Visualizzazione post con etichetta Cattolicesimo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Cattolicesimo. Mostra tutti i post

lunedì 26 luglio 2010

“Perché non può esser vera la religione maomettana” di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, dottore della Chiesa (1696 – 1787)


“Perché non può esser vera la religione maomettana” di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, dottore della Chiesa (1696 – 1787)
(da “Verità delle Fede”)

Premessa
Riproduco di seguito un gustosissimo estratto di un volume ben più corposo del santo dottore della Chiesa cattolica, Alfonso Maria de’ Liguori, sull’Islam. Il libro in questione è un volume di apologetica intitolato “Verità delle fede” che tanta diffusione ha avuto sino ai nostri giorni fra le masse cattoliche, come del resto i numerosi altre opere del fondatore dei Redentoristi. Il saggio, scritto in un italiano scorrevole ed elegante, è interessante da leggersi anche per vedere quanta strada i cristiani, e in particolare la Chiesa cattolica Romana, abbiamo percorso nel confronto con le altre religioni.
Davide Romano
Ps: come casa editrice La Zisa stiamo progettando di ripubblicare alcune delle opere ascetiche e dogmatiche del de’ Liguori.

1. Vediamo in primo luogo le qualità di Maometto, che stabilì questa religione, diciam meglio questa infame setta che ha mandate tante anime all'inferno. Egli ebbe qualche dote naturale; fu di bello aspetto, d'ingegno penetrante, cortese nel tratto, liberale e grato ai beneficj. Ma all'incontro fu dominato dal vizio della libidine, e perciò tenne da 15 mogli, e più di 24 concubine, fingendo di avere avuto in ciò il permesso da Dio, poiché agli altri non concedeva egli più di quattro mogli; e quindi poi nel suo Alcorano ripose nelle sozzure della carne la massima parte della felicità eterna. Fu dominato ancora dalla superbia, che lo fece talvolta diventar crudele. Basti sapere che una volta ad alcuni che si avean presi certi suoi cammelli, fece tagliar le mani e i piedi, e cavare gli occhi con un ferro rovente, e poi li fece lasciar così, finché spirassero l'anima1.
2. Vediamo ora che cosa sia l'Alcorano di Maometto, e quali dogmi e precetti ivi s'insegnino. Alcorano significa lezione, o sia libro di lezione. I titoli del libro sono varj secondo le varie edizioni. Si divide in Sure, o sieno Azoare 114, e le Sure dividonsi in Ayat, cioè segni di diversa lunghezza, che contengono attributi di Dio e precetti o giudizj di cose mirabili, e questi segni terminano col ritmo corrispondente al verso precedente. L'Alcorano è scritto in lingua pura araba e con eleganza di parole, affettando un modo profetico. Vi sono giudizj, istorie ed esortazioni. A' giudizj spettano le leggi così per le cose sacre, preci, pellegrinaggi e digiuni, come per le cose politiche, tribunali, matrimonj ed eredità. Alle istorie spettano molte narrative, parte prese da' libri sacri, ma corrottamente, e parte finte, o pur ricavate da' libri apocrifi e specialmente del Talmud de' giudei. Alle esortazioni poi si riferiscono gl'inviti alla nuova religione, alla guerra per difesa di quella, alle preci ed alle limosine, minacciando le pene dell'inferno a' trasgressori, e promettendo le delizie del paradiso agli osservanti. Talvolta si finge Dio, o l'angelo che parla: talvolta poi parla lo stesso Maometto o ai Meccani o a' giudei, o a' cristiani. Altre volte parlano i beati del paradiso ovvero i dannati dell'inferno: sicché l'Alcorano è una specie di dramma, in cui sono diversi che parlano.
