Sono aperte le iscrizioni al Corso base low cost di lingua ebraica “Shalòm” organizzato dall’associazione culturale per il dialogo interreligioso La Tenda di Abramo, l’associazione Amici d’Israele in collaborazione con le Edizioni La Zisa. Il corso sarà tenuto da un insegnante di madrelingua ebraica e partirà nel mese di gennaio del 2014. Strutturato in 10 incontri (uno a settimana), avrà un costo complessivo, e comprensivo di materiale didattico, di euro 120. Le lezioni si terranno presso i locali della casa editrice La Zisa in via Lungarini 60, a Palermo, ogni giovedì a partire dalle alle ore 18. A richiesta, verrà rilasciato un attestato di frequenza. Le iscrizioni dovranno essere effettuate presso la segreteria della casa editrice sita in via Lungarini 60, a Palermo (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,00 alle ore 13,00). Per info: Tel. +39 091 5509295 o scrivere a: info@lazisa.it
La casa editrice La Zisa nasce nel 1988 a Palermo e in breve tempo si afferma nel settore dell'editoria di qualità proponendo classici ormai dimenticati e nuovi autori di talento.
martedì 12 novembre 2013
Shalòm, Sono aperte le iscrizioni al Corso base low cost di ebraico
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giovedì 24 ottobre 2013
Arriva in libreria il più antico ricettario di cucina tradizionale ebraica italiana: “Poesia nascosta” di Ines De Benedetti.
Ines De Benedetti, “Poesia
nascosta. Le ricette della cucina tradizionale ebraica italiana”, Edizioni La
Zisa, Presentazione di Daniela Fubini, Prefazione alla terza edizione di
Nanette R. Hayon, Prefazione alla seconda edizione di Ines De Benedetti,
Prefazione alla prima edizione di Lucia Levi, Illustrazioni di Letizia Romano,
pp. 288, euro 18,00
Ines De Benedetti, con la sua “Poesia
nascosta”, non ha soltanto raccolto e pubblicato delle ricette. Ha messo a
disposizione di quattro generazioni di famiglie ebraiche italiane (fino ad
oggi) un compendio di kasherut (regole alimentari ebraiche) applicato, vissuto
nel quotidiano in modi che nella sua, di generazione, erano evidentemente a
rischio di andare perduti. E Lucia Levi nel presentare il libro al lettore di
allora ne ha segnalato subito il valore come strumento per riportare i sapori
ebraici alla tavola insieme ai rituali e all’osservanza dei precetti. Oggi, a
distanza che appare siderale dagli anni del primo dopoguerra, dopo la seconda
guerra, la Shoah e il ritorno alla vita, dopo l’arrivo in Italia degli ebrei da
tutto il mondo arabo, con tradizioni ebraiche e culinarie tutte nuove, ancora
oggi la Poesia nascosta trova spazio nelle nostre cucine. Con i suoi fogli macchiati
e unti dall’uso, le annotazioni a margine e le modifiche appuntate su foglietti
volanti, è un pezzetto di storia ebraica italiana, rivolto come la sua autrice
a un futuro più consapevole e orgoglioso della propria tradizione, anche
culinaria. (dalla Presentazione di Daniela Fubini)
Ines De Benedetti, nata il 12
novembre 1874, è scomparsa a Padova nel 1960. Per anni è stata presidente della
sezione padovana, da lei fondata nel 1929, dell’ADEI, l’Associazione Donne
Ebree d’Italia, diventata in seguito ADEI Wizo, che si occupa di volontariato
sociale e di diffondere la cultura e i valori dell’ebraismo e del sionismo,
nonché di promuovere la condizione della donna e sostenere le istituzioni Wizo
in Israele.
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lunedì 14 ottobre 2013
Palermo 18 ottobre, Si presenta l’agenda letteraria “Ellenogatti. Gatti e Grecia”
“Ellenogatti. Gatti e
Grecia” è il titolo dell’originale agenda per il 2014 che verrà presentata
venerdì 18 ottobre, alle ore 18, presso la Sala delle Carrozze di Villa Niscemi
a Palermo. Interverranno: Maria Caracausi, curatrice e traduttrice dei testi
letterari; Fabio Ciralli, autore delle foto contenute nell’agenda; e Davide
Romano, direttore editoriale della casa editrice La Zisa e giornalista.
È noto che il gatto è
caro, insostituibile compagno di artisti, scrittori e poeti. Non fanno
eccezione gli intellettuali della Grecia moderna, dei quali vengono presentati
in questa agenda alcuni brani (per lo più tradotti in italiano per la prima
volta), incentrati su questo animale misterioso e irresistibile. Completano il
quadro alcuni ritratti di “gatti qualunque”, che si impongono allo sguardo con
il fascino del loro quotidiano. (Maria Caracausi e Fabio Ciralli, Ellenogatti,
“Gatti e Grecia. Agenda 2014”, Edizioni La Zisa, pp. 144, euro 9,90. Per
ordinare l’agenda telefonare al numero 0915509295 o scrivere a: segreteria.lazisa@gmail.com).
mercoledì 9 ottobre 2013
Palermo 11 ottobre, Si presenta il romanzo di Pietro Colonna Romano “Gabbie invisibili”
Venerdì 11 ottobre 2013,
alle ore 18.00 presso la Bottega I Sapori e i Saperi della Legalità di Piazza
Castelnuovo 13, a Palermo, sarà presentato il libro Gabbie invisibili, romanzo di Pietro Colonna Romano, edito dalla
casa editrice La Zisa. Interverranno, con l’autore, Elio Sanfilippo e Ketta
Grazia.
La trama: In una piccola
cittadina del New Jersey, Riverton, dagli anni cinquanta ai nostri giorni, si
svolge la vita di Ann, una donna che quasi inconsapevolmente conduce una silenziosa
battaglia con se stessa per liberarsi da quelle strutture mentali e
psicologiche che la tengono ingabbiata con fili invisibili e, per questo, tanto
più crudeli, all’interno di un modello di vita che intimamente rifiuta, ma che
non è in grado di abbandonare. Da bambina, Annie è ubbidiente e “la vita le
sembrava un gioco divertente con istruzioni facili da osservare”; da
adolescente e, poi, da adulta, quelle istruzioni e quelle regole ricevute da
un’educazione tradizionalista e religiosa diventeranno la sua prigione, le
toglieranno la libertà di scegliere e di amare. Nata negli anni del baby boom,
l’esplosione demografica verificatasi nei 10-15 anni successivi alla fine della
seconda guerra mondiale, Ann vive nel mezzo della rivoluzione culturale degli
anni sessanta. La Beat Generation, i sit-in e le marce, i movimenti per i
diritti civili e per l’uguaglianza delle donne, con la loro forte spinta
innovativa, a poco a poco metteranno in crisi le sue certezze con interrogativi
angoscianti così come i personaggi e le vicende che attraverseranno la sua
vita: la tragica fine della sorella, il rapporto imprevedibile col fratellastro,
la singolare amicizia con Cathy, il rapporto irrisolto con la madre, la
difficile relazione col marito, le scelte operate dalle figlie. Sono tutti
personaggi che, non diversamente da Ann, sembrano avvitarsi su se stessi,
prigionieri di scelte illusorie.
L’autore:
Pietro Colonna Romano (soprannominato Erino) nasce a Palermo il 14 agosto 1948.
