestigiose quali Napoleone Colaianni, Nicola Barbato e figure emblematiche della lotta alla mafia come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto. A questi si sono affiancati intellettuali del calibro di Andrea Camilleri, Giancarlo Caselli e Gherardo Colombo.

Come sottolineava Andrea Camilleri: "La cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini." Ed è proprio questo tipo di cultura che La Zisa ha cercato di promuovere.

Particolarmente significativo è stato l'impegno contro la mafia, con pubblicazioni che hanno contribuito a svelare la natura proteiforme del fenomeno mafioso, il suo radicamento sul territorio e i suoi intrecci con economia e politica. La Zisa ha così offerto una piattaforma preziosa a chi, in prima linea nell'impegno istituzionale e civile, necessitava di strumenti per comunicare direttamente con il pubblico.

Come ricordava Giovanni Falcone: "La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine." Ed è proprio questa convinzione che ha animato molte delle pubblicazioni de La Zisa.

Il secondo periodo (2000-2007) ha rappresentato una fase di transizione e ampliamento degli orizzonti. I temi tradizionali sono stati approfonditi con maggiore ampiezza, includendo analisi sui nuovi soggetti politici emergenti e sulle profonde trasformazioni del panorama sociale italiano. Lo sguardo si è allargato anche ad altre confessioni religiose oltre il cattolicesimo, come testimonia il saggio sulla storia e il martirio dei Valdesi. Anche l'interesse per la Sicilia si è diversificato, abbracciando nuovi ambiti di ricerca storica e sociale, come la storia dell'astronomia nell'isola con un'introduzione di Margherita Hack.

In questo periodo, la letteratura sulla criminalità organizzata si è arricchita di nuove prospettive, come l'analisi della 'ndrangheta, di cui La Zisa ha pubblicato la relazione integrale della Commissione parlamentare d'inchiesta, offrendo così un contributo fondamentale alla comprensione di un fenomeno in rapida evoluzione.


La svolta internazionale e il trasferimento a Firenze

La terza fase, iniziata nel 2007 con l'avvento di Davide Romano alla guida della casa editrice, ha visto un'ulteriore evoluzione. Pur mantenendo salde le linee editoriali tradizionali incentrate sulla critica sociale e politica – con opere come l'inchiesta di Sante Sguotti su pedofilia e celibato nella Chiesa o le biografie di Paolo Borsellino e Padre Puglisi – La Zisa ha ampliato la propria offerta includendo nuovi generi e collane dedicate alla poesia, alla narrativa e alla saggistica culturale.

L'orizzonte geografico e culturale si è espanso fino ad abbracciare quello che viene definito il "Mediterraneo esteso", con la pubblicazione di opere provenienti dalla Grecia – come quelle del premio Nobel Ghiorgos Seferis con "Sei notti sull'Acropoli" – e dal Vicino Oriente, oltre a testi che esplorano tradizioni culturali diverse come quella ebraica italiana con "Poesia nascosta" di Ines De Benedetti sulla cucina tradizionale ebraica.

Come affermava lo stesso Seferis: "Ovunque io vada, la Grecia mi ferisce", parole che risuonano come un eco del legame viscerale che La Zisa mantiene con la Sicilia pur ampliando i propri orizzonti.

Il recente trasferimento a Firenze non rappresenta un tradimento delle origini, ma piuttosto una strategia intelligente di sopravvivenza e crescita. Firenze offre strutture, connessioni e collaborazioni istituzionali e universitarie che consentono una diffusione più capillare del catalogo. È anche più vicina all'Europa, verso cui La Zisa ha sempre guardato, con le sue collane uniche in Italia di letteratura neogreca e i rapporti con enti culturali internazionali. Non ci saranno più gli odori della Kalsa o il frastuono dei mercati palermitani a fare da sottofondo alla sede della casa editrice, ma i libri restano, e continuano a parlare di Sicilia, di mafia e antimafia, di letteratura e di poesia mediterranea.

Come diceva François Mauriac, uno degli autori pubblicati dalla casa editrice: "Quello che conta non è ciò che si guarda, ma ciò che si vede." E La Zisa ha sempre cercato di vedere oltre le apparenze, di scavare in profondità nella complessità del reale.


Un patrimonio culturale in movimento

Ciò che distingue La Zisa nel panorama editoriale italiano è proprio questa capacità di mantenere un'identità forte e riconoscibile pur evolvendosi con i tempi. La casa editrice non si è mai limitata a essere un semplice produttore di libri, ma ha sempre concepito il proprio ruolo come quello di un'impresa intellettuale condivisa, di un soggetto politico collettivo animato da ideali di partecipazione, inclusione e riduzione delle distanze sociali e culturali.

