martedì 28 settembre 2010

Se il politico va con la escort ma non vuole che se ne parli


Messaggio per il politico “cattolico” e “padre di famiglia” che ci ha fatto sapere che, come casa editrice, abbiamo perso un “amico”, che non ci agevolerà mai in alcun modo e che ce lo ritroveremo sempre contro per il solo fatto di aver parlato di lui nel libro di Alessia Cannizzaro “Buttana di lusso. Confessioni di una escort” (Ed. la Zisa). Sappia che noi non abbiamo “amici”, ne padroni, ne tantomeno padrini, soprattutto in politica. E non teniamo in alcun modo alla sua amicizia o al suo “aiuto”. Così come non ci intimidiscono i suoi messaggi dal sapore vagamente mafioso. Continui a fare il suo lavoro così come noi continueremo serenamente a fare il nostro. Se ritiene che quanto scritto dalla giornalista Cannizzaro ha danneggiato la sua immagine, ci quereli pure… Grazie.

Davide Romano – direttore editoriale delle Edizioni la Zisa


Alessia Cannizzaro, "Buttana di lusso. Confessioni di una escort", Edizioni La Zisa, pagg. 80, euro 9,90
(www.lazisa.it)

E l'onorevole mi disse: "Picchiami, sono un bambino cattivo!"

Una città a luci rosse annidata tra le pieghe di un perbenismo di facciata. Palermo è anche questo. E a svelarne il suo lato oscuro è Chiara (o almeno così dice di farsi chiamare), una escort palermitana che da anni lavora proprio nella sua città. Sesso a pagamento, in casa o in trasferta, appartamenti di lusso come alcove, o hotel fuori porta. Tra i suoi clienti politici, avvocati, professionisti in genere, tutta gente della “Palermo bene”. Chiara ci racconta, senza falsi pudori, vizi e virtù di una città sommersa, conditi da particolari piccanti e non sempre prevedibili.

Alessia Cannizzaro è giornalista professionista, laureata in Scienze della Comunicazione e in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale. Da anni lavora per tv e testate locali e nazionali. E proprio per un quotidiano palermitano ha condotto un’inchiesta sulla Palermo a luci rosse.



Davide Romano - Direttore editoriale "Edizioni La Zisa"
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lunedì 27 settembre 2010

RIECCO “LIALA”. Le Edizioni La Zisa pubblicano la “Rosa del deserto” di Annalisa Giordano


(Repubblica, 26 settembre 2010)

DICHIARATAMENTE legato alla tradizione letteraria di Liala, Du Veuzit, Delly, Emma Orczy che sancirono la lunga fortuna degli storici "Romanzi della Rosa" di Salani, La rosa del deserto inaugura la collana "Le Rose" della casa editrice palermitana La Zisa. Gli elementi del romanzo d'amore al femminile infatti ci sono tutti: la giovane Elisa è bella, assennata e brava nel suo lavoro - aspira a diventare una stilista e ha compiuto studi in questo senso come la stessa Annalisa Giordano che è Progettista di Moda - ma è anche oppressa dalla datrice di lavoro, la collerica madame Dupré, vecchia signora della moda la cui vena creativa s'è tristemente prosciugata. Nel corso di uno dei tanti viaggi con la Dupré, complici i paesaggi, i cibi e i profumi tunisini, Elisa si imbatte in Shams, fascinoso ed enigmatico figlio del governatore di Gafsa. Combattuta tra l'attrazione per Shams e la paura dell'ignoto, Elisa finisce col cedere all'invito dell'uomo che, dopo averla salvata da un tentativo di violenza carnale, la condurrà attraverso il deserto fino al palazzo del buon padre dove, tra prevedibili avventure, si coronerà il sogno d'amore della ragazza. La narrazione procede tra descrizioni non troppo convincenti e lascia invece allo stato di mero abbozzo anche i personaggi principali che, privati di qualsiasi scavo psicologico, risultano talmente stereotipati da essere decisamente poco credibili. I dialoghi sono ben tagliati nella misura e, sebbene a tratti siano appesantiti da notazioni poco utili alla narrazione, rendono comunque scorrevole il romanzo che non deluderà certamente le amanti dell'happy end. - EMANUELA E. ABBADESSA

Paolo Conte - Come Away with Me (Vieni via con me)

Paolo Conte - Sparring Partner (live)

venerdì 24 settembre 2010

A ottobre in libreria il volume di Rosaria Brancato "Con i tuoi occhi. La storia di Graziella Campagna uccisa dalla mafia", La Zisa




Rosaria Brancato, “Con i tuoi occhi. La storia di Graziella Campagna uccisa dalla mafia”, Presentazione di Rita Borsellino, Prefazione di Piero Campagna, Edizioni La Zisa

La straordinaria vicenda di Graziella Campagna raccontata dallo sceneggiato Rai “La vita rubata” con Beppe Fiorello

Non succede mai nulla di terribile a Saponara. Cosa può accadere in un paesino arroccato sulle montagne, in provincia di Messina, la provincia babba? Qui non esiste la Mafia e nessuno può fare del male a una ragazzina. Ma il 14 dicembre 1985, due giorni dopo la scomparsa, il corpo della 17enne Graziella Campagna è ritrovato nello spiazzale di uno fortini che sovrastano la città. Su quel cadavere straziato, i chiari segni di un'esecuzione mafiosa.
In questo libro, la giornalista Rosaria Brancato ricostruisce, con il piglio della cronista, i 24 interminabili anni di ricerca della verità giudiziaria, svelando insabbiamenti e – con essi – le collusioni, di un mondo parallelo a quello ufficiale, in cui criminali si mescolano alla gente per bene e alle istituzioni.
Ma soprattutto, con la sensibilità della scrittrice, Brancato restuisce voce alle vittime di questa vicenda: a Graziella, al fratello Pietro – l'instancabile carabiniere che non ha mai smesso di cercare la verità -, agli altri membri di una famiglia “normale” travolta dal dolore, schiacciata da un meccanismo più grande delle loro vite di cui non avrebbero mai sospettato neppure l'esistenza.

Rosaria Brancato laureata in Scienze Politiche, giornalista professionista, ha lavorato presso La Repubblica, Il Giornale di Sicilia, L’Ora di Palermo, La Sicilia e presso le emittenti televisive Telecolor, Antenna Sicilia, Tgs, Televip. E’ stata portavoce del sindaco di Messina nel 2006 ed ha curato uffici stampa in occasione delle campagne elettorali per diverse formazioni politiche. E’ responsabile provinciale della commissione Pari opportunità della Fnsi e vice delegata nazionale.

martedì 21 settembre 2010

A fine ottobre in libreria: "Inganno Padano. La vera storia della Lega Nord" di Fabio Bonasera e Davide Romano, Edizioni La Zisa

A fine ottobre in libreria: "Inganno Padano. La vera storia della Lega Nord" di Fabio Bonasera e Davide Romano, Prefazione di Furio Colombo, Edizioni La Zisa


Da oltre vent’anni la Lega Nord fa parte stabilmente del panorama politico italiano. Tutti ne conoscono i principali leader, i programmi, le parole d’ordine, la balzana simbologia. Sono pressoché ignoti, invece, taluni aspetti poco virtuosi che la pongono sullo stesso piano delle peggiori consorterie politiche della cosiddetta Prima Repubblica. Questo libro racconta alcuni retroscena volutamente sottaciuti attraverso le testimonianze di coloro che hanno creduto, all’inizio, alle idee moralizzatrici di Umberto Bossi, per staccarsene successivamente quando dalla propaganda si è passati alla gestione del potere. Diventano altresì chiare le ragioni di fondo che stanno alla base del patto d’acciaio che unisce la Lega al partito-azienda di Silvio Berlusconi.



Fabio Bonasera (Messina, 1971), giornalista professionista. Gli esordi professionali nella sua città natale, al Corriere del Mezzogiorno, dopo qualche breve esperienza in alcuni periodici locali. Successivamente, il trasferimento in Veneto, al Corriere di Rovigo, prima di approdare alla corte de Il Gazzettino, dove rimane per diverso tempo, occupandosi prevalentemente di cronaca bianca e politica. Attualmente, è direttore responsabile del mensile di Patti (Me) In Cammino.



Davide Romano (Palermo, 1971), giornalista pubblicista. Ha lavorato per molti anni nell’ambito della comunicazione politica. Ha scritto e scrive per numerose testate ed è stato anche fondatore e direttore responsabile del bimestrale di economia, politica e cultura Nuovo Mezzogiorno e del mensile della Funzione Pubblica Cgil Sicilia Forum 98. Ha pubblicato, tra l’altro: Nella città opulenta. Microstorie di vita quotidiana (2003, 2004), Piccola guida ai monasteri e ai conventi di Sicilia (2005), Il santo mendicante. Vita di Giuseppe Benedetto Labre (2005), Dicono di noi. Il Belpaese nella stampa estera (2005); La pagliuzza e la trave. Indagine sul cattolicesimo contemporaneo (2007). Ha curato il saggio inedito del dirigente comunista Girolamo Li Causi, Terra di frontiera. Una stagione politica in Sicilia 1944-60 (2009).



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lunedì 20 settembre 2010

In offerta a 9,90 euro: Don Luigi Sturzo, “La regione nella nazione”, Edizioni La Zisa


In offerta a 9,90 euro: Don Luigi Sturzo, “La regione nella nazione”, a cura di Paquale Hamel, Introduzione di Eugenio Guccione, Edizioni La Zisa, pp. 212

«La regione è parte di un “tutto organico” rappresentato dallo Stato. Essa, non staccandosi dall’insieme, tende a svolgere la propria vita autonoma in corrispondenza a situazioni e problemi particolari di carattere socio-economico determinati dall’ambiente. Questa, in sintesi, potrebbe essere la definizione sturziana della regione. Ma, nel riferimento specifico all’Italia, occorre aggiungere che essa “è un fatto geografico, etnografico, economico e storico”. Nella terminologia del sociologo cattolico grande importanza assume quel “tutto organico”, di cui la regione, anch’essa “organica”. Nel suo modo di essere e di porsi, è parte integrante. La voce nel deserto del vecchio prete calatino contro la partitocrazia, lo statalismo e la pubblica amministrazione sembra abbia preso corpo nella “voce del popolo” che, pur sconoscendo Sturzo, parla, in buona parte, il suo stesso linguaggio di protesta. Se il progetto sturziano si fosse realizzato in pieno, se il decentramento amministrativo si fosse effettivamente attuato, se le segreterie dei partiti avessero avuto meno potere e avessero, invece, avuto rispetto per le organizzazioni e le situazioni locali, le Leghe, oggi, avrebbero avuto poco o nulla da chiedere e, molto probabilmente, non avrebbero avuto alcuna ragione di nascere e di riscuotere tanto successo».