Si laurea in Medicina all’Università di Palermo nel 1976 e l’anno seguente si
trasferisce negli Stati Uniti. Per sedici anni insegna Anestesiologia alla
Hahnemann University di Philadelphia. Da dodici anni lavora come anestetista al
Pennsylvania Hospital di Philadelphia. È sposato e padre di due figli. Questo è
il suo primo romanzo, scritto in inglese e poi liberamente tradotto in
italiano.
lunedì 30 settembre 2013
Arriva nelle migliori librerie: Ellenogatti - Gatti e Grecia - Agenda 2014 (Ed. La Zisa, Euro 9,90)
È
noto che il gatto è caro, insostituibile compagno di artisti, scrittori e
poeti. Non fanno eccezione gli intellettuali della Grecia moderna, dei quali
vengono presentati in questa agenda alcuni brani (per lo più tradotti in
italiano per la prima volta), incentrati su questo animale misterioso e
irresistibile. Completano il quadro alcuni ritratti di “gatti qualunque”, che
si impongono allo sguardo con il fascino del loro quotidiano.
Auguri
per il 2014!
I
curatori dell’agenda:
Fabio
Ciralli è nato a Palermo nel 1961. Laureato in Fisica, ha svolto attività di
ricerca all’estero (CERN di Ginevra e DESY di Amburgo), prima di lavorare come
docente nella scuola secondaria superiore; insegna in un liceo di Palermo. I
suoi principali interessi sono la didattica della fisica e della matematica e
l’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica. Coltiva la passione per la
fotografia ed ha accettato con curiosità la sfida di fotografare i gatti per questa
agenda.
Maria
Caracausi è nata a Palermo nel 1959. Dopo la laurea in Lettere classiche e il
Dottorato di ricerca in Filologia greca e latina, ha insegnato alcuni anni Latino e Greco al Liceo Classico. Ricercatrice di Neogreco presso l’Università di
Palermo, si occupa soprattutto di poesia del Novecento. Ha al suo attivo
numerose pubblicazioni scientifiche e traduzioni dal greco moderno (Gatsos,
Kalvos, Karkavitsas, Papadiamandis, Seferis, etc). Gatti e Grecia le
passioni dominanti nella sua vita.
venerdì 27 settembre 2013
La cura dell’oltraggio, recensione del libro di Margherita Ingoglia
La cura dell’
“oltraggio”
… S’egli ha fatto
questo a sangue freddo,
che cosa non farebbe a sangue caldo?”
che cosa non farebbe a sangue caldo?”
Cervantes (Don Chisciotte)
Un inappagato eros lirico-poetico –
offerto come una macchina da guerra e vorticosa voragine – gira, rivolta e
brucia a nudo e “brama il fuoco tra le cosce” della follia amorosa ( Tua, p.
29), e “senz’aria” adagia in “plurimi, carnali diletti” (Inquieta vanitas, p.
44); un teatro di “lingue deliranti” in lotta tra le desublimazione dell’anima
e il fluttuare dirompente del corpo con le sue ragioni oniriche quanto sragione
in gioco … “per dilaniarne il senso” (Il pensare, p. 18), “mentre gli uragani
alitano sulla nostra carne” (La dannazione di un abbraccio, p. 70).
Un linguaggio iconicamente meticcio (né solo visivo, né
solo verbale, né solo logico, né solo ritmico…) che si scaraventa sulla pagina
con la grazia dissacrante e non curante di un “bicchiere di alchermes”
(Silenzio, p. 71); che, informe/dis-forme, fluttua per attaccare il nome del
vecchio cuore – il simbolo strumentalizzato dall’illusoria liberazione del
potere oppressivo (il potere cattura e non libera anche quando provoca le
libertà del sesso) – per trattarlo come un ramo impazzito, disarmonico e
“rancido” e salvaguardare la soggettivazione eteroclita autonoma che lo
ramifica (imprevedibilmente), lì dove oggi il dominio sui corpi invece passa
attraverso la fabbrica dei desideri e del godimento immediato.
Potente quanto raffinato il
monologo erotico-narcisistico (la “cura del sé” – M. Foucault –, elevata,
credo, a materia della poesia dei tuoi testi), nella sua stratificazione
memoriale, porta anche la presenza e la continuità con poeti e poetiche della
tradizione culturale che inevitabilmente ci attraversa, mentre lascia l’aureola
del poeta idealista e si fa dialogo della vecchia “madre” terra con la
fulmineità del “fu” dei guizzi che fanno esplodere i limiti: il “fu” del “fu
oltraggio!”.
La scrittura procede coniugando
con cura e padronanza costruttiva le “equivalenze” della funzione poetica con
la lingua della poesia. Inoltre, le immagini (del pittore o del fotografo), che
affiancano il dettato verbale del libro giocano, credo, la funzione di potenziamento
“espressivo” come usa fare la stessa anadiplosi (semplice o più articolata),
per esempio, ovvero quella parte della tecnologia retorica del “raddoppio” che
movimenta “L’attimo”: “ Mio per mio peccato / peccato per mio abbandono alla
tentazione/ …” (p. 26).
Come un teatro a scena aperta e
montaggio filmico degli atti in corso e in primo piano, l’insegna del conflitto
valorizza il contrasto tra i gioiosi peccati della carne (con-fusa/fusa) e il
retaggio repressivo della colpa incolpevole e dell’impotente vanità che cerca
di offuscare la forza e la potenza dell’anima corporea, carnale.
Certe “correspondences”,
variamente connotate – dall’invocazione alla “musa”: Nox et omnia-preghiera
della notte”, p. 15; dalla rivisitazione di Cecco Angiolieri: “… Minima ed
immensa…”, p. 56, … alle “tentazioni” – “covami / confondimi / superami /
eternami” (Inquieta vanitas, p. 44) della Patrizia Valduga –, sono sia il segno
di un legame con il passato (che non ci lascia), sia il segno di una
soggettività che lo visita e lo ridice con la coscienza del proprio tempo e una
sensibilità intellettuale che è propria a ciascuno.
Del resto il poeta è sempre
parlato anche da una lingua che non domina, se al mondo è venuto costruito da
un tessuto culturale e storico-contestuale che gli permette di dire e scrivere;
così come la continuità con chi ci ha preceduto è solo segno di una vitalità
che è sotto la cenere e che poi, come una “rovina” palpitante, riemerge non
appena soffia il pensiero delle passioni; quel pensiero riflettente che con la
sua temporalità tempestiva-intempestiva è sommosso dall’urgere del non
contemporaneo dimenticato ma non scomparso; la presenza che non molla e si fa
contemporaneo struggere coniugando artificiale e reale (“mi struggerò in
lacrime sopra una fantasia”, Puskin).
Credo che l’ascendenza romantica
dell’amore come follia e delirio del corpo, o il ricorso a Venere, Adone,
Narciso, nell’insieme della tua scrittura poetica, giochino come il ritorno del
rimosso e un rinforzo del sognare: “perché occorre sempre avere un sogno nella
vita!” (Cerca la vera bellezza, p 85).
Il valore d’uso di questa prova
poetica “… e il corpo fu oltraggio” di Margherita Ingoglia, donna del secolo
XXI, il tempo del virtuale e del simulacro, ri-propone (invece) la potenza
concreta del corpo e della carne come il grido della vita che aborre tanto
l’immateriale ideologizzato quanto il materiale manipolato dell’“uniforme”
dell’eterno presente di questo secolo del marketing del sesso “anarchico” come
della libertà desocializzata. Il rifiuto dell’omologazione uniformante, che
disprezza il dis-forme e cartavetra l’eterogeneo nel recinto delle forme
canonizzate, non poeticamente, essere più incisivo e parlante.