Come scriveva Gesualdo Bufalino: "La Sicilia ha inventato la malinconia, i siciliani il rimpianto." Ma La Zisa ha dimostrato che oltre la malinconia e il rimpianto c'è la possibilità di un impegno concreto, di una resistenza culturale che non si piega alle logiche del mercato o del potere.

In un'epoca in cui l'editoria attraversa profondi cambiamenti e difficoltà, La Zisa rappresenta un modello virtuoso di resilienza culturale. La sua longevità non è frutto del caso, ma della coerenza con cui ha perseguito la propria missione, adattandosi ai cambiamenti senza mai tradire i propri valori fondanti.

Oggi, a 37 anni dalla fondazione, La Zisa costituisce un autentico patrimonio civile per l'Italia intera: una riserva di energie morali e intellettuali che continua a crescere e a sviluppare il proprio progetto editoriale con rinnovato entusiasmo. Il suo esempio ci ricorda che fare cultura significa anche prendere posizione, schierarsi dalla parte giusta - o, come direbbe La Zisa stessa, dalla "parte sbagliata" - per contribuire alla costruzione di una società più giusta e consapevole.

L'augurio, come sottolineato dalla stessa casa editrice, è che realtà come questa possano moltiplicarsi e prosperare, continuando a immaginare e a realizzare quell'universo di valori che La Zisa persegue da quasi quattro decenni con tenacia e passione. In un mondo sempre più polarizzato e frammentato, l'impegno civile e culturale di questa determinata casa editrice rappresenta un faro di speranza e un modello da seguire.

Come affermava Italo Calvino: "Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire." Allo stesso modo, La Zisa non ha ancora finito di dire la sua, e continuerà a farlo, da Firenze, con la stessa passione e lo stesso impegno che l'hanno caratterizzata sin dalla sua nascita nel cuore di Palermo.

sabato 5 aprile 2025

“Sicilia, l’isola che non ama leggere (neppure i quotidiani). I record negativi della terra del sole” di Davide Romano

 


 

Il deserto delle pagine che avanza nell'isola del sole e dei contrasti. 

 

Indice di lettura in Sicilia: una questione culturale o strutturale?

Gli ultimi dati sulle capacità di lettura di noi siciliani, provenienti dall'Associazione Italiana Editori, non sono soltanto impietosi: sono il ritratto di una catastrofe culturale che si consuma nel silenzio complice delle istituzioni. Come diceva Leonardo Sciascia, nostro illustre conterraneo: "La Sicilia ha questo di tremendo: che tutto vi accade come dovunque, ma con una intensità che altrove non si riscontra". Anche il non leggere, in Sicilia, avviene con un'intensità particolare.

Sapevamo già che il nostro popolo era fra quelli che leggevano di meno in Italia, ma ora il divario con il resto del paese – e in particolare con le province del Nord – e gli altri paesi europei si configura come un abisso incolmabile, una voragine che inghiotte speranze e possibilità di riscatto. Siamo un'isola anche in questo: isolati dalla cultura, dal sapere, dalla conoscenza che si trasmette attraverso la parola scritta.

Pier Paolo Pasolini, che amava la Sicilia ma ne conosceva anche i limiti, aveva intuito questo dramma: "La cultura è una difesa contro le offese della vita". E noi siciliani, a quanto pare, siamo sempre più indifesi.

 

I numeri del disastro: percentuali che raccontano una disfatta

La situazione delineata dalle varie percentuali presentate dall'AIE è davvero drammatica. Nel sud Italia solo il 62% della popolazione ha aperto almeno un libro nell'ultimo anno, mentre in Sicilia il dato è ancora più drammatico: esso si assesta al 60%. Una cifra che fa rabbrividire, se pensiamo che in alcune regioni del Nord si supera l'80%.

E attenzione: bisogna ricordare che "aprire un libro" non vuol dire riuscire a leggerlo tutto. Uno può aprirlo, sfogliarlo, magari guardare le figure, e poi richiuderlo, come si richiude una porta su un mondo che non ci appartiene. E poi bisogna anche valutare di quale testo si sta parlando. Con tutto il rispetto per i ricettari di cucina siciliana (ottima, per carità!), per le biografie dei vari influencer dalle teste vuote e per le raccolte di barzellette che fanno ridere solo chi le scrive, la cultura è altra cosa.

Come diceva Umberto Eco: "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito... perché la lettura è un'immortalità all'indietro". Ma a quanto pare, noi siciliani preferiamo la mortalità della nostra singola esistenza.

 

Lettori occasionali e abituali: un'isola divisa in due

Nel Sud e nelle Isole, inoltre, si registra una più alta percentuale di lettori occasionali, che si limitano a leggere un massimo di 3 libri all'anno. Essi risultano il 37% dei lettori, mentre la percentuale di lettori abituali che leggono anche più di 12 libri all'anno è in linea con il centro nord. Si tratta dell'8% del totale di tutti i lettori.