3. Dicono i Maomettani che l'Alcorano non è composto da Maometto, né da altri, ma solamente da Dio, e da Dio è stato dato a Maometto. In quanto poi al modo e tempo, dicono mille inezie. Altri dicono che l'Alcorano è stato eterno, sempre presente al trono di Dio in una certa tavola, ove stavano scritte tutte le cose passate, presenti e future. Altri dicono che in una certa notte del mese romadan, in cui suppongono che Dio dispone tutte le cose, scese questo libro dal trono divino. Altri dicono che l'arcangelo Gabriele rivelò a Maometto tutto quello che sta scritto nell'Alcorano. Altri dicono che Maometto ricevea da quando in quando alcuni versi, ed egli li facea conservare in una cassa: altri dicono altri spropositi. Del resto oggi negli esemplari che noi abbiamo dell'Alcorano vi sono molte lezioni varie che variano sentenza. I nostri scrittori dicono che l'Alcorano fu composto da Maometto o tutto da sé, o coll'aiuto di un certo monaco Sergio, o d'altri. Chi poi volesse intender più cose dell'Alcorano circa la sua scrittura, legga Marraccio nel prodromo all'Alcorano1.
4. Parlando poi della teologia dell'Alcorano, dee sapersi che questo libro è ripieno d'una farragine confusa di favole, di precetti e di dogmi tutti inetti, fuori di quelli che son presi dalla legge ebraica e cristiana. Maometto riconoscea per divina la missione così di Mosè, come di Gesù Cristo, come anche riconoscea per legittima l'autorità delle nostre sacre scritture, almeno in più parti, dicendo che le altre sono state corrotte; ond'egli colla sua pretesa religione (che dicea esser la stessa che tennero Mosè e Gesù Cristo) volea riformare e perfezionare così la religione giudaica, come la cristiana. Ma in verità altro non fece che formare una setta che discrepava dall'una e dall'altra. Maometto credea esservi un Dio, e dalla Sura 4. vers. 17. si ricava che credesse anche la Trinità delle persone nella natura divina: Neque dicant tres (Deos), Deus enim unus est. Credeva esser di fede esservi gli angeli, ma dicea che essi hanno corpo, e sono anche di diverso sesso; Sura 2. e 7. Diceva ancora essere assegnati due angeli custodi a ciascun uomo, e questi mutarsi ogni giorno. Dicea di più che vi sono angeli e demonj di diverse specie, chiamati genj, i quali mangiano e bevono, ed anche si propagano e muoiono, ed anche son capaci della futura salute e dannazione.
5. Vi sono poi nell'Alcorano molte cose indegne di Dio. Ivi si dice (come bestemmiano ancora gli ebrei talmudisti) che Dio fu costretto a dire una bugia, per metter pace tra Sara ed Abramo. Ivi s'induce Dio che giura per li venti, per gli angeli ed anche pei demonj; quando che Dio solo per sé può giurare, non già per le creature. Di più nella Sura 43. s'induce Dio che prega per Maometto: Cum Deus et angeli propter prophetam exorent. Nella Sura 56. dice Maometto che Dio gli permise di violare un giuramento. E nella Sura 43. che gli permise di potersi mischiare con qualunque donna anche maritata e consanguinea. Dice poi molte bugie. Nella Sura 17. scrive che Dio comandò agli angeli che adorassero Adamo, e che tutti gli ubbidirono, fuorché Belzebub. Dice nella Sura 13. che Maria madre di Gesù è adorata da noi per Dio. Nella Sura 27. dice ch'egli fu rapito da Dio in cielo per essere ammaestrato de' misterj. Nella Sura 25. dice che Iddio ha creato il demonio da un fuoco pestifero.
6. Vi sono poi nell'Alcorano mille contraddizioni. Nella Sura 11. chiama Gesù Cristo spirito di Dio e suo messo: Iesus Mariae filius nuntius suusque spiritus; e poi nega essere Dio, e dice che non è stato crocifisso, ma in suo luogo fu crocifisso uno simile a lui. Nella stessa Sura 11. dice che ognuno, sia giudeo o cristiano, e benché lasci una legge per un'altra, se adora Dio, ed opera bene sarà amato da Dio, e si salverà; e poi nella Sura 3. dice che i Maomettani si dannano se lasciano la loro legge. Nella Sura 20. dice che niuno dee sforzarsi alla fede; e poi nella Sura 9. dice che gl'infedeli debbono essere uccisi. Nella Sura 2. dice che ciascuno può salvarsi nella sua religione, sia giudeo, cristiano o sabaita: Qui crediderint et iudaei et christiani et sabaitae in Deum, et fecerint bonum, ipsis erit merces apud Dominum; e poi nella Sura 3. dice il contrario: Et qui secutus fuerit aliam religionem praeter istam (cioè la maomettana), ipse in futuro seculo erit pereundus. I maomettani confessano queste contraddizioni, ma dicono che Dio stesso è stato quello che si è rivocato.