Se nei depositi dell’archeologia
dell’anima, c’è la lacerazione del senso nelle/delle notti di luna piena e la
genealogia del lupo predatore, il violentatore dell’“uniforme” e della rapina
all’ordine, allora salut all’ “oltrage”, l’esplosione dell’oltraggio che irride
il limite e la norma e canta la fusione oltre il principio di realtà e del
piacere per una pulsione che solo la logica poetica è in grado di
concettualizzare sensualmente.
venerdì 13 settembre 2013
Shalòm, Sono aperte le iscrizioni al Corso base low cost di ebraico moderno
Sono
aperte le iscrizioni al Corso base low cost di lingua ebraica
moderna “Shalòm” organizzato dall’associazione culturale per il dialogo
interreligioso La Tenda di Abramo in collaborazione con le Edizioni
La Zisa.
Il
corso sarà tenuto da un insegnante di madrelingua ebraica e partirà nel mese di ottobre del 2013.
Strutturato in 10 incontri (uno a settimana), avrà un costo complessivo,
e comprensivo di materiale didattico, di euro 120. Le lezioni si terranno
presso i locali della casa editrice La Zisa in via Lungarini 60, a Palermo. A
richiesta, verrà rilasciato un attestato di frequenza.
Le
iscrizioni dovranno essere effettuate presso la segreteria della casa editrice
sita in via Lungarini 60, a Palermo (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,00 alle
ore 13,00).
Per
info: Tel. +39 091
5509295 o scrivere a: info@lazisa.it
venerdì 6 settembre 2013
“GABBIE INVISIBILI” una recensione di LILIANA MICCICHE’
“Gabbie
invisibili” potrebbe essere una storia come altre, ma non è così. Sono tante
piccole storie, quanti i diversi personaggi, all’interno di una grande storia,
quella della famiglia Mac Mahon. Su tutti i personaggi, ciascuno protagonista
della propria storia, campeggia la figura di Annie, che assume il ruolo di
protagonista assoluta dell’intero racconto. Per chi, da bambina, ha vissuto gli
anni Cinquanta, Annie, compenetrata nel ruolo di chi deve comunicarsi per la
prima volta, ed è felice di farlo, sembra incarnare tutte le brave bambine di
quegli anni, con le loro ansia e i loro timori. Già dalle prime pagine sono
chiari alcuni temi e topoi fondamentali: le regole discriminate e
discriminanti, per maschi e femmine; l’assolutismo della Chiesa e dell’uomo di
fede che non ammette punti di vista diversi; la paura della confessione che
induce a mettersi a nudo, ma nel contempo la consapevolezza di avere agito
secondo l’imprinting ricevuto; e, ancora, andando avanti, la competizione del
figlio con il padre; la brava ragazza che ritarda il suo ingresso
all’università per aiutare la famiglia; le scelte dei figli diverse da quelle
che vorrebbero i genitori; la vera amicizia tra due persone del tutto
differenti. E’ questo il tessuto ideologico dell’intero racconto, che suscita
l’attenzione e la mantiene viva per tutto l’arco dello sviluppo narrativo, la
cui cronologia giunge ai nostri giorni. L’ambiente è il New Jersey, ma potrebbe
essere anche l’ Italia…, non è una componente fondamentale. Ciò che importa è
l’evoluzione di una società lanciata nel progresso, un mondo che cambia,
lasciando dietro di sé i frammenti di una famiglia che si spezza, un mondo che
porta nuove verità, ricche di esaltanti promesse: il boom economico, la nuova
morale sessuale, la vita militare che schiude nuovi orizzonti e lascia
trasparire il sangue che scorre nel Vietnam. In questo nuovo scenario, in cui
Annie cresce e diventa adulta, accadono vari colpi di scena che lasciano
presagire chissà quali sviluppi: Annie, che fino ad ora ha impersonato il Bene,
si innamora di Jeremy, il fratello acquisito dal quale è attratta sessualmente,
e con lui consuma l’unico rapporto fisico. Jeremy, simbolo del peccato
refrattario ai buoni consigli, dopo essersi macchiato di crimini orrendi, pare
acquisisca una sensibilità e una maturità che non gli appartengono: piange vere
lacrime, parte per il Vietnam per combattere una guerra che ritiene giusta e
che pensa possa essere per lui motivo di palingenesi. In realtà nulla cambia: cambiano
i tempi, i luoghi, le circostanze, ma gli uomini restano tali e quali. La
brutalità della guerra negherà a Jeremy l’unica dignità che gli resta, la
dignità di soldato, e noi lo ricorderemo come une eroe negativo, un antieroe.
Annie, dopo un’altalena di momenti di felicità e di tormento, durante i quali
cerca risposte nella religione che l’ha sempre sostenuta, matura la decisione
di sposare Kevin, il marito-padrone. Con il matrimonio, tutto si
ricompone-_l’unica smagliatura è stata la storia col fratello- e il cerchio si
chiude: Annie, nonostante le sollecitazioni di Rob di cui forse è innamorata, e
benchè desideri col marito quel rapporto paritario imposto dal neofemminismo,
da cattolica non riesce a sciogliere le briglie delle istituzioni, la Chiesa e
la famiglia, e, come spinta da una accettazione fatalistica della propria vita,
si sottomette interamente al marito, così come ha fatto nei confronti della
madre. La mancata determinazione la consegna ad una infelicità permanente.
Annie resterà per sempre col marito che non ama più e dal quale non è amata,
dove non c’è posto per la ribellione ma solo per l’implosione. Annie è
prigioniera di se stessa, della sua stessa vita, di cui, per certo, non è mai
stata la vera protagonista.
Le
esperienze dell’Autore ragazzo, dell’Autore medico, dell’Autore trapiantato in
America vengono assemblate nella mente di Colonna Romano e trovano la loro
dimensione attraverso il filtro evocativo della fantasia, per comporre un
universo dell’invenzione, che affonda le sue radici nel sentimento del passato
e del presente. Nella narrazione, la fabula si alterna all’ intreccio e
l’aspetto tematico, l’impossibilità di ciascuno
dei personaggi di uscire dai propri schemi mentali e pragmatici e la
consapevolezza di essere condannato a restare in quella “forma” che ognuno di
loro si è data, diventa denominatore comune di personaggi differenti che si
mantecano con la loro diversità emotiva. Le loro caratteristiche e le loro
storie irrisolte. La limpidezza dello stile dà concretezza alle vicende e alla
realtà dell’animo umano. Le tecniche di cui l’Autore si serve, il discorso
diretto, l’analessi, una pseudo metalessi rendono la narrazione più vivace.
Erino
Colonna Romano, “Gabbie invisibili. Una rivoluzione vista da lontano”, romanzo,
Edizioni La Zisa, pp. 256, euro 16,00
In
una piccola cittadina del New Jersey, Riverton, dagli anni cinquanta ai nostri
giorni, si svolge la vita di Ann, una donna che quasi inconsapevolmente conduce
una silenziosa battaglia con se stessa per liberarsi da quelle strutture
mentali e psicologiche che la tengono ingabbiata con fili invisibili e, per
questo, tanto più crudeli, all’interno di un modello di vita che intimamente
rifiuta, ma che non è in grado di abbandonare. Da bambina, Annie è ubbidiente e
“la vita le sembrava un gioco divertente con istruzioni facili da osservare”;
da adolescente e, poi, da adulta, quelle istruzioni e quelle regole ricevute da
un’educazione tradizionalista e religiosa diventeranno la sua prigione, le
toglieranno la libertà di scegliere e di amare. Nata negli anni del baby boom,
l’esplosione demografica verificatasi nei 10- 15 anni successivi alla fine
della seconda guerra mondiale, Ann vive nel mezzo della rivoluzione culturale
degli anni sessanta. La Beat Generation, i sit-in e le marce, i movimenti per i
diritti civili e per l’uguaglianza delle donne, con la loro forte spinta
innovativa, a poco a poco metteranno in crisi le sue certezze con interrogativi
angoscianti così come i personaggi e le vicende che attraverseranno la sua
vita: la tragica fine della sorella, il rapporto imprevedibile col
fratellastro, la singolare amicizia con Cathy, il rapporto irrisolto con la
madre, la difficile relazione col marito, le scelte operate dalle figlie. Sono
tutti personaggi che, non diversamente da Ann, sembrano avvitarsi su se stessi,
prigionieri di scelte illusorie.