Abbiamo quindi un'élite di lettori forti, che resistono come Asterix e Obelix nel villaggio gallico circondato dai romani, e poi una massa di non-lettori o di lettori occasionali che sfogliano un libro come si sfoglia un album di figurine: distrattamente, senza passione, senza quella fame di conoscenza che dovrebbe essere il motore della crescita personale e sociale.

Italo Calvino, che di libri se ne intendeva, ammoniva: "Chi usa la letteratura per distrarsi vuole solo utilizzare una facoltà che in lui resta attiva, quella dell'attenzione". Ma l'attenzione del siciliano medio sembra essere catturata da ben altro: dallo smartphone, dalla televisione, dai pettegolezzi di paese che rimbalzano di bocca in bocca più velocemente di un virus.

 

La crisi della carta stampata: un altro tassello del mosaico

Ugualmente drammatica la situazione dei quotidiani e delle riviste. Come indicato dagli stessi direttori di giornale, le vendite continuano a diminuire e ci sono territori centrali della nostra regione che sembrano possedere poche decine di lettori, quasi tutti anziani che presentano delle difficoltà nell'usare il web.

Indro Montanelli, maestro di giornalismo, diceva: "Un paese che ignora il proprio ieri, non può avere un domani". E noi siciliani sembriamo ignorare non solo il nostro ieri, ma anche il nostro oggi, riportato sulle pagine dei giornali che nessuno legge più.

I quotidiani locali, che un tempo erano il termometro della vita sociale e politica dei nostri paesi, ora sopravvivono a stento, ridotti a contenitori di necrologi e pubblicità di mobilifici in svendita perpetua. Come se la morte e il consumo fossero le uniche notizie che interessano ancora.

 

Le biblioteche: cattedrali nel deserto

Anche il patrimonio librario delle nostre biblioteche risulta essere carente. Esso è molto vecchio e sottodimensionato rispetto alle collezioni delle biblioteche del settentrione. Si sta parlando di circa 1763 libri per mille abitanti contro i 3244 volumi disponibili nel centro nord.

Le nostre biblioteche sembrano essere diventate ciò che Borges, maestro della narrativa e bibliotecario lui stesso, temeva: "Ho sempre immaginato il Paradiso come una specie di biblioteca". Ma le nostre, di biblioteche, sono più simili a un Purgatorio dimenticato: scaffali polverosi, libri ingialliti dal tempo, cataloghi che si fermano agli anni '90 come se il millennio nuovo non fosse mai arrivato.

Ciò non vuol dire che la Sicilia e le altre regioni del sud Italia non presentano collezioni bibliografiche di pregio. La stessa presenza di numerosi archivi statali e regionali nel nostro territorio va contro questa semplicistica lettura, ma come si può immaginare queste collezioni dispongono di volumi alquanto superati e non aggiornati.

Marginale è anche il ridotto numero di accessi alle biblioteche. All'interno della nostra regione su ogni mille abitanti si registrano poco meno di cento accessi alle biblioteche, contro la media italiana, che è di circa 568 accessi. Molto distante la media del centro nord, che si attesta ai 774 accessi.

Antonio Gramsci, nel secolo scorso, scriveva: "Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza". Ma come può istruirsi un popolo che non ha accesso ai libri, o che, pur avendolo, preferisce dedicare il proprio tempo ad attività che richiedono meno sforzo intellettuale?

 

La chiusura delle librerie e delle edicole: un territorio culturalmente desertificato

Una delle cause principali di questa situazione è la difficoltà di accesso ai libri, con la chiusura di centinaia di edicole e di librerie in tutto il territorio regionale. I piccoli centri sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto. In molti comuni siciliani non esiste più un solo punto vendita di libri o giornali. Bisogna fare chilometri per trovare una libreria, e quando la si trova, spesso è una di quelle grandi catene che privilegiano i bestseller e le novità del momento, trascurando la cultura locale e i piccoli editori.

Gustave Flaubert sosteneva che "Leggere per innalzarsi è la cosa più nobile che si possa fare". Ma come si fa ad innalzarsi se non c'è nemmeno la possibilità materiale di procurarsi un libro? È come pretendere che un contadino coltivi la terra senza avere né seme né aratro.

Le librerie non sono solo punti vendita, sono presidi culturali, luoghi di incontro e di scambio, spazi dove le idee circolano insieme ai libri. La loro chiusura rappresenta un impoverimento non solo commerciale ma anche sociale e intellettuale.

 

L'abbandono scolastico: il seme della non-lettura

Un altro fattore determinante è l'abbandono scolastico, piaga che affligge la nostra isola con percentuali tra le più alte d'Italia. I ragazzi che lasciano la scuola difficilmente diventeranno lettori. La scuola è il luogo dove, tradizionalmente, si impara ad amare i libri, dove si acquisiscono gli strumenti per comprendere e apprezzare la lettura.