Luigi Sturzo (1871 – 1959), sacerdote, uomo politico, studioso di scienze sociali, fu tra i fondatori del Partito popolare italiano. Ideò e diresse il periodico “La Voce di Cosatntino”. Tra le sue opere principali: “Sintesi sociale” (1906), “Popolarismo e fascismo” (1924), “La libertà in Italia” (1925), “L’Italia e il nuovo ordine internazionale” (1946), “Chiesa e Stato” (1958).

Le Edizioni La Zisa aderiscono ad "Addiopizzo" e a "Libera" di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati "pizzo free".

giovedì 16 settembre 2010

PREMI: DAL CARVER NESSUN OMAGGIO AGLI AUTORI, SOLO AI LIBRI =



RESE NOTE LE CINQUINE FINALISTE DELLE SEZIONI. I VINCITORI DOMENICA 26 SETTEMBRE

Roma, 16 set. - (Adnkronos) - E' stata resa nota da Andrea Giannasi, presidente della giuria, la cinquina dei libri finalisti del 'Carver'. Il 'contropremio dell'editoria italiana', giunto alla sua ottava edizione, non riserva omaggi agli autori e agli editori ma solo ai libri, alle storie raccontate, sigillate dalla scelta poetica o scandagliate dalla forma saggistica.

Questa edizione ha visto la partecipazione record di 500 titoli, suddivisi nelle tre sezioni, poesia, narrativa e saggistica. Rispetto agli anni precedenti la giuria ha registrato, quest'anno, un aumento della qualita' dei libri partecipanti, in particolar modo per la narrativa che comunque sta subendo ancora forte l'influsso del genere poliziesco. Suddivisa in tre gruppi, uno per ciascuna sezione, la giuria ha affrontato le letture cercando di trovare elementi innovativi, sia nello stile, sia nella storia narrata.

Domenica 26 settembre a Civitavecchia, alla sala 'Molinari' nella Cittadella della Musica, si conosceranno il libri vincitori di ogni sezione in gara: saggistica, narrativa e poesia. Per la prima sezione la cinquina e' composta da 'Montelepre, il dopoguerra e i misteri di Giuliano' di Salvatore Badalamenti, edito da La Zisa, 'Ma ci fu pieta'. La banda della Magliana dal 1977 a oggi', di Angela Camuso di Editori Riuniti, 'Universi quasi paralleli. Dalla fantascienza alla guerriglia mediatica' di Antonio Caronia, pubblicato da Cut-Up, 'Teoria e pratica dell'omicidio seriale', di Giuseppe Magnarapa e Daniela Pappa, edito da Armando e 'Con foglio di via.
Storie di internamento in alta Valmarecchia 1940-1944', di Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni, pubblicato da Societa' il Ponte Vecchio.

Per la poesia, invece, si 'scontreranno' 'Salutami il mare' di Carla De Angelis, edito da Fara, 'La spugna' di Lella de Marchi, per edizioni Raffaelli, 'A che titolo' di Brunella Bruschi, pubblicato da Morlacchi, 'Situazione temporanea' di Marco Saya, per Puntoacapo e 'Frammenti di un respiro passeggero' di Salvatore Scuderi, per Kimerik.

Per la narrativa, infine, 'Gente normale' di Valentina Capecci pubblicato da Marsilio, 'Con l'insistenza di un richiamo' di Francesco Randazzo, per Lupo, 'Storie liquide' di Gianluca Pirozzi, edito da Croce, 'Il borgo d'oltremare' di Francesco Amato, per Mursia e 'Johnny nuovo. Il ragazzo che non conosceva il mondo' di Mauro Evangelisti, pubblicato da CartaCanta.

In libreria: Antonio Ruffino, Il salotto di Mr. Salina (romanzo), Edizioni La Zisa, pp. 80, euro 8

Su una nave in viaggio verso l'America, nei disperati anni dell'emigrazione italiana, c'è anche Tommaso, giovane siciliano incoraggiato dal padre a cercar fortuna negli Stati Uniti.
Il tentativo di emergere ad ogni costo, di arricchirsi dopo una vita di stenti, pur con tutte le difficoltà d'integrazione in una terra straniera, s'intreccia con la necessità che è in ogni luogo la stessa: quella di innamorarsi. Prevale però, nella vita degli emigrati siciliani, il bisogno di mantenere la propria identità, per questo motivo non si può fare a meno di avere in casa un salotto.

Ex funzionario dell'Alitalia, Antonio Ruffino, nato a Cinisi in provincia di Palermo, oggi è in pensione. Dipinge da trent'anni e ultimamente ha scritto anche quattro libri (Quasi quasi torno a Cinisi; Era solo ieri; Il salotto di Mr. Salina e Tutti Quelli che dal Barbiere…).


Le Edizioni La Zisa aderiscono ad "Addiopizzo" e a "Libera" di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati "pizzo free".

martedì 14 settembre 2010

In libreria: Alessandro Citarrella Fiore, “I ribelli della luna”, Edizioni La Zisa


In libreria: Alessandro Citarrella Fiore, “I ribelli della luna”, Edizioni La Zisa, pp. 96, euro 8,00

Vita in una Palermo notturna autentica e sognante, crudele e thrash, contraddittoria e speciale come solo questa città sa essere. “I ribelli della luna” è questo e molto di più, con le sue vie e le vite di personaggi che sembrano usciti da un film di Tarantino eppure sono straordinariamente siciliani: il Grande Capo, 'u Panzuni, Ax e Tigrero, le guardie del corpo Emanuelle e Selen, la splendida Marlene. Un sottobosco di prostitute, spacciatori, killer professionisti che è insieme un ironico dramma e una favola di oggi.

Alessandro Citarrella Fiore è nato a Palermo il 5 giugno 1976. I ribelli della luna è il suo primo romanzo. Ha pubblicato alcuni racconti e poesie su una fanzine di Roma. Come nella migliore tradizione della narrativa d’Oltreoceano, attualmente affianca il lavoro in una pizzeria alla passione per la scrittura.

lunedì 13 settembre 2010

GIGI PROIETTI RECITA TRILUSSA

9° PREMIO CARVER 2011 PER OPERE EDITE


Art 1 - Il Premio Letterario Nazionale Carver è nato come contropremio che supera il mercato dei premi sostenuti dall’editoria elitaria, al fine di promuovere libri di autori italiani. Già definito dalla critica come il Premio Strega o Campiello dei nuovi scrittori, trova pieno appoggio tra i maggiori operatori del settore. Il Premio Carver si differenzia dai premi tradizionali perchè vengono semplicemente premiati i libri a prescindere dal nome dell'autore o dalla casa editrice che ha pubblicato il libro.

Art 2 - Sono ammessi all'esame della giuria lavori editi (quindi pubblicati da una casa editrice) in lingua italiana a tema libero e con numerazione ISBN. Non sono posti limiti di tempo nella pubblicazione.

Art 3 - Al Premio possono partecipare saggisti, scrittori e poeti di tutte le nazionalità e senza limite di età, inviando nei termini stabiliti dal presente regolamento le opere di cui agli articoli successivi.

Art 4 - Il Premio Letterario si articola in tre sezioni: Saggistica, Narrativa e Poesia.

Art 5 - Ogni libro partecipante dovrà pervenire in 3 copie, con allegata nota con indirizzo, numero telefonico e firma dell'autore alla segreteria Premio Carver Prospektiva Rivista Letteraria via Terme di Traiano, 25 - 00053 Civitavecchia (Roma).

Art 6 - Le opere dovranno pervenire alla segreteria del Premio entro il 30 Giugno 2011 (farà fede il timbro postale).

Art 7 - La quota di iscrizione è fissata in 20,00 euro per sezione da versare sul conto corrente postale numero 97638845 intestato a Prospettiva Editrice.

Art 8 - Consistenza del premio: promozione a livello nazionale dei libri vincitori. I libri verranno promossi in un evento che si svolgerà nell'ambito di una fiera dei libri con acquisto di pubblicità sulla stampa. Articoli ed estratti saranno pubblicati sulle riviste Prospektiva e l'Assenzio. I vincitori ed i segnalati riceveranno attestati di merito e libri. Gli elenchi dei vincitori saranno poi inseriti on line nei più importanti siti di letteratura in internet. Il luogo e la consistenza del premio varierà a seconda del tempo di uscita dei risultati e sulle scelte tecniche della segreteria.

Art 9 - Il giudizio della Giuria è insindacabile. La Giuria è presieduta ogni anno da operatori del settore letterario ed è presieduta dal Dr. Andrea Giannasi.

Art 10 - La partecipazione al Premio Letterario Nazionale CARVER implica l'accettazione incondizionata del presente regolamento.

Art. 11 - Al premio non possono partecipare i libri editi da Prospettiva editrice.

Segreteria:
Prospektiva Rivista Letteraria
Via Terme di Traiano, 25
00053 Civitavecchia (Roma)

Per ulteriori informazioni
redazione@prospektiva.it

sabato 11 settembre 2010

E' in libreria il volume di Salvatore Mantaci, "Il pescatore e il suo gatto", Illustrazioni di Kerstin Werth, Edizioni la Zisa


E' in libreria il volume di Salvatore Mantaci, "Il pescatore e il suo gatto", Illustrazioni di Kerstin Werth, Edizioni la Zisa, pp. 48, euro 5,90

Un’insolita coppia di marinai accomunati dall’amore per il mare

Chi l’ha detto che i gatti non amano l’acqua? Fortunato, il gatto del vecchio pescatore, ama andare per mare e aiutare il suo padrone a pescare ogni tipo di pesce. La sua non è certo una vita monotona: tra incontri con seppie dispettose e allegri delfini, lui e il suo padrone trascorrono le loro giornate accompagnati dal vento e dal mare che nasconde fra le sue onde sempre nuove avventure.