Pietro
Colonna Romano (soprannominato Erino) nasce a Palermo il 14 agosto 1948. Si
laurea in Medicina all’Università di Palermo nel 1976 e l’anno seguente si
trasferisce negli Stati Uniti. Per sedici anni insegna Anestesiologia alla
Hahnemann University di Philadelphia. Da dodici anni lavora come anestetista al
Pennsylvania Hospital di Philadelphia. È sposato e padre di due figli. Questo è
il suo primo romanzo, scritto in inglese e poi liberamente tradotto in
italiano.
venerdì 30 agosto 2013
XXIX Premio internazionale di Poesia Città di Marineo, premiato Mario Tamburello (La Zisa)
Palermo, 30 agosto 2013
- La Giuria del Premio, organizzato dalla Fondazione culturale “Gioacchino
Arnone” di Marineo, nella seduta dell’11 luglio scorso ha attribuito il primo
premio per la poesia al grande poeta Vincenzo Cerami, appena una settimana
prima della sua scomparsa, e ha designato gli altri vincitori del Premio.
Nell’ambito della poesia edita in lingua siciliana il secondo premio è stato
attribuito a Mario Tamburello con la
raccolta ON-OFF. L’autore si appresta a pubblicare il secondo titolo con la
nostra casa editrice.
È una raccolta pregna
di vita quella di Tamburello, una fitta maglia di versi in cui s'annidano
meditazioni sull'amore, i sogni, il quotidiano, i rapporti intimi con gli
altri, la poesia e, in ultima istanza, il compito stesso del poeta. Con la
matura consapevolezza di chi ha patito il dolore, l'autore esprime un bisogno
profondo di relazioni autentiche, un desiderio di pietas nei confronti del
prossimo scevro da qualsiasi retorica d'occasione. È per questo che gli
oggetti, i ricordi e le voci conferiscono spessore a quest'esigenza di umanità,
amalgamandosi e veicolando un messaggio semplice ed essenziale. L'itinerario
espressivo si modella sul dialetto siciliano, che dà voce ai sentimenti allo
stato puro e, attingendo al passato, si fa strumento di racconto del presente.
Mario G. B. Tamburello
nasce nel 1962 a Milano da genitori siciliani. Insegnante di matematica e
biologia, impiegato dell’ospedale Sacco di Milano quale referente della qualità
per la Direzione Medica di Presidio. Dal 2010 all’Azienda Ospedaliera di
Legnano nel ruolo amministrativo prima presso il Comitato Etico ora presso
l’Unità di Cure Palliative e Terapia del Dolore. Già vicepresidente di
un’associazione onlus dedicata alla disabilità da malattie neurologiche e
difensore civico comunale, è stato assessore ai Servizi Sociali a
Cuggiono, comune in provincia di Milano, dove risiede con la moglie M. Carmela
e i figli Jacopo e Antonio.
mercoledì 28 agosto 2013
"Il giornalista Davide Romano minacciato da Davide Picardo, portavoce del CAIM" di Alessandra Boga
Il giornalista Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano, ha denunciato che il Coordinamento delle Associazioni Islamiche milanesi (CAIM) ha deciso di invitare per le celebrazioni di fine Ramadan l’imam giordano Riyadh al Bustanji, il quale esalta l’invio di bambini come terroristi suicidi. Per tutta risposta, Romano rischia di essere denunciato per “diffamazione e istigazione all'odio razziale e religioso” (sic!) da Davide Piccardo, portavoce del CAIM e figlio di Hamza Roberto Picardo, segretario generale dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UC.O.I.I.), legata ai Fratelli Musulmani. Piccardo jr. l'ha minacciato a mezzo stampa.
Ad aggravare il tutto c’è il fatto che il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, non ha neppure preso posizione riguardo ad un episodio così surreale ai danni di un cittadino che ha solo difeso il diritto alla vita dei bambini. Peggio: il Comune di Milano ha partecipato all’iniziativa (Romano si augura che si sia trattato solo “di una svista”).
Perciò su Facebook è nata la fanpage di solidarietà “Non lasciamo Davide Romano da solo a difendere i bambini”: per chiedere con una petizione “chiarezza sulle dichiarazioni a favore del martirio dei bambini-kamikaze”, per domandare che Pisapia faccia sentire la sua voce in difesa del giornalista, e per far capire che Milano non è in balia dei diktat islamici.
Racconta Romano: "Avendo saputo che l'imam Al-Bustanji avrebbe partecipato all'evento di fine Ramadan" (condotto la preghiera di più di oltre10mila musulmani, all’Arena Civica, ndr) mi sono informato su chi fosse . Ho trovato un'intervista in cui racconta, tra le altre cose, di avere incontrato un bambino di meno di 10 anni che voleva farsi martire a Gerusalemme”. Mi aspettavo”, aggiunge, “un racconto dell'imam in cui spiegava come ha fatto a far recedere il bambino da un proposito così folle. Qualunque adulto ragionevole l'avrebbe fermato. Invece no: di fronte a un bambino con propositi suicidi, l'imam inizia a esaltarlo”.
La comunità ebraica milanese ha preso una netta posizione contro l’iniziativa del CAIM, arrivando a sospendere i rapporti con l’organizzazione islamica. Parole di condanna per l’invito all’imam integralista sono arrivate anche da molti consiglieri comunali del capoluogo lombardo e non solo.
Dal canto suo, Romano ha chiesto a Piccardo di puntare il dito contro il terrorismo, in particolare quello che impiega bambini; ma lui nega che l’imam abbia inneggiato all’odio (parola vaga e ambigua) e al martirio (dal che si evince che, a suo avviso, il terrorismo suicida islamico è martirio?). Il giovane Piccardo si limita a continuare a tirare in ballo la “questione palestinese” che il portavoce della sinagoga milanese non ha neanche citato. “La mia presa di posizione”, spiega Davide Romano, “era solo e unicamente legata al comportamento di un leader religioso di fronte a un bimbo con propositi di quel genere. I diritti dell'infanzia vengono prima di tutto”. Perciò il portavoce del Beth Shlomo ha chiesto le dimissioni del portavoce del CAIM, se egli non dovesse “rivedere” le proprie posizioni.
“Mai ho messo piede in un aula di tribunale e mai avrei pensato di doverlo fare per un accusa così assurda”, afferma. “Mi resta la consapevolezza di essere nel giusto, cosa che mi farà affrontare il processo a testa alta”.
Rimane comunque una punta di amarezza, dovuta proprio al fatto che Pisapia non abbia preso posizione e che il Comune abbia avuto parte nelle celebrazioni a cui è stato inviato Al Bustanji.