7. Dicono di più i maomettani che dopo morte nel sepolcro da due persone Moncker e Hakir hanno da essere pesate le opere di ognuno in due coppe di bilancia, che eguagliano la superficie del cielo e della terra. Dicono poi che vi è il ponte Sorat, dal quale i peccatori cadranno nell'inferno, dove gl'infedeli staranno per sempre; ma quelli che avranno creduto ad un Dio, vi staranno per qualche tempo, ma non più di mille anni, e poi passeranno alla casa della pace; ma prima d'entrare in questa casa beveranno l'acqua della piscina di Maometto perciò i maomettani si radono il capo, e vi lasciano una ciocchetta di capelli, sperando che per quella Maometto potrà cavarli dall'inferno. Essi sperano che almeno nel giorno del giudizio Maometto colle sue preghiere salverà tutti i suoi seguaci. Il paradiso poi che promette l'Alcorano, è un paradiso di cui si vergognerebbero anche le bestie: è un paradiso ove non vi sono altri piaceri che sensuali. Dice che ivi sono due orti ornati di alberi, fonti e pomi e donne, e che ciascuno avrà in cielo tante mogli, quante ne avrà avute in questa terra, e l'altre poi saranno concubine. Ecco come si scrive nella Sura 86. ed 88. : Ubi dulcissimas aquas, pomaque multimoda, fructus varios et decentissimas mulieres, omneque bonum in aeternum possidebunt. Avicenna maomettano, vergognandosi di tal promessa per la vita eterna, dice che Maometto in ciò avea parlato allegoricamente; ma l'Alcorano in niun luogo ammette questa spiegazione sognata da Avicenna. In quanto poi ai precetti naturali, l'Alcorano insegna: principalmente la legge della natura; scusa non però coloro che l'offendessero per causa di timore. Ammette (come già si è detto) l'avere più mogli, sino a quattro, purché possa conservarsi la pace con tutte, altrimenti ordina che se ne prenda almeno una, e concede il ripudio per due volte.
Proibisce poi il disputare sopra l'Alcorano e le scritture sacre; e ciò asserisce nelle Sure 22. e 29. essere precetto divino. Per altro con molta accortezza da questo impostore fu dato un tal precetto; giacché tutta la forza della sua legge è nell'ignoranza. Vi sono di più altre leggi positive di purificazioni, orazioni e limosine: di più del digiuno nel mese romadan e del pellegrinaggio alla Mecca. Si narra da un buono autore che Maometto mettea del grano dentro del suo orecchio, e che avea avvezzata una colomba a venire a beccarlo, affin da far credere agli altri che egli per tal mezzo era ispirato da Dio circa le cose che insegnava. Ed in conferma di ciò due maroniti presso Bayle dicono trovarsi nella Mecca alcune colombe, che dai turchi son rispettate come sacre, credendo essi che discendano da quella che parlava a Maometto.
8. Sicché non può esser vera la religione de' gentili, non quella de' giudei, non quella de' maomettani: dunque la cristiana è l'unica vera. Ma perché nella cristiana religione vi sono diverse chiese, che discordano dalla chiesa cattolica romana, vediamo per ultimo quale fra tutte sia la vera chiesa e per conseguenza la vera religione.
________________________________________
1 Maometto fu arabo di nazione, nacque nella Mecca nell'anno 571. Fu oriundo di famiglia nobilissima. Dopo la morte del padre fu applicato alla mercatura da' suoi parenti, attesoché prima fu educato in casa del suo avo e poi di un certo suo zio, dal quale di anni 13. fu condotto nella Siria. Ma di là ritornato nella patria d'anni 25, fu preso nella sua età d'anni 28 da una certa vedova nobile e ricca, chiamata Kadia, per suo fattore. Posto egli in questa condizione più alta cominciò a meditare di mutare e far mutar religione a tutta la sua patria, intendendo di liberare gli arabi dall'idolatria, nella quale egli era stato educato, e di restituire al mondo, come diceva, la religione primiera di Adamo, di Noè, di Abramo, di Mosè ed anche di Cristo, in somma di tutti i profeti del vero Dio; e perciò finse di aver colloquj coll'angelo Gabriele nella grotta d'Hira, che non era molto distante dalla Mecca, dove spesso si ritirava.