Salvatore Mantaci è nato a Palermo nel 1970 e, dopo aver conseguito la laurea in matematica, si è trasferito a Milano dove vive e lavora attualmente. Il grande amore per suo figlio e per il mare gli hanno ispirato le storie del gatto Fortunato e del vecchio pescatore. Un giorno forse tornerà a Palermo a bordo della sua barca Tarabaralla.

Le Edizioni La Zisa aderiscono ad "Addiopizzo" e a "Libera" di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati "pizzo free".

venerdì 10 settembre 2010

Le Edizioni La Zisa finaliste al Premio Carver con due titoli


Palermo, 10 settembre 2010 – Le Edizioni La Zisa di Palermo finaliste al prestigioso Premio Carver, edizioni 2010, con due titoli: uno per la sezione di saggistica (“Montelepre, il dopoguerra e i misteri di Giuliano” di Salvatore Badalamenti) e uno per quella di poesia (“Foto senza cornici” di Lorenzo Avola).
Presente da otto anni il Carver, contropremio dell'editoria italiana di qualità, non premia gli editori o i nomi degli autori, ma soltanto i libri. Dopo attenta lettura dei giurati - rigorosamente celati per evitare tirate di maniche - domenica 26 settembre a Civitavecchia presso la sala "Molinari" nella Cittadella della Musica alle ore 17, si conosceranno il libri vincitore di ogni sezione in gara: saggistica, narrativa e poesia.

giovedì 9 settembre 2010

Vittorio Gassman - Verra' La Morte e Avra' i Tuoi Occhi

Arriva in libreria: Alba Coglitore, Profumo di casa. Storia d’amore e di ricette (siciliane), Edizioni la Zisa, pp. 112, euro 8




Stanca di stare in attesa di un uomo che non le da che briciole, dopo tanto tempo Laura decide di tornare a casa per le feste di Natale. Un viaggio emozionante, alla ricerca delle radici più profonde, di quegli indissolubili legami familiari che, in Sicilia più che altrove, sono inequivocabilmente legati alla condivisione del cibo. Un percorso attraverso luoghi e fogli di ricette che, come una storia ininterrotta, si tramandano di madre in figlia. Profumo di casa è un romanzo e insieme un libro di ricette, attraverso il quale Alba Coglitore ripercorre le tappe di un rapporto unico, quello che lega il cibo e i rapporti autentici.

Nata a Palermo, Alba Coglitore è un’insegnante in pensione. Di se stessa dice: «Mi sembra d’essere nata e cresciuta a scuola. Prima tra i banchi. Poi di fronte. Dovrei odiare i libri, invece il loro profumo m’inebria». Oggi si dedica alle sue passioni: fare la turista nella propria città, leggere e scrivere racconti. Senza dimenticare, naturalmente, quella di sfogliare un libro di ricette e di prepararne qualcuna.

Le Edizioni La Zisa aderiscono ad "Addiopizzo" e a "Libera" di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati "pizzo free".

martedì 7 settembre 2010

Signore e signori, vi presentiamo il Libro

EDITORI A PALERMO



ARTE, STORIA E NARRATIVA LA GALASSIA GUTENBERG DELLA CITTÀ IN SEDICESIMI
(La Repubblica, 4 settembre 2010)

La scomparsa di E l v i r a G i o r gianni, così pesantee traumatica non solo per Palermo, ha portato improvvisamente la città a riflettere sul ruolo che in un quarantennio la casa editrice Sellerio ha svolto in Sicilia, in Italia, nel mondo. Insieme alla tristezza degli addii e alla malinconia dei ricordi, Palermo è stata allora attraversata da un fremito d' orgoglio: sensazione vitale che ormai raramente le capita di provare. Orgoglio per quanto di bello e importante la Sellerio ha saputo costruire e sedimentare portando ovunque e con prestigio il nome di Palermo, rivendicato con amorevole tenacia in copertina. Orgoglio per una realtà che appartiene ormai indelebilmente al nostro passato e al nostro presente e senza dubbio anche al nostro futuro come un patrimonio inalienabile. Ma questa confortante certezza, questa consapevolezza di una prospettiva che non si chiude, deve anche indurci a valutare incessantemente la vita culturale della città, a partire ovviamente dal settore fondamentale dell' editoria, giacché solo un' attenzione costante può garantire sviluppo e continuità. Occorre allora capire come si muove la Galassia Gutenberg palermitana, se all' ombra della Sellerio i piccoli editori crescono, se nel complesso una fisionomia culturale si va delineando e rinsaldando. Palermo, in campo editoriale, non manca di una tradizione. Per fare un solo esempio, né troppo remoto né troppo recente, potremmo ricordare l' esperienza importante della Sandron, fondata a Palermo nel 1839 da Decio Sandron e poi rilevata dal figlio Remo nel 1873. Che nel 1943 la casa editrice abbia trasferito la propria sede a Firenze, è una prova che anche imprese centenarie possono sradicarsi se viene a mancare l' humus sociale che le alimenta e sorregge. In tempi più vicini, avventure forse più precarie, ma altrettanto entusiasmanti, purtroppo perdute per strada, si spera solo per una temporanea eclissi, sono state quelle delle Edizioni della Battaglia, fondata dalla rinomata fotografa Letizia Battaglia, e La Luna, creata da un collettivo di donne (Valeria Ajovalasit, Letizia Battaglia, Giovanna Fiume, Giuliana Saladino), entrambe fucine di talenti, di idee e di testimonianze civili. Sempre sotto il segno fecondo di un' imprenditoria e di una intellighenzia femminile, va pure ricordata la Novecento, sorta nel 1978 ad opera di Domitilla Alessi, oggi piuttosto defilata, ma in passato depositaria di grandi iniziative editoriali e culturali, tra cui un prestigioso premio che ebbe il merito, per citare un solo caso di cui conservo un ricordo mitico, di portare a Palermo Borges. Naturalmente, ogni discorso che tenti di riallacciare il presente al passato dell' editoria cittadina non può che cominciare da Flaccovio, la casa editrice fondata nel 1939 cui si devono importanti collane come "Uomo e cultura" o la riscoperta a partire dal 1971 dell' opera di Luigi Natoli, e che tuttora continua a essere, anche con la storica libreria di via Ruggero Settimo, uno dei principali punti di riferimento della Palermo che pensa, legge, scrive. Coeva, ma per lo più specializzata nel settore scolastico, è la Palumbo, molto presente anche nel campo della critica letteraria con il contributo qualificatissimo di Romano Luperini e con l' ottima rivista "Allegoria". Trent' anni dopo, nel 1969, nasceva la casa editrice Sellerio, costituita da Enzo Sellerio e dalla moglie Elvira, con l' apporto fondamentale di Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta. Bisogna attendere il 1980 per l' esordio della casa editrice Dario Flaccovio, in un primo tempo specializzata nel settore tecnico, soprattutto ingegneristico e informatico, poi gradualmente aperta alla narrativa con una spiccata predilezione per il mystery di cui è qualificata espressione la "Gialloteca" inaugurata nel 2002. Nel 1981 è la volta della Nuova Ipsa, che si propone in un primo tempo di sviluppare il filone delle medicine naturali e omeopatiche, ma poi si espande in varie direzioni, dalla narrativa di genere ai classici, dalla storia siciliana alle opere dialettali. Nel 1986 esordisce l' Epos, contraddistinta da una forte inclinazione per testi di filosofia, musica, danza, discipline dello spettacolo e architettura, ma attenta anche alla natura e alla storia locale. Due anni dopo nasce La Zisa, ispirandosi a una massima di Valentino Bompiani: «Offrire al lettore la possibilità di leggere non per divertimento, né per istruirsi, ma molto più semplicemente per vivere». Tra i suoi ultimi titoli, "Papagena, zuccherino mio. Guida semiseria ai libretti d' opera" di Cristina Bobbio. Nel 1989 ecco Kalós, dapprima sotto la sigla Edizioni Ariete, attenta soprattutto all' ambito artistico con una serie di cataloghi, saggi, riviste molto accurate. Gestita con oculatezza da Nicolò Sieli, la casa editrice fa perno sull' omonima libreria di via XX settembre, vivace centro d' incontro e dibattito. Ormai consolidata e con caratteristiche ben definite a quindici anni dalla sua nascita, la casa editrice duepunti è un interessante "laboratorio di sperimentazioni" coordinato da tre giovani intellettuali- Andrea Carbone, Giuseppe Schifani e Andrea Speziale - con all' attivo un catalogo molto originale e mai provinciale che in più di una circostanza si è dimostrato in grado di confrontarsi con la concorrenza nazionale. Il nuovo millennio vede l' ingresso, ancora in una costellazione femminile, delle Edizioni di Passaggio, fondate nel 2005 da Joselita Ciaravino e attive soprattutto sul fronte delle arti e della fotografia; e, a partire dal 2008, dei raffinati libri concepiti da Gea Schirò per l' omonima sigla editoriale, cui si deve fra l' altro la proposta di un' autrice molto particolare come l' americana Rebecca Curtise la pubblicazione del "Diario senza date" di Roberto Andò, ovvero una linea molto attenta al qui e all' oltre, al lontano e al vicino, alle voci nuove e a quelle desuete. Ultima arrivata, Le Torri del Vento, che ha esordito proprio nel 2010 sotto il segno di un recupero della belle époque palermitana con una biografia di Ignazio Florio scritta da Daniele Anselmo, cui ha fatto seguito un interessante repechage di un negletto racconto di Federico De Roberto. Ma l' elenco, che ovviamente non intendeva né poteva essere esaustivo, dovrebbe includere tante altre realtà, come per esempio la gloriosa Perap capeggiata da Gaetano Testa, le Edizioni del Mirto di Francesca Mercadanteo la Fabio Orlando Editore, officina culturale dedita prevalentemente alla realizzazione di preziose guide naturalistiche con la consulenza del fotografo ed esperto ecologista Francesco Alaimo, già direttore della bella rivista "Kaléghé". E dovrebbe pure annettere sigle nate altrove, ma ormai saldamente insediate a Palermo, come l' editore Navarra, originario di Marsala (e d' altronde c' è tutta una dinamica editoria trapanese - si pensi a Coppola o a Di Girolamo - che fa riferimento alla piazza palermitana, non solo come mercato, ma anche come team di collaboratori occasionali o strutturali). Si è dunque dovuto omettere per ragioni pratiche qualche sigla, e certamente la rassegna è incorsa in qualche dimenticanza più o meno perdonabile. Ma questo elenco, nella sua sintetica approssimazione, è già sufficiente a fare comprendere la vastità e la varietà del fenomeno dell' editoria cittadina: una flotta composita, di diverso tonnellaggio e cabotaggio, la cui ammiraglia è la Sellerio, ma che conta molti bei vascelli e agili feluche e magari qualche peschereccio in cerca di una pesca miracolosa. È rassicurante, una volta tanto, dire che si tratta di un paesaggio magmatico ma ricco di potenzialità, estremamente composito e peraltro in continua espansione e trasformazione grazie a iniziative coraggiose che lasciano ben sperare sul futuro, almeno, di una certa Palermo che non vuole rassegnarsi al silenzio e all' inerzia.
MARCELLO BENFANTE

