Il titolo del libro*
non deve indurre a una interpretazione errata del suo contenuto. In cammino tra
fede e omosessualità non significa che c’è un cammino che permette il passaggio
dalla fede all’omosessualità come se l’omosessualità si contrapponesse alla
fede e ne dichiarasse la sua assenza. Si tratta piuttosto di un cammino
biografico che l’autore riporta, il suo, il quale, partendo dalla fede giunge
alla fede, a una fede cioè più matura e consapevole, non ipocrita, ma che cerca
ogni giorno di essere sempre più autentica. Ma Nicolò non arriva finalmente a
destinazione e scrive così la sua storia; Nicolò scrive per dire che la fede è
sempre un percorso e mai un capolinea, la fede è un work in progress, un cammino,
appunto: non per nulla in copertina vi è una trazzera. Non c’è disegnata un’autostrada
perché devi vivere ogni momento dei tuoi passi, non puoi sorvolare velocemente
con un’automobile perdendo tutto il senso della vita. Così l’autore può
affermare: «la vita è un divenire, un continuo crescere. Guai a pensare di
essere arrivati» (p. 108).
Nicolò d’Ippolito
esordisce spiegando che, dopo la scoperta della sua omosessualità, la considerò
come una punizione di Dio, e che comunque non poteva accettare né come punizione
né come evento della vita perché desiderava una «famiglia», avere dei figli,
una vita «normale». Ma la sua visione di famiglia e di figli era ancora quella
tradizionale per la quale la sua condizione diventava un impedimento affinché
si realizzasse. In effetti, l’autore spiega bene quale fosse il vero problema:
«Forse non mi accettavo ancora» (p. 22). In tutto il racconto storico, che non
è cronologico se non per quanto riguarda una consapevolezza di sé sempre più
matura, vi è un filo rosso che non si interrompe mai ed è la preghiera al
Padre. Non ci sono occasioni in cui il Padre non sia interpellato, o non ci si
affidi a lui. Nicolò ha pregato anche per chi lo ha ferito intimamente, come
don Pancrazio che nell’omelia inveisce contro la classe docente, a suo dire, amorale
e sviante perché di sinistra. Curiosa l’omelia contro il demonio che le donne
avrebbero fra le cosce (p. 55). Ovviamente l’interpretazione della realtà e
della preghiera è tutta di Nicolò, quindi autentica: come egli ha vissuto i
problemi e come ha vissuto la preghiera di richiesta e la risposta che spesso
non perveniva, mentre altre volte era più che chiara. «Non capivo perché ogni
volta che mi sentivo soddisfatto precipitavo nella disperazione. E il Padre mi lasciava
senza risposte» (p. 27). Eppure a p. 68, in una condizione di grande agitazione
e quasi disperazione, una bella risposta Nicolò se la dà: «E se fossi stato lo
strumento per far capire che dove c’è amore c’è Dio? Gesù lo aveva fatto “ed
era finito sulla croce”, mi ripetevo. “Ma col suo amore ci aveva salvati
tutti”».
Perciò le scelte, ma
soprattutto gli stati d’animo devono diventare palpabili per essere una risposta
del Padre o una richiesta al Padre. Delle gocce luminose indicano una risposta
positiva, un intervento del Padre con la gioia che ne consegue, e delle
presenze attorno a sé indicano la lotta che Nicolò intraprende dopo
un’astinenza casta di due anni, ricominciando a vivere includendovi la propria
sessualità piuttosto che reprimerla; Nicolò lotta per perseguire la propria
affermazione, la propria identità di essere umano con le proprie peculiarità.
Rinuncia alla rinuncia, dice basta alla repressione della sua sessualità perché
nessuno ha il diritto di chiederglielo, neppure il «Padre».
L’insistenza ossessiva
di Nicolò nel convincere il lettore circa il fatto che gli omosessuali nascono
tali perché si tratta di un fatto genetico, indipendentemente dalla scientificità
di questa affermazione, vuole semplicemente affermare con forza che gli omosessuali
sono creati da Dio, sono una buona creazione di Dio, sono figli di Dio e quindi,
come tutti, un dono di Dio. Perciò Nicolò afferma: «Oggi è assodato che omosessuali
si nasce e non si diventa, se mai ci si scopre, ci si accetta anche in età adulta,
vivere contro natura sarebbe un peccato contro il corretto sviluppo psicofisico
affettivo di ogni essere umano, e contro Dio, Padre e Madre» (p. 87). Ho
apprezzato la notevole precisione teologica nell’esporre i brani biblici
affetti di omofobia: quello di Sodoma nella Genesi, quello di Romani 1; ma
anche la problematica degli eunuchi. Là dove è riportata la lezione del pastore
Giampiccoli relativa ai quattro termini per definire l’essere umano c’è un
piccolo errore di trascrizione a pag. 74: infatti non è Adòn/Adonà per definire
l’uomo tratto dalla terra, ma Adam/Adamah. Ma bisogna sapere l’ebraico per
notare l’errore. Nicola scrive per parlare della sua gaytudine, come egli la
definisce. Ma perché ce n’è bisogno? Perché non è riconosciuta la dignità delle
persone omosessuali. «Ho lottato per vivere con dignità e non finirò mai di
asserire il mio orientamento sessuale sino a quando lo Stato italiano mi farà
vivere come cittadino di serie B. Quando anche in Italia avremo una legge
contro l’omofobia e per i matrimoni omosessuali finirò di parlare della mia
gaytudine perché allora sarò un cittadino, un fratello come gli altri» (p. 96).
In conclusione voglio citare delle parti molto belle sulle chiese, là dove,
parlando della sua frequentazione della Comunità di San Saverio, Nicolò dice:
«Non ci sono cristiani migliori per l’appartenenza a una chiesa. Ci sono esseri
umani che, come tali, possono essere intelligenti o meno, superficiali o
responsabili, colti o ignoranti. L’importante è vivere da cristiano.
Non ci sono etichette.
Continuo a considerarmi valdese per quanto la chiesa porta avanti per
innovazioni e interpretazione della Bibbia. Da noi la comprensione è in
itinere, non c’è una verità assoluta, ma in evoluzione». Credo che all’autore
questa autobiografia gli sia servita per fare il punto della situazione: dove
sono arrivato? Quale futuro? Ci sono alti e bassi, cadute e riprese: bene – dice
Nicola – così posso capire meglio, riflettere, crescere e andare avanti. «Il
Padre non ci dà nulla che le nostre spalle non possono sopportare… Adesso so
che c’è lui a sorreggermi, anche quando non lo sento» (p. 106). Ma ecco che torna
la speranza che, fin dalle prime pagine, aveva fatto capolino, prima come
rivendicazione, ora, appunto come speranza che dà un senso compiuto alla vita, all’esistenza
nella certezza che il Padre esaudisca nella preghiera: «E continuo a credere, a
sperare che un giorno anch’io possa avere un compagno, una famiglia e vivere benedetti
dalla comunità nel nome del Padre» (p. 106).
*Nicolò D’Ippolito, “In
cammino tra fede e omosessualità”, prefazione di don Franco Barbero, Edizioni La Zisa, pp. 112, euro 9,90