“Dal sindaco di Milano, un avvocato e un politico noto per il suo garantismo e la difesa dei diritti dei più deboli, mi sarei aspettato qualcosa di più”, dice Romano. “Quando mi capita di andare a parlare nelle scuole parlo spesso di come la qualità delle istituzioni dipenda anche dall'impegno dei cittadini a partecipare alla vita pubblica. Di come sia importante non delegare tutto alla politica. E' quello che ho fatto. Mai mi sarei aspettato di essere lasciato solo. Mai avrei pensato che il mio sindaco non prendesse posizione tra chi difende i diritti dell'infanzia e chi li viola. Mai avrei pensato che proprio lui si voltasse dall'altra parte di fronte a una denuncia così infamante. Ora però, inizio a farlo”.
martedì 6 agosto 2013
Il senatore Lucio Malan (Pdl-Forza Italia) dal suo blog se la prende con la casa editrice, per una sua pubblicazione, e con un pastore valdese
UN PASTORE PARLA DI “BRANI BIBLICI AFFETTI DA OMOFOBIA”. E CITA ROMANI 1.
Allora è vero che con la legge anti omofobia la Bibbia è fuorilegge!
Nell’ultimo
numero di Riforma (che
a un mese dai fatti non ha ancora dato notizia del predicatore evangelico
arrestato a Londra per una legge “anti-omofobia” molto simile a quella in
discussione in Italia) c’è un’ampia recensione del libro di Nicolò D’Ippolito, In cammino tra fede e omosessualità, prefazione di
“don” Franco Barbero, Edizioni La Zisa. L’autore dell’articolo è il pastore
valdese di Palermo Giuseppe Ficara, già membro
della Tavola per sette anni e recentemente eletto pastore in una delle due più
grandi comunità valdesi, Luserna San Giovanni, dove si insedierà tra breve.
Insomma, una delle figure di spicco della Chiesa Valdese, che, peraltro, fino
ad ora non si era distinto per posizioni estreme.
La recensione (che siti meno rispettosi di noi del diritto
d’autore di Riforma già riportano integralmente) potrebbe
essere definita “adesiva”, sembra cioè sposare totalmente le tesi del libro. Ma
c’è un punto dove il pastore Ficara ci mette del suo, quando dice “Ho apprezzato la notevole precisione teologica
nell’esporre i brani biblici affetti di omofobia: quello di Sodoma nella Genesi,
quello di Romani 1;
ma anche la problematica degli eunuchi.”
Abbiamo più volte
detto che il problema di una legge anti “omofobia”, è che cosa si intenda con
questo termine. Tutti sono d’accordo sul fatto che vada punito chi inciti a
picchiare i gay. Ma questo comportamento è punibile, già oggi, dall’articolo
414 del codice penale: “Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più
reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione: con la reclusione da uno a
cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti”. Tuttavia c’è chi
vorrebbe fare dell’ostilità verso un certo orientamento sessuale una aggravante
particolare nel caso di commissione di reati. Una posizione discutibile, dato
che – ad esempio – non c’è nessuna aggravante specifica per chi picchia un
disabile, ma almeno non sarebbe una misura pericolosa. Il pericolo, abbiamo
detto più volte, è che con il testo di legge attualmente in discussione, chi
sostiene la maggiore valenza sociale o morale della famiglia tradizionale
rispetto a coppie dello stesso sesso, ovvero affermi che l’omosessualità è un
peccato davanti a Dio venga ritenuto “omofobo” e dunque punito con il carcere.
Nello stesso numero di Riforma che, a pagina 10 afferma non esserci
questo pericolo, e che tutti i cristiani dovrebbero volere la legge anti
omofobia, a pagina 7 il pastore Ficara afferma con certezza che Genesi 19 e
Romani 1 sono “affetti di omofobia”. È evidente, allora, che leggere in
pubblico questi brani mostrando di condividerli sarebbe reato di “omofobia”,
previsto dall’attuale testo della legge. E, sempre in base a quel testo, la
sola appartenenza a organizzazioni che sostengano tali idee, andrebbe punita
con il carcere, da sei mesi a tre anni. La pena è raddoppiata per chi dirige
tali organizzazioni.
E questo sulla
base dell’autorevole parere di Giuseppe Ficara che, come pastore è sicuramente
esperto di Bibbia e come studioso di problematiche legate all’omosessualità, è
qualificabile come esperto in omofobia.
Ma una legge dello Stato sbagliata ci importa meno di un
pastore che parla di brani della Bibbia“affetti” da qualcosa, che sia omofobia o altro.
Quella Bibbia che, secondo la confessione di fede che ha solennemente
sottoscritto un giorno, “divina e canonica, ciò è (per) regola della nostra
fede e vita”, aggiungendo “che riconosciamo la divinità di questi libri sacri
non solo dalla testimonianza della Chiesa, ma principalmente dalla eterna et
indubitabile verità della dottrina contenuta in essi, dall’eccellenza,
sublimità e maestà del tutto divina che vi si dimostra, e dall’operatione dello
Spirito Santo che ci fa ricevere con riverenza la testimonianza la quale ce ne
rende la Chiesa, e che ci apre gli occhi per iscoprir i raggi della celeste
luce che risplendono nella Scrittura, e corregge il nostro gusto per discernere
questo cibo col suo divino sapore”.
I casi sono due:
o Giuseppe Ficara, che pure è pastore alacre e predicatore appassionato,
sbaglia oggi a parlare di brani biblici affetti da omofobia (che una legge
sostenuta da tanti pastori vuol punire con il carcere) o ha sbagliato quando ha
sottoscritto la confessione di fede nell’essere consacrato pastore. Noi
speriamo davvero che si sia sbagliato nello scrivere quella recensione.
Attendiamo si sentirlo da lui.
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martedì 30 luglio 2013
«Non importa se la strada è una “trazzera”. Fede e omosessualità, un cammino reso meno arduo dalla preghiera» di Giuseppe Ficara (Riforma, numero 30, 2 agosto 2013, pagina 7)
Il titolo del libro*
non deve indurre a una interpretazione errata del suo contenuto. In cammino tra
fede e omosessualità non significa che c’è un cammino che permette il passaggio
dalla fede all’omosessualità come se l’omosessualità si contrapponesse alla
fede e ne dichiarasse la sua assenza. Si tratta piuttosto di un cammino
biografico che l’autore riporta, il suo, il quale, partendo dalla fede giunge
alla fede, a una fede cioè più matura e consapevole, non ipocrita, ma che cerca
ogni giorno di essere sempre più autentica. Ma Nicolò non arriva finalmente a
destinazione e scrive così la sua storia; Nicolò scrive per dire che la fede è
sempre un percorso e mai un capolinea, la fede è un work in progress, un cammino,
appunto: non per nulla in copertina vi è una trazzera. Non c’è disegnata un’autostrada
perché devi vivere ogni momento dei tuoi passi, non puoi sorvolare velocemente
con un’automobile perdendo tutto il senso della vita. Così l’autore può
affermare: «la vita è un divenire, un continuo crescere. Guai a pensare di
essere arrivati» (p. 108).
Nicolò d’Ippolito
esordisce spiegando che, dopo la scoperta della sua omosessualità, la considerò
come una punizione di Dio, e che comunque non poteva accettare né come punizione
né come evento della vita perché desiderava una «famiglia», avere dei figli,
una vita «normale». Ma la sua visione di famiglia e di figli era ancora quella
tradizionale per la quale la sua condizione diventava un impedimento affinché
si realizzasse. In effetti, l’autore spiega bene quale fosse il vero problema:
«Forse non mi accettavo ancora» (p. 22). In tutto il racconto storico, che non
è cronologico se non per quanto riguarda una consapevolezza di sé sempre più
matura, vi è un filo rosso che non si interrompe mai ed è la preghiera al
Padre. Non ci sono occasioni in cui il Padre non sia interpellato, o non ci si
affidi a lui. Nicolò ha pregato anche per chi lo ha ferito intimamente, come
don Pancrazio che nell’omelia inveisce contro la classe docente, a suo dire, amorale
e sviante perché di sinistra. Curiosa l’omelia contro il demonio che le donne
avrebbero fra le cosce (p. 55). Ovviamente l’interpretazione della realtà e
della preghiera è tutta di Nicolò, quindi autentica: come egli ha vissuto i
problemi e come ha vissuto la preghiera di richiesta e la risposta che spesso
non perveniva, mentre altre volte era più che chiara. «Non capivo perché ogni
volta che mi sentivo soddisfatto precipitavo nella disperazione. E il Padre mi lasciava
senza risposte» (p. 27). Eppure a p. 68, in una condizione di grande agitazione
e quasi disperazione, una bella risposta Nicolò se la dà: «E se fossi stato lo
strumento per far capire che dove c’è amore c’è Dio? Gesù lo aveva fatto “ed
era finito sulla croce”, mi ripetevo. “Ma col suo amore ci aveva salvati
tutti”».