lunedì 6 settembre 2010

“Il maestro del sonno eterno” (La Zisa), recensione di Davide Romano




Quando si pensa alle mummie si pensa immediatamente alla storia egiziana. In realtà l'arte della mummificazione e quella dell'imbalsamazione sono ancora oggi oggetto di ricerca e studio. La speranza di contrastare la morte impedendo al tempo di deteriorare la forma e l'aspetto dei corpi dei defunti, è stato e continua a essere il sogno di molti ricercatori. Un sogno che Alfredo Salafia, imbalsamatore palermitano del secolo scorso, non solo ha sognato ma ha fatto divenire realtà, con la perfezione e la resistenza delle sue mummie. Il simbolo del lavoro di Salafia è rappresentato da Rosalia Lombardo, una bimba morta ad appena due anni, il cui corpo ancora oggi è perfettamente conservato nelle catacombe di Palermo, di cui la piccola mummia è l'emblema. L'eccellente conservazione della piccola, dopo quasi un secolo dalla sua morte, la fa ritenere una delle più belle mummie del mondo. Ma cosa si cela dietro a tanta perfezione, qual'è il segreto che Salafia ha cercato di portare con sé dopo la sua morte? Dario Piombino-Mascali, attraverso il suo saggio “Il maestro del sonno eterno”, cerca di rispondere a queste domande, raccontando la storia di Salafia e delle sue mummie eccellenti. Il saggio è frutto di accurate ricerche, che hanno portato l'autore a ricostruire la vita del noto imbalsamatore e di scoprire il segreto del suo “Fluido della perfezione”. L'arte di Salafia era conosciuta e apprezzata ancor prima del lavoro svolto su Rosalia Lombardo, infatti tra i suoi lavori l'imbalsamatore poteva vantare di aver operato su corpi di personaggi illustri, quali Francesco Crispi e Giuseppe Pitrè. La fama è tale in patria che Salafia esporta il suo metodo in America, con ottimi risultati. Fino a quel momento l'imbalsamazione prevedeva l'uso di sostanze chimiche pericolose, o di più interventi da effettuare sui cadaveri. Il metodo di Salafia si contrappone al passato per la sua semplicità, un'iniezione intravascolare che elimina dal corpo del defunto i segni della morte. Ma Salafia non è un medico, non ha una preparazione accademica, è più un artista che mischia chimica e creatività. Il suo lavoro non consiste solo nel permettere la conservazione dei corpi, ma soprattutto nel renderli belli. Un riscatto per i familiari, poter guardare la morte in faccia e trovare un volto sereno, addormentato, un ricordo gentile. E proprio “Consuetudine gentile” si chiama l'opera autobiografica di Salafia, un titolo che sottolinea l'importanza del suo lavoro. L'autore rivela anche l'ingrediente che ha reso il suo fluido così efficace, protagonista di un lungo dibattito ancora attualissimo. Questo libro svela una leggenda che ha affascinato tanti ricercatori e turisti, tuttavia oltre la leggenda resta sempre la figura di Rosalia Lombardo, la “bella addormentata” delle catacombe di Palermo.

Dario Piombino-Mascali, “Il maestro del sonno eterno”, La Zisa Editore (www.lazisa.it), 128 pp, euro 12,00

Le Edizioni La Zisa aderiscono ad "Addiopizzo" e a "Libera" di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati "pizzo free".

mercoledì 1 settembre 2010

“UN MISCELINO PER ROSA”, EDIZIONI LA ZISA



di Giovan battista Scaduto
(Cronache Parlamentari Siciliane, Anno IX - n. 12 - 30 giugno 2010
Quindicinale dell’Assemblea Regionale Siciliana)

La cronaca di una vita in un periodo di sconforto recato dal distacco dalla moglie.

Sergio Cristoforo Infuso nasce a Sommatino il 24 luglio del 1954, ma non è un errore definirlo un “palermitano”. La sua energia esprime giorno dopo giorno l’impegno di chi ha deciso che cambiare
in positivo la società in cui si vive è possibile. Il romanzo “Un miscelino per Rosa” è passione, analisi e storia di gioie ed amarezze. Si racconta un mondo che dona emozioni ed a volte reca dolori, ma che riesce sempre a fornire sorprese atte ad entusiasmare,una continua sfida a migliorarsi anche nelle avversità. Miscelino è un “neologismo” coniato direttamente da Rosa, moglie di Sergio, prematuramente scomparsa ed in grado di trovare conforto nei momenti di dolore causati dalla malattia con un massaggio alla spalla, amorevolmente compiuto dai suoi cari, in vicinanza del polmone destro.
In questo passaggio si riassume la forza espressiva che caratterizza lo scritto d’Infuso, “Un miscelino per Rosa”, divenuto fortuitamente libro, è cronaca di una vita in un periodo di sconforto recato dal distacco dalla moglie con cui Sergio ha costruito una storia d’amore intrisa di valori e dal gusto forte di sentimenti veri, oggi perduti. Tutto deve trasformarsi in ricordo della moglie, della sua sensibilità, del suo essere sempre presente e amorevole con i familiari. Sergio, “autore per caso”, scopre una memoria storica che riteneva di non possedere e che di fatto servirà a delineare un’appassionante cronaca di vicende legate ad un grande impegno sociale che rimarrà indelebile reminiscenza di Rosa in particolare per i suoi adorati figli.
Gli scritti, avendo lo scopo di riaprire archivi ormai riposti, avranno la capacità di sanare la tristezza di Sergio Infuso, crollato nella disperazione per la morte della compagna di sempre, ma ora fiero di ricostruire eventi e di materializzare immagini da mostrare soprattutto ai propri figli, abituati ad essere gentilmente vezzeggiati dalla mamma e di colpo divenuti adulti e capaci di superare con maturità gli eventi della vita.
Il libro viene redatto in un anno ed è un esempio mirabile di scorrevolezza, cui si aggregano vicende che riescono a catturare il lettore con un’abilità che parrebbe quella di un navigato scrittore dalla cospicua produzione. Sergio, dipendente dell’Assemblea regionale siciliana, è attivo in ambito politico e di volontariato, ma è soprattutto per tanti un caro amico, fonte di saggezza e signorilità.

martedì 31 agosto 2010

Affaritaliani.it - L'altra città/ In un libro di David Romano, storie di quotidiana emarginazione a Palermo. Che i giornali non raccontano...

Affaritaliani.it - L'altra città/ In un libro di David Romano, storie di quotidiana emarginazione a Palermo. Che i giornali non raccontano...

Omaggio a Alda Merini

La poetessa Alda Merini al "Senso della vita"

“LA GRANDE CRISI DEL ’29 (LA ZISA), recensione di Davide Romano




“La grande crisi del ‘29” ripropone una pagina complessa, e quanto mai attuale, della storia americana. Il 1929 e la crisi di Wall Street non rappresentano solo una macchia luttuosa della storia contemporanea, ma anche la prima vera incrinatura di un sistema considerato perfetto. Spesso i libri che parlano di storia e si danno aria di “saggi” finiscono per diventare noiosi. Sicuramente questo non è il caso del libro di Ugo Pettenghi, che con uno stile semplice e discorsivo porta il lettore a immedesimarsi con i piccoli risparmiatori. Pettenghi, cronista di altri tempi, non spiega ma racconta ,attraverso gli occhi abbagliati di tanti americani, la fine di un sogno chiamato capitalismo. Durante il mandato di Hoover la borsa, gonfiata da titoli fantasma e da falsi bilanci, tracolla il 24 ottobre 1929, lasciando il “paese dei miracoli” con milioni di disoccupati, migliaia di aziende chiuse e tanti risparmiatori sul lastrico. L’occhio del cronista focalizza la sua attenzione sui cittadini americani, su come fossero diventati patiti di Wall Street e del suo gioco, unico svago legale al tempo, visto il proibizionismo. Di come fossero pronti a vendersi per le strade, dopo aver scoperto che le proprie azioni erano diventate pezzi di carta senza alcun valore. Ma come ricorda Pettenghi “… quasi sempre lo schiavo bianco restava senza compratore…”. Il disastro del 1929 non si limita all’America, ma trascina dietro di sé un’Europa distratta e piena di debiti, che porterà al trionfo Hitler e Mussolini. Non manca una critica di sottofondo alla fine del libro, che Pettenghi dedica alle vicende di Sam Insull, unica testa considerata responsabile del crollo del 1929: un uomo inseguito per anni dalle forze dell’ordine americane, con due milioni di nemici lasciati in patria. Tuttavia questo libricino lascia l’amaro in bocca per un altro motivo, e cioè che leggendolo sembra di ascoltare un telegiornale recente. Nella speranza che l’uomo faccia la storia, ma che la memoria faccia l’uomo.

Le Edizioni La Zisa aderiscono ad "Addiopizzo" e a "Libera" di don Ciotti e tutti i volumi pubblicati sono certificati "pizzo free".