Essendo poi d'anni 40, ed essendo stato sino a quel tempo idolatra, si assunse l'officio di profeta, e per tale si fece tenere prima dalla sua moglie e da certi suoi parenti e domestici e poi da un certo Abubekero uomo di grande autorità, coll'aiuto del quale acquistò molti potenti paesani della Mecca. Dopo tre anni adunò in un convito 40 persone con Aly suo cugino, ed allora aprì la sua missione divina, come diceva. Ma da tutti, fuorché da Aly, fu allora deriso. Egli nulladimanco, non perdendosi d'animo, costituì Aly suo vicario, e cominciò a predicare in pubblico nella Mecca, dove fu a principio udito da' suoi paesani; ma quando poi si pose a riprovare i loro dei, lo perseguitarono a morte, e solo un certo Abotaleb colla sua autorità e prudenza lo liberò; ma i meccani stabilirono di non avere più commercio né con Maometto, né co' suoi aderenti. Egli non però avendo in questo tempo composta già parte dell'Alcorano, spesso provocava i suoi avversarj a formare alcuna parte simile, dicendo che non avrebbero mai potuto comporne un solo capitolo. E richiedendo coloro alcun miracolo della sua missione, rispondea ch'egli era stato mandato da Dio non a far miracoli, ma solo a predicar la verità.
Dicono per tanto i maomettani che il miracolo del legislatore è stata la propagazione della loro legge fatta nella massima parte del mondo. Ma a ciò si risponde che non può dirsi miracolo il vedere abbracciata una legge, per cui si vive più secondo il piacere de' sensi, che secondo la ragione. Oltreché questa propagazione fu fatta nell'Arabia, ove la massima parte era di gentili, vi erano pochi cristiani, e gli altri erano giudei o eretici ariani e nestoriani, fuggiti colà per gli editti degl'imperatori, ed in tutti poi regnava una somma ignoranza. Un tal miracolo bensì è avvenuto nella propagazione del vangelo, che insegna una legge opposta agli appetiti carnali. Con tutto ciò Maometto pure vantava di aver fatto un gran miracolo (ma miracolo d'un buffone per la scena): diceva nell'Azoara 64 del suo Alcorano, che essendo caduto un pezzo di luna nella sua manica, egli ebbe l'abilità di racconciarlo: che perciò poi l'imperio de' turchi porta l'impresa della mezza luna.
Indi, essendo morti la sua moglie Kadia e l'amico Abotaleb, Maometto nell'anno decimo della sua finta missione si vide abbandonato quasi da tutti; onde fu costretto a ritirarsi dalla Mecca in Tayef, luogo distante 60 miglia. Ma dopo un mese tornò alla Mecca, e si pose sotto la protezione di Al-Notaam Abn-avi. Nell'anno duodecimo cacciò fuori la favola del suo viaggio notturno in Gerusalemme e di là in cielo; ma questa favola parve così ridicola, che sarebbe rimasto affatto abbandonato da tutti, se un certo Abu-ker non avesse detto ch'egli non poteva negare la sua fede a Maometto. E nello stesso duodecimo anno si strinsero con giuramento a Maometto molti della città di Medina, e tra questi il principe della tribù detta Avos. Maometto avea dichiarato di non aver altro comando da Dio, che di predicar la verità, ma non di forzare gli uomini a crederlo; ma essendo di poi fuggito da Medina per evitar la morte macchinatagli dai meccani, dichiarò egli il precetto di perseguitare colle armi gl'infedeli, e colle vittorie propagar la fede, e d'indi in poi visse sempre in guerra, alle volte perdendo, ma più spesso vincendo.
Andò appresso con 1400 soldati alla Mecca, ed ottenne una tregua co' nemici, ma col patto che gli concedessero il potersi con esso arruolare quei che voleano seguirlo. Scrisse poi lettere al re di Persia, dell'Etiopia e di Roma, e gl'invitò ad abbracciare la sua religione. Indi si fece signore della Mecca: donde avendo scacciata l'idolatria, piantò la sua setta; e nell'anno seguente ricevette gli ambasciatori da tutte le tribù dell'Arabia, le quali, vedendo soggiogata la tribù più potente di tutta la nazione, abbracciarono l'Alcorano. Finalmente Maometto nell'età di sessentatré anni morì, e si dice morto di veleno.