Perciò le scelte, ma
soprattutto gli stati d’animo devono diventare palpabili per essere una risposta
del Padre o una richiesta al Padre. Delle gocce luminose indicano una risposta
positiva, un intervento del Padre con la gioia che ne consegue, e delle
presenze attorno a sé indicano la lotta che Nicolò intraprende dopo
un’astinenza casta di due anni, ricominciando a vivere includendovi la propria
sessualità piuttosto che reprimerla; Nicolò lotta per perseguire la propria
affermazione, la propria identità di essere umano con le proprie peculiarità.
Rinuncia alla rinuncia, dice basta alla repressione della sua sessualità perché
nessuno ha il diritto di chiederglielo, neppure il «Padre».
L’insistenza ossessiva
di Nicolò nel convincere il lettore circa il fatto che gli omosessuali nascono
tali perché si tratta di un fatto genetico, indipendentemente dalla scientificità
di questa affermazione, vuole semplicemente affermare con forza che gli omosessuali
sono creati da Dio, sono una buona creazione di Dio, sono figli di Dio e quindi,
come tutti, un dono di Dio. Perciò Nicolò afferma: «Oggi è assodato che omosessuali
si nasce e non si diventa, se mai ci si scopre, ci si accetta anche in età adulta,
vivere contro natura sarebbe un peccato contro il corretto sviluppo psicofisico
affettivo di ogni essere umano, e contro Dio, Padre e Madre» (p. 87). Ho
apprezzato la notevole precisione teologica nell’esporre i brani biblici
affetti di omofobia: quello di Sodoma nella Genesi, quello di Romani 1; ma
anche la problematica degli eunuchi. Là dove è riportata la lezione del pastore
Giampiccoli relativa ai quattro termini per definire l’essere umano c’è un
piccolo errore di trascrizione a pag. 74: infatti non è Adòn/Adonà per definire
l’uomo tratto dalla terra, ma Adam/Adamah. Ma bisogna sapere l’ebraico per
notare l’errore. Nicola scrive per parlare della sua gaytudine, come egli la
definisce. Ma perché ce n’è bisogno? Perché non è riconosciuta la dignità delle
persone omosessuali. «Ho lottato per vivere con dignità e non finirò mai di
asserire il mio orientamento sessuale sino a quando lo Stato italiano mi farà
vivere come cittadino di serie B. Quando anche in Italia avremo una legge
contro l’omofobia e per i matrimoni omosessuali finirò di parlare della mia
gaytudine perché allora sarò un cittadino, un fratello come gli altri» (p. 96).
In conclusione voglio citare delle parti molto belle sulle chiese, là dove,
parlando della sua frequentazione della Comunità di San Saverio, Nicolò dice:
«Non ci sono cristiani migliori per l’appartenenza a una chiesa. Ci sono esseri
umani che, come tali, possono essere intelligenti o meno, superficiali o
responsabili, colti o ignoranti. L’importante è vivere da cristiano.
Non ci sono etichette.
Continuo a considerarmi valdese per quanto la chiesa porta avanti per
innovazioni e interpretazione della Bibbia. Da noi la comprensione è in
itinere, non c’è una verità assoluta, ma in evoluzione». Credo che all’autore
questa autobiografia gli sia servita per fare il punto della situazione: dove
sono arrivato? Quale futuro? Ci sono alti e bassi, cadute e riprese: bene – dice
Nicola – così posso capire meglio, riflettere, crescere e andare avanti. «Il
Padre non ci dà nulla che le nostre spalle non possono sopportare… Adesso so
che c’è lui a sorreggermi, anche quando non lo sento» (p. 106). Ma ecco che torna
la speranza che, fin dalle prime pagine, aveva fatto capolino, prima come
rivendicazione, ora, appunto come speranza che dà un senso compiuto alla vita, all’esistenza
nella certezza che il Padre esaudisca nella preghiera: «E continuo a credere, a
sperare che un giorno anch’io possa avere un compagno, una famiglia e vivere benedetti
dalla comunità nel nome del Padre» (p. 106).
*Nicolò D’Ippolito, “In
cammino tra fede e omosessualità”, prefazione di don Franco Barbero, Edizioni La Zisa, pp. 112, euro 9,90
mercoledì 24 luglio 2013
Linda Rando condannata per diffamazione. Ecco i fatti, tra disinformazione, censura e buona educazione
Postato da Massimiliano Maccaus
E’ assurto al mainstream
nazionale, tramite il sito web de Il Fatto Quotidiano, il caso di Linda Rando,
la blogger condannata dal tribunale di Varese per la presenza sul proprio sito
– così dicono – di commenti da qualcuno giudicati diffamatori della propria
reputazione.
Linda è l’amministratrice del
blog writer’s dream, e parla a migliaia di persone dei problemi del mondo
dell’editoria e della scrittura. Di recente s’è schierata contro i cosiddetti
editori a pagamento; quelli che, per intenderci, pubblicano le opere dietro
corrispettivo, archiviando l’ideale romantico dell’imprenditore che crede in un
autore, lo finanzia, e ne condivide a proprio rischio i successi e gli
insuccessi. Non si tratta tanto di crisi di talenti, anzi: gli aspiranti autori
sono sempre di più, ma per gli editori diventa sempre più difficile scegliere
se e come investire, e alcuni (tanti?) si sarebbero riciclati in questo
compromesso.
Linda, dicevamo, s’è schierata,
affrontando l’argomento sul proprio blog. Ha avuto quindi l’idea – scrive
Alessandro Madron sul pezzo de Il Fatto Quotidiano che se n’è occupato sul web,
presto ripreso e rilanciato da decine di altri siti web e quotidiani
tradizionali –“di creare delle liste nelle quali elencare tutti gli editori che
in qualche forma si facevano pagare dagli autori per pubblicare i loro libri”.
La discussione – prosegue Il
Fatto – “ ha dato vita ad una lunga sequenza di commenti, alcuni dei quali
oggettivamente lesivi dell’onorabilità e della dignità delle case editrici
citate”. Una di queste, quindi, ha portato Linda innanzi al Tribunale di
Varese. “Sono andati a colpo secco su di me” – si legge nell’articolo –
“ritenendomi responsabile del contenuto dei commenti scritti dai lettori”.