Ugo Pettenghi, “La grande crisi del ’29. Una storia che si ripete”, Prefazione di Nino Amadore, Con una nota di Michelangelo Bellinetti, Edizioni La Zisa, pp. 80, euro 9,90

Editoria, l'Italia a fiera Pechino. Ice: vendita diritti in crescita


Roma, 30 AGO (Il Velino) - L'Ice ha allestito in collaborazione con l'Associazione italiana editori (Aie) uno stand collettivo alla Beijing International Book Fair, giunta alla sua XVII edizione ospitata presso il China International Exhibition Center di Pechino, che apre i battenti oggi e che proseguira' fino al prossimo 3 settembre. "Negli ultimi cinque anni siamo sempre stati presenti", ha affermato il presidente dell'Ice Umberto Vattani. "Consideriamo molto importante l'azione che l'Aie svolge ed esiste una eccellente collaborazione tra l'Ice e l'associazione presieduta da Marco Polillo. Questa presenza italiana continua e' importante" ha proseguito Vattani "perche' l'export di diritti e' in costante crescita e riguarda principalmente narrativa, libri d'arte, saggistica, libri illustrati e per bambini. Come emerge dall'indagine Doxa commissionata dall'Ice, le nostre vendite di diritti verso la Cina sono passate da 87 titoli nel 2006 a 142 nel 2007. Questo", ha concluso Vattani "dimostra come l'Italia possegga settori di assoluta eccellenza che abbiamo saputo proporre con successo non tanto e non solo sui tradizionali mercati europei, ma anche su quelli nuovi dell'Asia e dell'Est Europa". Alla collettiva italiana parteciperanno undici editori le cui opere piu' significative saranno esposte presso il padiglione italiano, che ospitera', tra l'altro, la mostra "Copy in Italy: autori italiani nel mondo 1945-2009", promossa dall'Istituto ed organizzata dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori che nasce dall'idea di proporre ai visitatori il libro italiano nel mondo, sia nella traduzione visiva che illustra le diverse copertine di uno stesso libro "in traduzione", sia dal punto di vista grafico, in una galleria di immagini, in cui le copertine rappresentano vere e proprie collezioni iconografiche. La Cina rappresenta, anche per il commercio dei diritti d'autore, un mercato ad elevato potenziale.
L'apertura verso la cultura straniera, in qualsiasi forma questa si esprima, e' sempre maggiore e rende il Paese terreno fertile affinche' la cultura italiana possa svilupparsi e prosperare. A riprova di questo desiderio di occidente i dati sull'affluenza di visitatori al Padiglione Italia dell'Expo di Shanghai, che oggi e' ancora il piu' visitato, dopo quello cinese. L'occasione offerta dall'International Book Fair consente di proporre, anche mediante la mostra Copy in Italy: autori italiani nel mondo 1945-2009, il meglio della produzione editoriale italiana; che si tratti di letteratura per infanzia, prosa d'autore, pubblicazioni d'arte, architettura e design o mediante la galleria di immagini di copertine del medesimo libro in traduzione proposte dalla mostra, il marchio italiano rappresenta sinonimo di qualita' e avanguardia. Il mercato cinese ha accolto con grande interesse, non solo i classici, ma anche autori contemporanei di successo internazionale come Umberto Eco, Tiziano Scarpa, Roberto Saviano e Susanna Tamaro.L'industria editoriale cinese e' cresciuta, nel quadriennio 2005-2009, ad un tasso medio annuo dell'8,8 per cento, occupando oggi il primo posto nel mondo per valore di produzione, con un giro di affari, solo nel 2009, pari a 14,8 miliardi di euro. Lo scorso anno e' stato significativo anche per la transizione verso l'editoria digitale con cifre che si assestano oltre i 9 milioni di euro, interessando quasi il 40 per cento dell'intera industria editoriale. Secondo i dati Gapp (General Administration of Press and Publication of China) per la prima volta dal 2004 sono diminuite le vendite di libri (-3 per cento), fenomeno questo riconducibile proprio al forte sviluppo dell'editoria digitale: 302mila i libri pubblicati nel 2009 di cui 168mila le novita' e 133mila le ristampe. Particolarmente interessanti i dati relativi all'editoria straniera confortati dall'andamento delle importazioni di copyright. Dopo il picco di 15.776 titoli raggiunto nel 2008 (per un valore pari a 81,55 milioni di dollari), l'import di copyright e' cresciuto nel 2009, ma meno velocemente. Circa 13mila i titoli importati dalla Cina nel 2009 e 3.100 quelli esportati. Il Paese importa soprattutto da Taiwan che figura al primo posto, seguita da Usa, Regno Unito, Giappone, Corea, Germania e Francia.
(red/dam) 302012 AGO 10 NNNN