giovedì 22 luglio 2010

IL CATTOLICESIMO CONTEMPORANEO NEL VOLUME DEL GIORNALISTA PALERMITANO DAVIDE ROMANO


Il cattolicesimo di oggi fra la Sicilia e l’Italia
di Marta D’Auria

Qual è il volto del cattolicesimo contemporaneo? Davide Romano, giornalista, specializzato in informazione religiosa, prova a darcene un ritratto attraverso una raccolta di articoli e inchieste svolte fra il 2000 e il 2005 che vanno a formare il suo ultimo lavoro. In questo agile volumetto l’autore affronta temi quali i rapporti fra chiesa cattolica e potere politico, fra chiesa e mafia, chiesa e libertà individuali, chiesa e sessualità. Tematiche che si sviluppano attraverso le voci di teologi, vescovi, politici, o semplici uomini e donne intervistati che danno un’istantanea della chiesa cattolica ben lontana dalla realtà monolitica che in queste ultime settimane le alte sfere del Vaticano vorrebbero riaffermare e rafforzare. Con sguardo oggettivo, con una scrittura scorrevole e con un registro che non indulge mai alla polemica, Romano fa lavoro giornalistico: ricostruisce gli avvenimenti, scrive notizie, fatti, mosso dall’amore per la verità. «Sono stato educato – dice nell’introduzione – alla scuola di maestri, di vita e di studi, che mi hanno insegnato che nulla è più esaltante e nobile della ricerca della verità, una verità umana naturalmente, che talvolta si rivela anche fin troppo umana. Quella che i giornalisti chiamano semplicemente “la notizia”».
Lo sguardo di Romano si muove con padronanza su due livelli: quello locale e quello nazionale. Sul versante locale, il contesto è quello della sua terra: la Sicilia, dove i rapporti tra Chiesa cattolica e mafia assumono atteggiamenti ambivalenti, che vanno dal silenzio alla denuncia, dalla complicità all’impegno, dalla condivisione alla condanna. Accanto al bel ritratto di don Nino Fasullo, voce che si leva per denunciare le collusioni con il potere mafioso e per invocare una società più giusta, vanno segnalati due documenti inediti presenti nel volume. Si tratta di due interventi di mons. Angelo Rizzo in difesa del deputato democristiano Calogero Volpe, definito dagli inquirenti referente politico della cosiddetta «mafia del Vallone», che sono utili documenti per individuare gli intrecci esistenti tra Cosa nostra, gerarchia cattolica siciliana e partito della Democrazia cristiana.
Sul versante nazionale sono di grande attualità le pagine in cui Davide Romano rintraccia il legame esistente fra «nuova-vecchia» destra e ultra-tradizionalismo cattolico. Romano ricorda che quella «fusione» ricevette grande impulso dalla minoranza ultraconservatrice che si oppose al Concilio Vaticano II, capeggiata da Marcel Lefebvre, «portavoce intransigente della cosiddetta “Tradizione”, simboleggiata dal rito eucaristico redatto da Pio V, contro la “nuova Messa” di Paolo VI» (p. 52).
Gli articoli si susseguono agevolmente e Romano passa con disinvoltura dal nazionale al locale. Una chicca l’articolo in cui racconta di quando – siamo a Palermo nel 2000 – riesce ad intrufolarsi tra i partecipanti ad un incontro a porte chiuse organizzato dall’ala movimentista di Alleanza nazionale, su «la Chiesa davanti alla modernità», relatore don Fausto Buzzi, seguace del vescovo scomunicato Lefebvre. Buzzi non ha dubbi sui mali che hanno colpito la Chiesa: la Riforma protestante, il Risorgimento, il comunismo, infine il Concilio Vaticano II dove si parlò di «eresie» come l’ecumenismo, la libertà religiosa, la collegialità episcopale. Se le chiese e i seminari teologici sono vuoti – continua don Buzzi nel racconto di Romano – è perché lì «s’insegna il protestantesimo» e perché la «nuova messa non è altro che una conferenza, non è nemmeno più una messa. Non è valida. Solo quella secondo il rito di san Pio V è vera messa. La nostra. E speriamo di poterla tornare a celebrare, dopo quarant’anni anche a Palermo» (pp. 60-61).
A cinque anni di distanza da quelle sortite, la messa in latino è stata ristabilita motu proprio da Ratzinger, e un documento della Congregazione per la dottrina della fede ha affermato che solo la Chiesa cattolica possiede «tutti gli elementi della Chiesa istituita da Gesù», ridimensionando le aperture del Concilio Vaticano II che avevano incoraggiato il cammino ecumenico. Le posizioni reazionarie all’interno del cattolicesimo escono fuori dalle nicchie e si fortificano. Ma il volume di Davide Romano presenta il volto composito dell’universo cattolico che, ora più che mai, va riscoperto.

