martedì 30 luglio 2013

«Non importa se la strada è una “trazzera”. Fede e omosessualità, un cammino reso meno arduo dalla preghiera» di Giuseppe Ficara (Riforma, numero 30, 2 agosto 2013, pagina 7)

Il titolo del libro* non deve indurre a una interpretazione errata del suo contenuto. In cammino tra fede e omosessualità non significa che c’è un cammino che permette il passaggio dalla fede all’omosessualità come se l’omosessualità si contrapponesse alla fede e ne dichiarasse la sua assenza. Si tratta piuttosto di un cammino biografico che l’autore riporta, il suo, il quale, partendo dalla fede giunge alla fede, a una fede cioè più matura e consapevole, non ipocrita, ma che cerca ogni giorno di essere sempre più autentica. Ma Nicolò non arriva finalmente a destinazione e scrive così la sua storia; Nicolò scrive per dire che la fede è sempre un percorso e mai un capolinea, la fede è un work in progress, un cammino, appunto: non per nulla in copertina vi è una trazzera. Non c’è disegnata un’autostrada perché devi vivere ogni momento dei tuoi passi, non puoi sorvolare velocemente con un’automobile perdendo tutto il senso della vita. Così l’autore può affermare: «la vita è un divenire, un continuo crescere. Guai a pensare di essere arrivati» (p. 108).
Nicolò d’Ippolito esordisce spiegando che, dopo la scoperta della sua omosessualità, la considerò come una punizione di Dio, e che comunque non poteva accettare né come punizione né come evento della vita perché desiderava una «famiglia», avere dei figli, una vita «normale». Ma la sua visione di famiglia e di figli era ancora quella tradizionale per la quale la sua condizione diventava un impedimento affinché si realizzasse. In effetti, l’autore spiega bene quale fosse il vero problema: «Forse non mi accettavo ancora» (p. 22). In tutto il racconto storico, che non è cronologico se non per quanto riguarda una consapevolezza di sé sempre più matura, vi è un filo rosso che non si interrompe mai ed è la preghiera al Padre. Non ci sono occasioni in cui il Padre non sia interpellato, o non ci si affidi a lui. Nicolò ha pregato anche per chi lo ha ferito intimamente, come don Pancrazio che nell’omelia inveisce contro la classe docente, a suo dire, amorale e sviante perché di sinistra. Curiosa l’omelia contro il demonio che le donne avrebbero fra le cosce (p. 55). Ovviamente l’interpretazione della realtà e della preghiera è tutta di Nicolò, quindi autentica: come egli ha vissuto i problemi e come ha vissuto la preghiera di richiesta e la risposta che spesso non perveniva, mentre altre volte era più che chiara. «Non capivo perché ogni volta che mi sentivo soddisfatto precipitavo nella disperazione. E il Padre mi lasciava senza risposte» (p. 27). Eppure a p. 68, in una condizione di grande agitazione e quasi disperazione, una bella risposta Nicolò se la dà: «E se fossi stato lo strumento per far capire che dove c’è amore c’è Dio? Gesù lo aveva fatto “ed era finito sulla croce”, mi ripetevo. “Ma col suo amore ci aveva salvati tutti”».
Perciò le scelte, ma soprattutto gli stati d’animo devono diventare palpabili per essere una risposta del Padre o una richiesta al Padre. Delle gocce luminose indicano una risposta positiva, un intervento del Padre con la gioia che ne consegue, e delle presenze attorno a sé indicano la lotta che Nicolò intraprende dopo un’astinenza casta di due anni, ricominciando a vivere includendovi la propria sessualità piuttosto che reprimerla; Nicolò lotta per perseguire la propria affermazione, la propria identità di essere umano con le proprie peculiarità. Rinuncia alla rinuncia, dice basta alla repressione della sua sessualità perché nessuno ha il diritto di chiederglielo, neppure il «Padre».
L’insistenza ossessiva di Nicolò nel convincere il lettore circa il fatto che gli omosessuali nascono tali perché si tratta di un fatto genetico, indipendentemente dalla scientificità di questa affermazione, vuole semplicemente affermare con forza che gli omosessuali sono creati da Dio, sono una buona creazione di Dio, sono figli di Dio e quindi, come tutti, un dono di Dio. Perciò Nicolò afferma: «Oggi è assodato che omosessuali si nasce e non si diventa, se mai ci si scopre, ci si accetta anche in età adulta, vivere contro natura sarebbe un peccato contro il corretto sviluppo psicofisico affettivo di ogni essere umano, e contro Dio, Padre e Madre» (p. 87). Ho apprezzato la notevole precisione teologica nell’esporre i brani biblici affetti di omofobia: quello di Sodoma nella Genesi, quello di Romani 1; ma anche la problematica degli eunuchi. Là dove è riportata la lezione del pastore Giampiccoli relativa ai quattro termini per definire l’essere umano c’è un piccolo errore di trascrizione a pag. 74: infatti non è Adòn/Adonà per definire l’uomo tratto dalla terra, ma Adam/Adamah. Ma bisogna sapere l’ebraico per notare l’errore. Nicola scrive per parlare della sua gaytudine, come egli la definisce. Ma perché ce n’è bisogno? Perché non è riconosciuta la dignità delle persone omosessuali. «Ho lottato per vivere con dignità e non finirò mai di asserire il mio orientamento sessuale sino a quando lo Stato italiano mi farà vivere come cittadino di serie B. Quando anche in Italia avremo una legge contro l’omofobia e per i matrimoni omosessuali finirò di parlare della mia gaytudine perché allora sarò un cittadino, un fratello come gli altri» (p. 96). In conclusione voglio citare delle parti molto belle sulle chiese, là dove, parlando della sua frequentazione della Comunità di San Saverio, Nicolò dice: «Non ci sono cristiani migliori per l’appartenenza a una chiesa. Ci sono esseri umani che, come tali, possono essere intelligenti o meno, superficiali o responsabili, colti o ignoranti. L’importante è vivere da cristiano.
Non ci sono etichette. Continuo a considerarmi valdese per quanto la chiesa porta avanti per innovazioni e interpretazione della Bibbia. Da noi la comprensione è in itinere, non c’è una verità assoluta, ma in evoluzione». Credo che all’autore questa autobiografia gli sia servita per fare il punto della situazione: dove sono arrivato? Quale futuro? Ci sono alti e bassi, cadute e riprese: bene – dice Nicola – così posso capire meglio, riflettere, crescere e andare avanti. «Il Padre non ci dà nulla che le nostre spalle non possono sopportare… Adesso so che c’è lui a sorreggermi, anche quando non lo sento» (p. 106). Ma ecco che torna la speranza che, fin dalle prime pagine, aveva fatto capolino, prima come rivendicazione, ora, appunto come speranza che dà un senso compiuto alla vita, all’esistenza nella certezza che il Padre esaudisca nella preghiera: «E continuo a credere, a sperare che un giorno anch’io possa avere un compagno, una famiglia e vivere benedetti dalla comunità nel nome del Padre» (p. 106).

*Nicolò D’Ippolito, “In cammino tra fede e omosessualità”, prefazione di don Franco Barbero, Edizioni  La Zisa, pp. 112, euro 9,90

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