“La virtuosa economia dell’Islam” di Davide Romano


L’economia di numerosi paesi del Medio Oriente e del Nord Africa è influenzata dai precetti del Corano. Tali precetti, a differenza di quanto avviene in Occidente per i principi di ispirazione cristiana, non costituiscono solamente un animus operandi di imprenditori e consumatori, ma influenzano in modo decisivo l’attività economica di produzione e di consumo.
Questo avviene soprattutto perché la legge coranica spesso si confonde o si traspone in modo completo nella legge dello Stato. Spesso i musulmani accusano i paesi occidentali di non comprendere le loro tradizioni e le motivazioni sottostanti certe pratiche economiche. Gli europei si astengono dall’investire e dall’intrattenere relazioni economiche con i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa perché li considerano economie poco trasparenti, nebulose e rischiose. È pertanto necessario colmare, anche se solo parzialmente, il difetto di conoscenza delle logiche di base del funzionamento dell’economia reale e finanziaria dei paesi musulmani.
La parte centrale del secolo scorso è stata caratterizzata dall’emergere di una letteratura sull’economia islamica. Lo scopo dichiarato era quello di identificare e promuovere un ordine economico conforme alle scritture coraniche. Gli economisti islamici criticano l’idea di un’applicazione universale del capitalismo o del socialismo, sostenendo che quando queste teorie hanno trovato applicazione nei paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Medio Oriente si sono rivelate fallimentari perché nate in un ambiente culturale lontano dall’Islam.
L’economia islamica nasce per fini culturali e politici. Per questa ragione essa non deve sottostare a regole scientifiche di coerenza, precisione e realismo. Al contrario, il pensiero dominante nel mondo occidentale è che l’economia, in quanto scienza anche se sociale, dovrebbe non tanto dare giudizi di valore, ma fornire spiegazioni circa il funzionamento del sistema economico. L’economia islamica, invece, parte da giudizi di valore ben precisi e poi tenta di sviluppare un sistema logico coerente con questi principi e di dare una spiegazione economica alle regole della Sharia. L’economia islamica non nasce per correggere fenomeni di squilibrio, ingiustizia o ineguaglianza, quanto piuttosto per difendere la civiltà islamica dall’influenza della cultura occidentale.
Nonostante questa critica sulla mancanza di presupposti scientifici, gli economisti occidentali si sono cimentati, da qualche decennio a questa parte, in un’opera di studio e di valutazione sul piano squisitamente economico di alcuni istituti e regole proprie dell’economia islamica, come la zakat (tassa islamica), la proibizione della riba (interesse), le scelte di consumo.
I principi di economia islamica sono stati elaborati dagli economisti islamici sulla base dei precetti della Sharia, la legge santa che trae spunto dai due testi sacri, il Corano e la Sunna.
La Sharia, non essendo un trattato di economia, quando enuncia principi economici lo fa in modo incompleto, prestandosi a numerose interpretazioni, che hanno portato gli islamisti a varie dispute circa la loro corretta esegesi. Inoltre, la Sharia non è in vigore in tutti i paesi musulmani: alcuni di essi, infatti, hanno un sistema giuridico di tipo occidentale, codificato in norme dettate dallo Stato e non dai consigli religiosi; tuttavia, anche in questi paesi la legge civile e l’operato dei giudici risente in modo determinante dell’influenza della tradizione islamica, che rende leciti alcuni comportamenti e ne condanna altri. Per queste ragioni quanto si dirà in seguito non è da ritenersi unanimemente condiviso dagli economisti islamici, ma rappresenta il nucleo essenziale rispetto al quale esiste un livello di consenso accettabile.
Per gli islamici il problema alla base di tutta la teoria economica occidentale, sia essa liberista o marxista, ovvero la scarsità delle risorse rispetto ai bisogni della popolazione, non è un problema o meglio è un problema dell’homo oeconomicus occidentale, ma non dell’homo islamicus. Secondo il Corano, Dio ha creato ogni cosa nella giusta quantità per soddisfare i bisogni umani, quindi la scarsità è frutto del comportamento umano e dell’avarizia da accumulazione. Per questa ragione, l’homo islamicus attraverso la rinuncia e il comportamento altruistico (contrapposto al comportamento egoistico dell’homo oeconomicus) riesce ad ovviare al problema della scarsità delle risorse.
Tra gli economisti islamici esiste un accordo abbastanza ampio circa i principi fondamentali dai quali un sistema economico islamico non può prescindere. I tre capisaldi dell’economia islamica sono: il filtro morale attraverso il quale ogni decisione economica deve passare; la proibizione dell’interesse (riba) nelle operazioni finanziarie; la zakat, ovvero un sistema di tassazione infruttifera con finalità di tipo islamico.
I principi coranici sono molto pervasivi in campo economico, anche se spesso si limitano ad enunciare indicazioni abbastanza generali sui comportamenti da tenere e su quelli da evitare. Tali principi influenzano aspetti importanti della vita economica di una comunità, dalla libertà di iniziativa economica alle scelte di investimento, dalle decisioni di consumo al ruolo economico della donna nella società. Gli agenti economici devono operare all’insegna delle regole disegnate secondo le fonti tradizionali dell’Islam, regole che impongono il bene e condannano il male, che tendono ad evitare sprechi, eccessi che generano esternalità negative; regole che promuovono generosità, lavoro duro, l’applicazione di prezzi equi. Gli agenti che popolano un’economia islamica godono di condizioni di libertà almeno in teoria molto ampie, che devono passare però attraverso un filtro islamico. Per gli economisti islamici le libertà economiche sono troppo ampie nel sistema capitalistico e troppo ristrette in quello socialista: la terza via di equilibrio e di equità è rappresentata per l’appunto dall’economia islamica.
Secondo il Corano tutto ciò che esiste sulla terra appartierne a Dio. Tuttavia la Sharia non nega la proprietà privata, ma la limita nel senso che l’uso che se ne può fare non deve essere contrario ai principi coranici. Spesso queste limitazioni alla proprietà privata sono molto pervasive, provocando una notevole contrazione della sfera d’autonomia. Il Corano garantisce libertà di stipulare contratti per il trasferimento di diritti e impone che si mantenga fede agli impegni presi. I contratti devono essere scritti e con testimoni. Ogni contratto che non è espressamente proibito dalla Sharia è valido. L’attribuzione di diritti di proprietà comporta fenomeni di disuguaglianza tra gli uomini. L’Islam considera accettabile una disuguaglianza moderata, ma condanna le disparità estreme nel reddito e nella ricchezza, l’esistenza delle quali autorizza un intervento riequilibratore della comunità, così come è legittimo l’intervento della comunità nel caso di non uso dei beni o di uso contrario ai principi islamici. La maggior parte dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa è caratterizzata da un intervento pervasivo dello Stato nella redistribuzione della ricchezza, e questo è particolarmente vero per quei paesi come l’Iran, retti dalla Sharia.
Secondo la Sharia, i musulmani maschi sono liberi di produrre e commerciare per il proprio personale profitto, ma nell’esercizio della loro libertà essi hanno la responsabilità di non nuocere agli altri: devono pagare salari equi, applicare prezzi ragionevoli e accontentarsi di un profitto normale, che non sfoci in situazioni di monopolio e di controllo incondizionato del mercato.
Un elemento fondante dell’economia islamica è che la cooperazione tende a rimpiazzare l’idea di competizione alla base dell’economia di mercato occidentale. Più che competere, le imprese costituiscono partnership basate sul principio della condivisione sia dei profitti sia delle perdite di una iniziativa economica. Almeno in linea teorica, l’economia musulmana non è chiusa verso il mercato, ammette l’iniziativa economica privata, anche se pone limiti che creano ampi spazi di intervento pubblico. Se i maschi godono di una certa libertà, diverso è il discorso per la popolazione femminile. Secondo la Sharia, la donna non deve avere un ruolo economico; non può partecipare alla vita produttiva, non ha libertà di movimento, non ha libertà di iniziativa. Queste prescrizioni, ad eccezione di alcuni paesi che stanno cercando di riscoprire un ruolo economico per la donna, hanno finito per rendere nullo il contributo delle donne alla crescita economica.
La Sharia proibisce tutti i contratti di vendita aleatori non legati allo svolgimento di un’attività produttiva. Inoltre un contratto deve produrre un’utilità reale alla società altrimenti non è lecito. Ogni tentativo di aumentare artificialmente i prezzi è condannato dal Corano.
Gli economisti islamici sono abbastanza concordi nel sostenere che la Sharia ammette il principio della determinazione dei prezzi attraverso il mercato, dall’incontro della domanda e dell’offerta. Contrario alla Sharia, invece, è che i prezzi vengano definiti dall’acquirente o dal venditore attraverso l’esercizio di un potere di mercato. Il Corano proibisce il monopolio così come la najash, cioè la pratica di offrire per una merce un prezzo più alto di quello di mercato al solo fine di danneggiare gli altri acquirenti realmente interessati all’acquisto del bene. Come si vede, quindi, alcuni comportamenti anti-concorrenziali oggi contemplati dalle leggi antitrust dei paesi occidentali vengono proibiti anche dal testo sacro musulmano.
L’Islam propugna un sistema molto simile a quello di mercato. Tuttavia esiste un’importante possibilità di intervento per lo Stato che non è giustificata da ragioni di tipo economico o politico ma da ragioni di tipo religioso: l’uso parsimonioso delle risorse evitando il loro spreco, l’eliminazione della povertà, il divieto della riba attraverso la costituzione di banche islamiche pubbliche, il rispetto insomma dei precetti islamici.
L’Islam prevede una moderazione dei costumi: l’eccessivo consumo di beni (definito israf dalla Sharia) sia di uso corrente sia di confort o di lusso, è proibito. La proibizione, secondo il Corano, dovrebbe aiutare a risolvere il problema della scarsità delle risorse e ad eliminare le pressioni inflattive da domanda. I benefici effetti previsti dagli economisti islamici non sempre si realizzano nella realtà. Spesso la moderazione dei consumi nei paesi islamici non è determinata dai precetti islamici, quanto piuttosto dai livelli di reddito pro capite molto bassi, che permettono a stento di coprire i consumi primari. Inoltre, in quei paesi dove il livello di reddito pro capite è più elevato, la produzione di beni di lusso è limitata dalle imposizioni della Sharia e questi beni devono essere importati dai paesi occidentali. Con la conseguenza che gli introiti dell’esportazione del petrolio, anziché favorire la nascita di un’industria locale, hanno dato luogo solamente ad una dipendenza dall’importazione di beni e servizi dalle economie sviluppate.
L’economia classica definisce la funzione di consumo in relazione al reddito e la funzione di utilità in relazione ai beni e servizi consumati che danno utilità immediata. In questo modo si trascura una componente molto importante per gli economisti islamici, che è la spesa “per amore di Dio”, cioè la spesa del proprio reddito che mira a soddisfare i bisogni delle persone meno abbienti. L’obsolescenza dei prodotti, per moda o tecnologia, può portare secondo la visione islamica ad uno spreco di risorse, proibito dalla Sharia, e quindi deve essere contrastata e ridotta al minimo. I prezzi dei beni devono essere ad un livello ragionevole che permetta di soddisfare la domanda di beni e servizi di base. In caso di scostamento del mercato da questi principi, la comunità islamica è autorizzata ad intervenire per correggere le distorsioni.
La Sharia prevede che non tutti i beni possono essere consumati; in particolare i beni sono distinti in tre categorie: halal (beni permessi, consumabili con moderazione); haram (beni come alcol, carne di maiale, gioco d’azzardo il cui consumo è proibito) e makrough (beni che possono essere consumati a certe condizioni, ad esempio in certe ricorrenze particolari). Da questo si evince che in una economia islamica si tendono a valorizzare i beni di prima necessità che devono essere disponibili a basso prezzo e in quantità sufficienti per tutti; viene invece scoraggiata la produzione e il consumo di beni di lusso, anche attraverso elevate imposte su produzione e importazione. I beni prodotti devono essere di durata elevata, cosicché non devono essere rimpiazzati di frequente. Ciò può produrre un atteggiamento ostile verso la tecnologia e il progresso.
Il Corano proibisce la riba, ovvero il pagamento di interessi sui fondi prestati: il denaro, in se stesso, non può essere fonte di guadagno, anche perché se lo fosse si rafforzerebbe la tendenza all’accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi. Il divieto della riba non vuol dire che sui fondi mutuati non venga pagata alcuna remunerazione. Alcuni economisti islamici degli anni Cinquanta del secolo scorso, consci dei problemi che questa prescrizione comporta, hanno sostenuto che il divieto fosse diretto a bloccare esclusivamente le pratiche finanziarie socialmente dannose come appunto l’usura, ma non escludesse completamente il pagamento degli interessi. Tuttavia questa posizione è rimasta minoritaria, e negli ultimi cinquanta anni la condivisione del divieto totale degli interessi è stata considerata conditio sine qua non per essere considerato un economista islamico.
Secondo la Sharia, l’obiettivo di una istituzione finanziaria islamica non è solo la realizzazione di profitti, considerata lecita e auspicabile, ma anche il suo contributo al bene della collettività, facendo ad esempio prestiti ai poveri e ai bisognosi senza applicare nessun ricarico.
Il problema del divieto di pagamento di interessi si iniziò a presentare sin dal VI secolo d.C. quando l’Islam divenne il principio organizzativo dominante in tutto l’Oriente. Tuttavia, dalla comparsa dell’Islam fino alla fine degli anni Cinquanta, l’economia di quest’area è stata sempre molto arretrata, prevalentemente agraria e rurale e quindi l’esigenza di servizi finanziari era minima o addirittura assente e i rapporti commerciali con aree del mondo non islamico erano molto limitati.
Le cose cambiarono a partire dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso: molti paesi islamici scoprirono importanti riserve di petrolio che esportarono verso i paesi occidentali, i quali però avevano un’economia interest-based. In quegli anni affluirono ai paesi islamici notevoli quantità di denaro, che resero questi paesi i più importanti investitori-risparmiatori del mondo.
L’afflusso di capitali, non accompagnato da una crescita parallela dei consumi, portò ad una situazione di eccesso di offerta di liquidità, che pose il problema di come investire questi fondi. La scelta naturale sarebbe stata quella di prestarli ai paesi occidentali ad un tasso di interesse fisso ma questo non era permesso dalla Sharia. Per questa ragione nacquero le prime banche islamiche che prestavano senza interesse, rispettando il divieto della riba.
Ai giorni nostri esistono istituzioni finanziarie islamiche o loro succursali in più di 60 paesi. Secondo alcune stime le banche e le istituzioni islamiche operanti nel mondo erano circa 170 nel 1998 di cui quasi la metà operanti nell’area dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, con un portafoglio prestiti di circa 170 miliardi di dollari e un numero di dipendenti di quasi 270 mila unità.
Il divieto della riba ha procurato seri problemi alle istituzioni finanziarie, che in alcuni casi hanno cercato di aggirarlo attraverso pratiche poco ortodosse. Sovente il tasso di interesse, seppur formalmente abolito, è ricomparso ex post per effetto di rendimenti delle attività finanziarie islamiche strettamente correlati con i rendimenti di mercato. Queste pratiche elusive sono aspramente criticate dagli economisti islamici, che sostengono che il rispetto del divieto della riba non deve essere solo formale ma anche sostanziale.
La proibizione della riba si fonda sul credo islamico secondo il quale non ci può essere guadagno senza l’assunzione di rischi: il profitto, in una visione islamica, è legittimato solo dal rischio. La nozione di interesse come remunerazione per il differimento del consumo è quindi rigettata: può essere remunerato solo lo sforzo fisico e intellettuale delle persone e non la mera attesa. Il risparmio quindi non è una scelta di consumo intertemporale ma una scelta fatta per far fronte a necessità future e quindi non merita il pagamento di un prezzo, ovvero l’interesse.
Secondo la Sharia la moneta è solo un mezzo di scambio e non ha valore in sé: l’unico scopo per cui si deterrebbe moneta è quello transattivo. Sul piano dell’efficienza, la proibizione del pagamento di un tasso di interesse crea numerosi problemi riguardo alla allocazione del rischio e alla sua gestione. Negare tout court la possibilità di ottenere una remunerazione fissa in forma di interessi non tiene conto della possibilità che diversi operatori hanno di sopportare differenti livelli di rischio: una banca riesce meglio a diversificare il rischio nel prestare i fondi rispetto ad un semplice risparmiatore. Inoltre sottostante il divieto di un interesse fisso c’è una incomprensione di ciò che veramente costituisce un rischio finanziario, poiché non è esatto sostenere che ricevere un tasso di interesse fisso equivale a non sopportare alcun rischio, poiché sussiste sempre l’eventualità del default del debitore.
La zakat rappresenta, assieme al filtro islamico e alla proibizione della riba, il terzo pilastro dell’economia islamica. Essa è una tassa generalizzata sulla ricchezza, con un’aliquota del 2,5 per cento, che grava sulla proprietà di beni non sfruttati per fini produttivi. Letteralmente zakat significa “purificazione” e il suo pagamento viene considerato dagli islamisti essenziale perché purifica la ricchezza dalla sua malefica tendenza ad accumularsi nelle mani di pochi. La Sharia riconduce l’istituzione di questa tassa al credo fondamentale che tutto appartiene a Dio, e quindi parte dei beni posseduti va devoluta alla comunità per far fronte alle esigenze di tutti i membri.
La zakat è essenzialmente un sistema di redistribuzione della ricchezza che dovrebbe arginare i fenomeni di povertà. Da un punto di vista economico, l’applicazione di una tassa su una base imponibile costituita da una ricchezza non produttiva dovrebbe avere effetti positivi, con un aumento dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse e un disincentivo a lasciare improduttivi i propri beni per evitare il pagamento della tassa.
Secondo la legge islamica, gli introiti provenienti dal prelievo della zakat devono essere utilizzati per far fronte alle esigenze dell’intera comunità. Anche sulla zakat, come sugli altri istituti di economia islamica, non c’è accordo unanime tra gli islamici. Alcuni economisti sostengono che la zakat può essere un’arma molto potente contro la povertà, molto di più degli strumenti utilizzati nei paesi occidentali, grazie all’ampio gettito prodotto da una tassa universale religiosa, rispetto alla quale i comportamenti evasivi sarebbero ridotti al minimo; secondo altri, il pagamento avverrebbe spontaneamente anche in assenza di coercizione. Per un terzo gruppo di economisti islamici esiste un altro canale della loro economia che può contribuire alla riduzione della povertà, e questo canale è il micro-credito.
I principi di finanza islamica – risk sharing, solidarietà, giustizia economica e sociale – hanno molto in comune col micro-credito, che sarebbe uno sbocco naturale dell’economia islamica. Inoltre, il micro-credito troverebbe terreno fertile nell’ambito della finanza islamica in quanto alcuni problemi di micro-credito – elevati costi di transazione e comportamenti opportunistici – potrebbero essere ovviati o per lo meno attenuati grazie all’islamic finance.
In molti paesi in via di sviluppo il micro-credito sta attirando sempre maggiore attenzione come politica di sviluppo, per raggiungere i poveri, innalzare il loro tenore di vita, creare lavoro, spingere la domanda di beni e servizi e in questo modo favorire la crescita economica e alleviare la povertà.
I micro-imprenditori non richiedono sussidi, ma accesso continuo e semplificato al credito e ai servizi finanziari. Mentre i sussidi mandano un segnale di disincentivo ad un utilizzo efficiente delle risorse, i prestiti costituiscono uno stimolo allo sfruttamento coerente dei fondi mutuati.