Maria Montessori, grande pedagogista, insegnava che "Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere". Ma se il bambino abbandona la scuola, quel fuoco non sarà mai acceso, e con esso si spegne anche la possibilità di una vita illuminata dalla conoscenza.

Le statistiche ci dicono che i giovani siciliani tra i 15 e i 17 anni sono i più propensi alla lettura (86%), seguiti da quelli tra i 18 e i 24 anni (79%). Questo dato potrebbe sembrare incoraggiante, ma in realtà è emblematico di un problema più profondo: man mano che si cresce, si smette di leggere. La scuola, finché si frequenta, mantiene vivo l'interesse per i libri. Ma una volta fuori, in una società che non valorizza la cultura, quell'interesse si affievolisce fino a scomparire.

 

La competizione con i nuovi media: una battaglia impari

Non possiamo ignorare l'impatto dei nuovi media sulle abitudini di lettura. Smartphone, social network, videogiochi e piattaforme di streaming offrono un intrattenimento immediato, che non richiede lo sforzo che invece è necessario per leggere un libro.

Marshall McLuhan, visionario teorico della comunicazione, aveva previsto: "Il medium è il messaggio". E il messaggio dei nuovi media sembra essere: perché sforzarsi di leggere quando si può guardare? Perché costruirsi un'opinione quando si può condividere quella altrui con un semplice click?

In Sicilia, terra di contraddizioni, questo fenomeno si amplifica. Siamo tra le regioni con la più alta penetrazione di smartphone e social network, ma con il più basso indice di lettura. Preferiamo scorrere le pagine virtuali di Facebook piuttosto che quelle reali di un libro.

 

Una speranza per il futuro: i giovani lettori

In questo scenario desolante bisogna tuttavia valorizzare alcuni importanti segnali di speranza. La maggioranza dei lettori siciliani risulta più giovane di 25 anni (i lettori dai 15 ai 17 anni sono l'86%, mentre quelli dai 18 ai 24 anni il 79%).

Questo dato, apparentemente positivo, deve però essere interpretato con cautela. I giovani leggono per obbligo scolastico o per genuino interesse? Continueranno a leggere anche dopo i 25 anni, quando saranno immersi nel mondo del lavoro (per chi avrà la fortuna di trovarlo) e nelle responsabilità familiari?

Eugenio Montale, poeta e giornalista, scriveva: "La cultura non è professione per pochi: è una condizione per tutti, che completa l'esistenza dell'uomo". Ma in Sicilia questa condizione sembra essere appannaggio di una minoranza sempre più esigua.

 

L'insoddisfazione come motore di cambiamento

Un altro dato interessante è che buona parte della popolazione siciliana si ritiene insoddisfatta dell'offerta culturale presente all'interno della propria regione e spinge per una valorizzazione del mercato librario interno.

C'è dunque una domanda di cultura che non trova risposta adeguata. C'è una sete di conoscenza che non ha fontane a cui abbeverarsi. C'è un desiderio di crescita intellettuale che si scontra con la povertà dell'offerta.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel suo capolavoro "Il Gattopardo", faceva dire al Principe di Salina: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi". Ma in Sicilia, paradossalmente, sembra che tutto cambi (tecnologie, abitudini, stili di vita) affinché tutto resti com'è: un'isola ai margini della cultura.

 

Conclusioni: un appello all'azione

La situazione della lettura in Sicilia non è solo un problema culturale, ma sociale ed economico. Una popolazione che non legge è una popolazione più facilmente manipolabile, meno critica, più incline all'accettazione passiva dello status quo.

Federico García Lorca, che della Sicilia fu innamorato, scriveva: "Un popolo che non aiuta e non favorisce la sua cultura è un popolo che non solo perde la sua identità ma commette un suicidio sociale". Noi siciliani siamo sul ciglio di questo baratro.

È necessario un piano di intervento serio e articolato: investimenti nelle biblioteche, incentivi per l'apertura di nuove librerie, campagne di promozione della lettura, valorizzazione degli autori locali, collaborazione tra scuole e istituzioni culturali.

Ma soprattutto è necessario un cambiamento di mentalità. Dobbiamo capire che leggere non è un lusso o un passatempo per intellettuali con la puzza sotto il naso. Leggere è un diritto, un bisogno, una necessità per chiunque voglia essere veramente libero.

Come diceva Gianni Rodari, scrittore e pedagogista: "Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo". E noi siciliani di schiavitù ne abbiamo conosciute fin troppe nella nostra storia millenaria. È tempo di liberarci anche da questa, la più subdola: l'ignoranza.