Facciamo chiarezza. Della vicenda
ci eravamo occupati in Caffè News qualche giorno fa: stupiti dalla notizia,
siamo stati tra i primi a contattare Linda, a offrirle la nostra solidarietà e
a chiederle, ottenendola, copia della sentenza. Dopo averla letta, abbiamo
deciso di non pubblicare alcun articolo in proposito. I presupposti e i fatti
non danno invero, a legger la sentenza, alcuna ragione a Linda, né abbiamo
intravisto tra le motivazioni alcuna ingiustizia, malversazione o persecuzione
giudiziaria. Linda ha pubblicato sul proprio blog, dal 2008 al 2010, contenuti
gravemente diffamatori per terzi (“cloache editoriali”, “strozzini”, “cosche
mafiose”, “repressa del cazzo”: “affermazioni travalicanti il diritto di
critica” – si legge in sentenza – obiettivamente tali da ledere l’onore della
casa editrice), ed è stata condannata: multa e risarcimento, più le spese. Se
ricorrerà in appello, come annuncia di fare, la vicenda proseguirà in secondo
grado. Nessuna notizia, quindi, a nostro giudizio, a meno di non considerare
notiziabile la circostanza che chi sbaglia paghi. Per noi, quindi, nessun
articolo, e non ne avremmo parlato più.
Nei giorni successivi però, con
nostro grande stupore, abbiamo visto la notizia cavalcata dai media nazionali,
con un taglio teso ad avvalorare in chi legge l’idea che la blogger abbia
subito un torto giudiziario. Prospettiva che purtroppo travisa del tutto il
contenuto stesso della sentenza.
Si legge infatti su Il Fatto, per
esempio, che “il blog è stato trattato come un qualunque giornale cartaceo, per
cui Linda, in qualità di responsabile della pubblicazione, secondo il giudice –
che cita espressamente la legge sulla stampa del 1948 – avrebbe dovuto
intervenire censurando i commenti diffamatori”.
Da una lettura persino
superficiale della sentenza, però, ci si rende facilmente conto che non occorre
essere giuristi per capire che questo non è vero. Sarebbe bastato semplicemente
leggerla con maggiore attenzione: “nel caso di specie” – recita infatti – “il
sito writersdream.org non ha caratteristiche di informazione ascrivibili alla stampa,
ma costituisce la base per la costruzione di un gruppo settoriale di interesse,
composto da scrittori esordienti, o aspiranti tali, mediante la discussione di
temi comuni”. Il giudice quindi non ha affatto assimilato il blog a una testata
giornalistica, e conseguentemente non ha applicato per esso la normativa cui
queste soggiacciono, ma ha considerato invece il sito web niente più che “un
mezzo di pubblicità” delle offese recate (“documentate ampiamente“), in parole
povere una specie di megafono privo di dignità giornalistica, pur ammettendo
che compete al giudice, volta per volta, decidere se un sito web possa
qualificarsi, o meno, come “stampa”.
Venendo alla vexata quaestio
della condanna avvenuta a causa dei commenti pubblicati dai lettori del blog,
considerata su Il Fatto online la vera notizia, tanto da assurgerne a titolo: «
Diffamazione, blogger condannata: “Responsabile per i commenti dei lettori »,
ci amareggia constatare che in sentenza la questione dei commenti non è
affrontata se non marginalmente: “l’attribuzione di responsabilità
all’imputata”, recita infatti il dispositivo, “è diretta”.
Linda Rando è stata condannata
intanto per quanto da lei stessa scritto (“intraprendeva una campagna
denigratoria”), e poi – è qui l’unico accenno ai commenti – per quant’altro di
diffamatorio fosse pubblicato sul sito da lei amministrato, intendendosi
implicita la sua approvazione dei commenti pubblicati dai lettori. Gli autori
dei commenti, si legge, “semmai concorrono nel reato, ma di essi in questo processo
non v’è traccia d’identificazione, né sono imputati”. Se mai restasse un
dubbio, basta leggere quanto dichiara a Il Fatto la stessa blogger: “ancora
oggi non sono riuscita a trovare i commenti oggetto della condanna”. Hai visto
mai. In ordine alla responsabilità oggettiva dell’amministratore di un sito sui
commenti per suo tramite postati in rete, nulla da dire: basta applicare un
filtro, ed approvarli tutti ad eccezione di quelli da codice penale. Chi non lo
fa, bene che si sappia, ne ha colpa, e condivide le responsabilità con
l’offensore. Il reato, infatti, non solo si commette in casa mia ma, di più, si
commette a causa del fatto che ho lasciato imprudentemente la porta aperta.
La vicenda, fuor dal processo, è
comunque di primissima attualità, e per due motivi.
Il primo è sotto gli occhi di
tutti, e pone molti interrogativi, nel constatare il persistere d’un certo modo
di fare informazione travisando fatti pur evidenti in nome dello scoop
giornalistico, finendo così per confezionare la notizia, piuttosto che
raccontarla. La notizia, a nostro avviso (ma è la stessa etica giornalistica a
parlare) non può sovrapporsi ai fatti, ma deve piuttosto riferirli, certo
commentandoli in vario modo, ma senza mai piegare la realtà. Se sono leciti
differenti punti di vista nella redazione di un articolo – quelli che gli
addetti ai lavori chiamano tagli redazionali – ecco che questi devono sempre
sapersi mantenere nell’alveo dell’obiettività oggettiva. Che in questo caso,
come in altri, e purtroppo sempre più spesso, è venuta a mancare.
Il secondo si legge nel
dispositivo della sentenza, nel punto in cui il giudice considera,
relativamente alla condotta complessiva della blogger, le circostanze
aggravanti che le sono contestate equivalenti all’attenuante della giovane età
e “di una sottovalutazione delle condotte illecite, frutto di una diseducazione
di cui essa stessa è vittima, in un contesto sociale di falsamente proclamata
liceità di qualsiasi lesione dell’altrui personalità morale, tanto più se
veicolata dai mezzi di comunicazione”. Il giudice di Varese ha qui preso atto
del dilagare di una violenza verbale non più tollerabile, tanto nel mondo reale
che in quello digitale, esito di una cultura distorta entro la quale
sembrerebbe essere invalsa l’opinione che la rete è una zona franca nella
quale, protetti dall’anonimato del nickname, è lecito sparare a zero contro
tutti e tutto, lasciarsi andare ai commenti più triviali, ed esternare ogni
pensiero proveniente dalla pancia come mai ci si sognerebbe di fare nella
realtà.
Non è così. E sarebbe ora di
capire che la rete è strumento di comunicazione mediata che non ci pone al di
fuori, ma ancor a più stretto contatto con la realtà. E come accettiamo che i
contratti che stipuliamo in rete sono contratti veri, o che i conti correnti
online sono conti correnti veri, parimenti dobbiamo riconoscere che le offese
che rivolgiamo ad altri in rete sono offese vere e, di più, destinate a
persistere per tempi che non potremo controllare, e a circolare con velocità
che ancor adesso neppure comprendiamo.
L’argomento contrario fa leva
spesso sulla censura: “come principio non censuriamo i commenti”, si legge
nell’intervista rilasciata da Linda a Il Fatto Quotidiano. Il blog, dice, “è
uno spazio di libera espressione e ciascuno dovrebbe poter dire quello che
pensa, assumendosene la piena responsabilità”. Ebbene, anche a rischio
d’apparire retrogrado, dirò che se qualcuno dei miei commensali, invitati una
sera a cena a casa mia, si sognasse d’insultare gli altri gratuitamente, lo
censurerei eccome, e gli indicherei pure la porta, senza timore d’esser passato
per quello che non consente la libertà d’espressione del pensiero.
Libertà d’espressione non è
infatti il poter cedere ad ogni impulso coprolalico, non è rutto libero, e non
ha esito nella sovranità d’insultare tutti impunemente. Non si tratta infatti
di censura, ma sono chiamate in causa, assai più banalmente, alcune elementari,
quanto dimenticate, regole di ordinaria buona educazione.
lunedì 22 luglio 2013
Shalòm, Sono aperte le iscrizioni al Corso base low cost di ebraico moderno
Sono
aperte le iscrizioni al Corso base low
cost di lingua ebraica moderna “Shalòm” organizzato
dall’associazione culturale per il dialogo interreligioso La Tenda di Abramo in
collaborazione con le Edizioni La Zisa.