venerdì 27 agosto 2010

“Papagena, zuccherino mio. Guida semiseria ai libretti d’opera”, Edizioni La Zisa, di Cristina Bobbio


“Papagena, zuccherino mio. Guida semiseria ai libretti d’opera”, Edizioni La Zisa, di Cristina Bobbio
recensione di Alessandra Vitale

Il sottotitolo cita così: “Guida semiseria ai libretti d'opera”, ed è perfetto per descrivere in toto questa raccolta di libretti operistici finalmente spiegati.
Partendo dal punto che è difficoltoso conoscere un'opera lirica a fondo se non si assiste alla sua rappresentazione più volte, se non la si ascolta per anni e se non si accompagna a tutto ciò un discreto studio di essa, “Papagena, zuccherino mio” finalmente si domanda il perché di qualcuna delle astrusità poetiche adottate dai librettisti e lo fa in una piacevolissima quanto simpatica introduzione. Il libro disegna le trame di alcuni dei più noti melodrammi, con la semplicità dell'acqua. Da profani, i momenti dell'opera si intuiscono tramite l'incalzare della musica: forte esempio ne è il 'Rigoletto', melodramma in cui musica e libretto sono incollati come una figurina alla sua matrice. L'autrice non vuol essere irriverente verso i librettisti, né tanto meno verso le opere liriche, anzi: ne è così appassionata, innamorata, che ne è entrata dentro, ne ha scrutato ogni singola parola come chiunque sia stato portato a teatro fin dai primissimi anni di vita, o come fa chi è divenuto pazzo-della-lirica, curioso di scoprire il perché e il percome di quei fatti narrati e quasi incredibili, e bramante di scoprire il significato di quelle parole e frasi incomprensibili perché poetiche e non in prosa. Con vivace ironia e con puntualità, ne sottolinea le incongruenze: chi si sognerebbe oggi, si chiede l'autrice, di fare la fine di Radames e Aida? “Probabilmente fu il frutto della cieca giustizia degli uomini”. E che dire di Alfredo ne 'La Traviata'? “Il 'micio bello' che durante la relazione con Violetta non aveva sborsato un soldo e non aveva neanche capito di essere il mantenuto di una mantenuta!” Ritroviamo, quindi, una critica autentica alla psicologia dei personaggi, protagonisti dell'ammirato genere musicale qual è l'opera lirica. Ma parliamo, per esempio, di Otello che “...lo turbava il tenere tra le mani un oggetto prezioso e fragile (ovvero la moglie Desdemona), destinato prima o poi a rompersi” e aggiunge “Può darsi, addirittura, che desiderasse di vederlo rotto, per dimostrare a sé stesso di non esserne degno...”: buona intuizione. Niente peli sulla lingua nei confronti di alcuno: 'il corpaccione grasso e pieno d'alcool di Falstaff'; Azucena che tarda ad asciugarsi gli occhi dalle lacrime e, incapace di vedere, getta suo figlio nel fuoco al posto di un altro bambino; la notte che copre i volti delle persone per cui ci si può scambiare con chicchessia probabilmente restando muti per tutto il tempo... Le stranezze del melodramma sono anche queste, estremizzare i racconti fino a renderli inverosimili per dimostrare che è il fato e lui solo il vero direttore delle vite umane.

Papagena, zuccherino mio (Palermo, ed La Zisa, pp. 136, euro 9,90), è la seconda opera della scrittrice Cristina Bobbio. Genovese, ha già pubblicato il romanzo Tina e lo straniero, sei storie genovesi e ha collaborato alla rivista 'Urbs, Silva et Flumen' dell'Accademia Urbense di Ovada ad Alessandria.

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martedì 24 agosto 2010

Dario Pimbino mascali , Alfredo Salafia e Rosalia Lombardo

Arte&Cultura Francesco Galioto Analisi silloge di poesie Video Auditoriu...

Intervista a Cristina Bobbio autrice del libro Papagena zuccherino mio

MONTELEPRE,IL DOPOGUERRA E I MISTERI DI GIULIANO

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Intervista a Davide Romano, direttore editoriale della Casa Editrice La ...

Assaggi Letterari, tredicesima puntata. 13 Agosto 2010

lunedì 23 agosto 2010

POESIA: STA MORENDO? NO, SE I LIBRI IN VERSI FANNO FLOP TORNA DI MODA IL READING =



(Roma, Adnkronos) - Ma la poesia sta morendo? Stando ai sondaggi parrebbe di no. Se in pochi riescono a conquistarsi un editore e poi un pubblico di lettori, sono in tanti, un milione e mezzo, uomini e donne di ogni eta', gli italiani che si cimentano a scrivere odi e liriche. Il genere dunque, nonostante non riesca a imporsi come business cartaceo, vive. Anzi, vive alla grande, attraverso il recupero in chiave contemporanea della propria natura di oralita': grande successo infatti stanno riscuotendo i reading, veri e propri spettacoli in cui il poeta diventa anche attore, interpretando i propri componimenti.

Un ritorno al passato sulla scia dei cantori greci e latini che con accenti, trimetri e senari giambici, endecasillabi faleci e tutti gli altri versi della metrica classica, incubo degli studenti del liceo, davano alla poesia declamata in pubblico un'importanza fondamentale. O un ritorno ai cantori medievali delle Chansons De Geste e della famosa Chanson de Roland, che formalizzarono il naturale connubio fra poesia, ritmo, melodia e interpretazione.

O forse una riscoperta nostrana dei 'ragazzi' della beat generation e soprattutto di quel 'genio e sregolatezza' di Allen Ginsberg, che porto' in auge la pratica della lettura pubblica in cui lo spettatore aveva la possibilita' di ascoltare il componimento dalla voce dell'autore e vedere 'i versi' interpretati.
'Viviamo nell'epoca della moltitudine e della societa' di massa ma molti ancora non capiscono che siamo in un'era diversa, nella quale i criteri che potevano essere validi nell'Ottocento e nel primo Novecento ora sono tutti da rimettere in discussione. Inoltre spesso mi chiedo 'ma quanti lettori aveva Leopardi? Quanti Foscolo?'. La verita' e' che in fondo la poesia non e' mai stata un fenomeno di massa, anche perche' fino agli anni 60 la societa' di massa neanche esisteva!'. Lo dice all' ADNKRONOS Marco Palladini, romano, classe 1954, da piu' di vent'anni autore sperimentale, critico, drammaturgo, compositore e performer teatrale nonche' organizzatore, gia' nel 1998, del primo 'Rave di poesia' italiano, commentando lo stato in cui versano le vendite in campo 'poetico'.

In autunno il performer romano sara' al Nuovo Teatro del Pigneto ed interpretera' il 'Vangelo secondo Pier Paolo', testo che affronta le riflessioni di Pier Paolo Pasolini riguardanti la tematica religiosa. Palladini si esibira', inoltre, sempre in autunno, presso L'Istituto Latino Americano, in un recital sulle poesie di Rafael Alberti, nel corso di un convegno organizzato dall'Istituto per ricordare il poeta spagnolo.
'Oggi, poi, con l'avvento della rete -spiega ancora il poeta- tutto e' piu' accessibile a tutti, c'e' una grande attivita' e si sono sviluppate molte forme di biodiversita' culturale, sicuramente molto piu' 'vicine' alla realta' di quanto non siano i parametri di mercato e di visibilita' dei mass media'.

Palladini sostiene che sarebbe un altro il problema da sollevare, un problema riguardante le correlazioni fra poesia, cultura e societa': 'Come mai - si chiede - dopo la morte di Pasolini non c'e' piu' un poeta che sia stato un esempio di coscienza civile in questo paese? E non solo lui. Fino agli anni 70 esisteva una societa' culturale i cui esponenti venivano ascoltati'.

'E non e' che oggi questo tipo di intellettuale sia scomparso -incalza Palladini- penso ad Andrea Zanzotto che in molti componimenti solleva l'incresciosa questione del deturpamento del paesaggio, della tutela dell'ambiente e dell'ecologia. In questo do ragione a Sanguineti: la voce del poeta esiste ancora ma non e' che un rumore di fondo'.
Palladini e' stato uno dei pionieri, in Italia, delle letture pubbliche e la contaminazione fra poesia e musica. Nel 2004 e' stato pubblicato 'Trans Kerouak Road', progetto composto da testi, remix verbali e arrangiamenti musicali che spaziano dal funky alla techno e voce recitante.

'Quello della scoperta del reading da parte del pubblico – dichiara - e' un fenomeno antropologico-culturale interessante, trattato in maniera particolareggiata anche da Gabriele Frasca.
'L'homo legens' e' in via di estinzione. La societa' e' ormai basata sul suono e sulla visione e in questo contesto, dove l'immagine e il suono sono egemoni, il poeta per ottenere un minimo di ascolto si deve fare anche attore. Se in Italia ci fossero gli investimenti adeguati, con i reading si potrebbero fare delle cose di grande risonanza, cosi' come avviene da anni nei paesi anglosassoni'.

'In realta' ancor prima della Beat Generation, infatti – sottolinea - le serate di poesia letta ad alta voce erano addirittura a pagamento. Dagli anni 60 e 70 sono cambiati solo gli strumenti ma la 'sostanza' del reading e' rimasta invariata. E se agli inizi i versi subivano l'influsso e la contaminazione della musica jazz, in seguito e' stato il rock a subentrare. Sono interessanti, oltre ai reading, gli Slam Poetry, vere e proprie gare di poesia, piu' 'popolari' ma ben organizzate. Riguardo a questo e' ancora necessario nominare l'Inghilterra e gli Stati Uniti, in cui ci sono poeti specializzati in queste sfide, che fanno vere e proprie tournée ... e che hanno addirittura l'agente personale!'.
In Italia, oltre a Palladini, i poeti che si cimentano piu' volentieri nella pratica del reading sono Lello Voce, Rosaria Lo Russo e Gabriele Frasca. 'L'unico problema che impedisce al reading di 'sfondare' davvero - conclude l'autore - e' causato da un certo tipo di mentalita', una sorta di abitudine diffusa nel paese di pensare per camere stagne, di non ammettere contaminazioni o zone grige. Se si aprissero degli spiragli in questo senso, la poesia riuscirebbe davvero e definitivamente a 'saltar fuori dalla pagina'. E a sopravvivere piu' che dignitosamente.'

'Sono convinto che con la nascita dei nuovi media gli altri non moriranno. Credo, dunque, che anche la poesia continuera' a vivere', aggiunge un altro poeta, performer e scrittore italiano, Lello Voce.
Napoletano, classe 1957, primo ad aver introdotto la pratica del reading in Italia, e' stato uno degli esponenti di punta del Gruppo 93 e ha portato nel Belpaese il Poetry Slam. Vive e lavora a Treviso ed ha anche organizzato e condotto un Poetry Slam internazionale. E', inoltre, fondatore di Absolute Poetry, un festival che si svolge ogni anno a Monfalcone.

'Tuttavia, se la poesia nella sua veste cartacea continuera' a vivere - prosegue Voce - verra' sempre apprezzata da pochi appassionati o dagli 'addetti ai lavori', dagli esperti. Credo che non diventera' mai un genere letterario 'popolare'. Quello di cui sono sicuro – puntualizza - e' che il suo futuro consistera' proprio nella riscoperta delle sue radici orali e profondamente fondate sul 'melos', la melodia e il ritmo. Per queste ragioni non mi stupisce che non ci sia gara, in termini di vendite, fra poesia e romanzo. L'opera in versi non puo' essere letta come si legge uno scritto in prosa: anche quando e' scritta, la poesia, per essere davvero compresa, deve essere recitata a mente. Ecco perche' credo davvero - afferma Voce - che il reading potrebbe riabilitare il genere e renderlo noto anche al grande pubblico'.
'Queste esibizioni tuttavia -precisa Voce- non fanno di noi performer dei cantautori. Mi dispiace deludere Roberto Vecchioni – ride - ma i veri 'trovatori' del 2010 siamo noi. I media che utilizziamo sono completamente diversi, nonostante anche la canzone d'autore sia una vera e propria forma d'arte in certi casi'.

'Penso – aggiunge - a Fabrizio De Andre' o Ivano Fossati... i performer - spiega il poeta - si esibiscono declamando e interpretando componimenti loro e curano anche gli arrangiamenti delle musiche composte appositamente per i loro versi'.

Il 26 settembre Voce sara' a Catania per festeggiare i 20 anni della rivista culturale Lapis. 'Ci saranno anche artisti come Roy Paci e Carmen Consoli. Poi dirigero' Absolute Poetry a Monfalcone, dal 29 settembre al 2 ottobre. Infine portero' il reading anche in Peru''. Le informazioni sul festival di poesia che si terra' a Monfalcone si possono trovare su www.absolutepoetry.org.
Voce e' d'accordo con Palladini sull'accoglienza del reading in Italia: 'Portarlo nel nostro paese - sostiene - e' stato ed e' tuttora difficilissimo perche' purtroppo la penisola e' ancora molto arretrata soprattutto se pensiamo che all'estero esistono figure chiamate i 'Pjay', e cioe' deejay che, invece di mandare drumm'n bass o techno o house mixano poesie! '

'Inoltre – incalza - da noi molti sono gli autori che si improvvisano performer. I risultati spesso sono letture di qualita' infima. Da qualche anno, all'interno di molti Poetry Slam, la situazione si e' aggravata... anche a causa delle musiche che spesso sono un puro e semplice sottofondo del componimento e per di piu' incongruo'.

'Se penso ad un confronto con la Germania o altri paesi in Italia le differenze sono ancora notevoli. Bisogna prepararsi davvero per affrontare un palcoscenico. A questo proposito – conclude - vorrei citare Mark Kelly Smith, inventore nel 1987 a Chicago, del Poetry Slam, il quale diceva che il poeta, oltre ad essere capace di fare bene il proprio 'mestiere' sulla carta, doveva saper 'interpretare se stesso' sul palco. Non e' facile. Ma questo e' quello che anch'io penso'.

“QUANDO LA NOTTE SOGNAVAMO BRIGITTE BARDOT (LA ZISA)” di Davide Romano




Molti autori hanno raccontato la loro gioventù in un romanzo, grandi o piccoli percorsi di formazione che portano alla maturità o alla consapevolezza. La gioventù bruciata è quella che va per la maggiore con le sue storie al limite che catturano l’immaginazione del lettore. Nel caso del primo romanzo di Manlio Elio Massara, “La notte sognavamo Brigitte Bardot”, ci troviamo all’opposto. L’autore racconta la sua gioventù attraverso la rilettura di vecchie lettere, scoprendone la normalità e le occasioni perdute. Una gioventù fatta di piccole cose, di Palermo, degli anni ’60 e di tutte quelle fughe che un uomo comune affronta per considerarsi libero. Al ritmo dei suoi respiri il protagonista Elio scopre di non poter cambiare il mondo, ma le donne cambiano lui, allo stesso ritmo dei viaggi imposti dalla leva o dal bisogno di evasione. Anche ritrovare tutte quelle lettere non spedite, ridicole, in cui ci si credeva forti nel provare qualche sentimento già utilizzato milioni di volte. Un libro che è una somma scrupolosa di tutto ciò che si è trascurato, un bisogno di riordinare le idee in testa, come le lettere in uno scatolone dimenticato. Alla fine il caso guida la sorte, un lavoro che non si era cercato, una donna che non si aveva conosciuto, gli amici che vanno e vengono, i punti cardinali di una vita qualunque che le danno sostanza. Brigitte Bardot, ricordata anche nel titolo, diventa il simbolo dei sogni fatti solo per essere sognati, prima di accorgersi di essere già nel mezzo della propria vita. L’autore, attraverso la sua esperienza, elogia la normalità e l’uomo, due elementi che nella maggior parte dei casi si incontrano. Un’occasione per il lettore di ritrovare il passato e riviverlo, con il gusto della sicilianità e con l’ironia di chi guarda un vecchio album di fotografie. Un libro consigliato a chi ricorda, a chi non riesce a ricordare e a chi sta costruendo i suoi ricordi. E poi è sempre piacevole pensare a Brigitte Bardot nel film “La ragazza del peccato”.

Manlio Elio Massara, “La notte sognavamo Brigitte Bardot”, Edizioni La Zisa, pp. 176, 9,90 euro