Il
corso sarà tenuto da un insegnante di madrelingua ebraica e partirà nel mese
di settembre del 2013.
Strutturato in 10 incontri (uno a
settimana), avrà un costo complessivo, e comprensivo di materiale didattico, di
euro 120. Le lezioni si terranno presso i locali della casa editrice La Zisa in
via Lungarini 60, a Palermo. A richiesta, verrà rilasciato un attestato di
frequenza.
Le
iscrizioni dovranno essere effettuate presso la segreteria della casa editrice
sita in via Lungarini 60, a Palermo (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,00 alle
ore 13,00).
Progetto Accademia. La tesi di laurea può diventare un vero libro
La casa editrice La Zisa offre una grande opportunità a
laureandi e laureati, proponendo la pubblicazione delle tesi di laurea già discusse o da discutere all’interno della nuova collana
“Accademia”. È possibile inviare i testi, insieme ai propri dati
(nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico), entro e non oltre il 31
ottobre 2013 al seguente indirizzo: Edizioni
La Zisa, via Lungarini 60 – 90133 Palermo; o via e-mail
a: lazisaeditrice@gmail.com, in formato
doc o pdf.
Gli autori delle opere ritenute idonee per la
pubblicazione riceveranno una proposta editoriale. I manoscritti non saranno
restituiti. Tutte le tesi selezionate, tra le più originali e brillanti, saranno immesse sul mercato sotto forma di saggi dotate di codice Isbn per
essere identificate in tutto il mondo, di bollino Siae per la tutela del
diritto d’autore e di codice a barre e verranno promosse e distribuite su tutto
il territorio nazionale.
Il
progetto “Accademia” che non ha precedenti in Italia, persegue l’obiettivo di
diffondere e far conoscere le nuove visioni di chi ha svolto un serio lavoro di
ricerca, impostazione e analisi riguardo le più svariate tematiche. La
pubblicazione della tesi può valere, inoltre, un maggiore punteggio ai concorsi
pubblici, arricchire il curriculum vitae ed è la memoria tangibile di un giorno
importante da dedicare ad amici cari e parenti.
domenica 21 luglio 2013
Davide Romano di La Zisa, ''Magistrati come Paolo Borsellino sono eroi isolati'' . libreriamo.it - recensioni libri
Il presidente della casa editrice palermitana, impegnata da 25 anni sul fronte della lotta alle mafie e all’illegalità, nell’anniversario della strage di via d’Amelio richiama alla necessità di un ricordo che non sia solo retorica celebrazione, ma concreto impegno quotidiano
MILANO – Che senso ha una lotta alle mafie portata avanti da pochi eroi se il nostro Paese non vuole essere liberato? È la riflessione sollevata da Davide Romano, presidente della palermitana Edizioni La Zisa, nel giorno dell’anniversario di morte di Paolo Borsellino: al di là delle celebrazioni retoriche, sarebbe necessario un impegno concreto e costante contro l’illegalità. Romano ci consiglia qualche lettura dal catalogo della casa editrice, da 25 anni attenta al tema della lotta alle mafie e della collusione tra criminalità organizzata e potere.
Quanto è importante mantenere viva la memoria di un eroe come Paolo Borsellino?
Ci si potrebbe chiedere perché sia più facile rendere omaggio a un magistrato morto che sostenere un magistrato vivo che si batte contro le mafie e l’illegalità. L’impegno dovrebbe essere non soltanto quello di una retorica celebrazione, cui assistiamo ogni anno, ma di una seria lotta contro la cultura dell’illegalità e soprattutto contro l’illegalità presente nella classe dirigente.
Da parte nostra, uno dei primi titoli che abbiamo pubblicato, negli anni Ottanta, è stato una raccolta di interventi di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, oltre che di Rocco Chinnici, su temi come la legalità, lo Stato, le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni, in un’epoca in cui loro erano sotto attacco da parte anche di certa politica che oggi li osanna.
Qual è stato il valore dell’opera di Borsellino nella lotta alla mafia?
Borsellino, Falcone e altri come loro hanno avuto un ruolo fondamentale. E hanno giocato questo ruolo in totale solitudine, il che rende il loro sforzo ancora più eroico e significativo. Quello che mi domando è se la lotta alle mafie possa essere lasciata nelle mani di pochi eroi: se un popolo non è in grado di liberarsi e non vuole essere liberato, ha senso continuare la battaglia?
Il vostro catalogo dedica grande attenzione a questi temi. Può consigliarci qualche lettura in questa particolare occasione?
La casa editrice è nata 25 anni fa e fin dall’inizio ha dedicato grande attenzione a questi argomenti, anche quando non erano così popolari come oggi. Negli anni abbiamo continuato questo impegno attraverso la saggistica e anche attraverso biografie – per esempio quella scritta da Rosaria Brancato, “Con i tuoi occhi”, dedicata alla vittima della mafia Graziella Campagna.
Un testo che in particolare mi sentirei di consigliare è “La zona grigia” di Nino Amadore, che affronta un tema fondamentale per la conoscenza e la comprensione del tema mafioso: il rapporto con i colletti bianchi, con il potere economico e politico. Noi abbiamo attualmente un governatore sostenuto da un partito che era alleato al precedente governatore, sotto inchiesta per mafia. Secondo me una riflessione pubblica su questo argomento andrebbe avviata: è possibile che gli stessi esponenti politici sostengano prima un governo e poi un altro? Ricordare Borsellino andrebbe fatto anche in questo modo.
Attraverso quali progetti la casa editrice ha intenzione di portare avanti in futuro il suo impegno su questo fronte?
Continuiamo con la nostra programmazione, ma soprattutto cerchiamo di agire in modo concreto contro l’illegalità. Dal 2007 abbiamo contrassegnato i nostri libri con il bollino “pizzo free”. Noi non paghiamo il pizzo a nessuno, né alla mafia, né alla politica, né alla burocrazia.
Il progetto è costruire una possibilità: dimostrare che oltre alla clientela e all’emigrazione si possa pensare a un’impresa alternativa in Sicilia.
Ci illustra più in generale il catalogo della casa editrice?
Oltre a questo filone, che rappresenta un po’ la ragion d’essere della casa editrice, c’è anche una grande attenzione alla storia del movimento sindacale e alla storia della sinistra italiana, quella più nobile – abbiamo pubblicato i diari inediti di Li Causi, così come scritti di Napoleone Colajanni. Siamo molto attenti anche alle minoranze più critiche – abbiamo pubblicato per esempio “Il popolo della Bibbia”, la storia dei valdesi di Teodoro Balma, o “Apologia dell’ebraismo” di Dante Lattes. Con nostra grande sorpresa l’anno scorso di noi parlò Saviano, che nel corso di una sua presentazione citò un nostro testo: “La grande crisi del ’29” di Ugo Pettenghi. Ci sono poi anche collane di narrativa, centrate sulla storia locale e, anche qui, sulle minoranze: abbiamo un filone di narrativa scritta da omosessuali.
Vorrei ricordare anche il nostro impegno a fianco dell’associazione Prometeo, onlus che opera nel campo della lotta alla pedofilia. Sono usciti per la casa editrice due libri sulla pedofilia del presidente e fondatore Massimiliano Frassi, “Perché nessuno mi crede?!” e “Il libro nero della pedofilia”, e un altro dello stesso argomento di Nicolò Anghileri, “Destini che nessuno sa”.
19 luglio 2013
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