DAVIDE ROMANO (Palermo), giornalista, scrittore ed editore. Ha scritto e scrive per numerose testate, tra le quali: Il Giornale di Sicilia, Il Mediterraneo, La Repubblica, Centonove, Antimafia2000, L’Ora, La Rinascita della Sinistra, Jesus, Avvenimenti, L’Inchiesta Sicilia, Narcomafie e Riforma. È stato anche fondatore e direttore responsabile del bimestrale di economia, politica e cultura Nuovo Mezzogiorno e del mensile della Funzione Pubblica Cgil Sicilia Forum 98.
Ha pubblicato: L’amore maldestro (2001), La linea d’orizzonte tra carne e Cielo (2003), La buriana e altri racconti (2003), Nella città opulenta. Microstorie di vita quotidiana (2003, 2004), L’anima in tasca (2004), Piccola guida ai monasteri e ai conventi di Sicilia (2005), Il santo mendicante. Vita di Giuseppe Benedetto Labre (2005), Dicono di noi. Il Belpaese nella stampa estera (2005) e La pagliuzza e la trave. Indagine sul cattolicesimo contemporaneo (2007). Ha curato l’antologia Nuova Poesia (2008) e l’opera del dirigente comunista Girolamo Li Causi, Terra di frontiera. Una stagione politica in Sicilia 1944-60 (2009).

venerdì 30 ottobre 2009

In libreria - “I campieri di Cristo” di Nonuccio Anselmo (Ed. La Zisa - pp.192 - euro 13,00)




Il romanzo - come gli altri due precedenti dello stesso autore ('Farmacia Bisagna' e 'I leoni d'oro') - si nutre delle suggestioni della provincia, di un altro mondo al crepuscolo, quello della fine degli anni Cinquanta del Novecento, che sta per essere cancellato dal boom economico e dal benessere. Sono comunque ancora anni duri, in cui - pur se ormai lontani - non sono stati dimenticati le lotte per la terra con l'occupazione dei feudi e il sangue dei capipopolo assassinati dalla mafia e dal potere rurale. Un potere che si identifica ancora nei nobili 'feudatari'. E sono proprio loro, in questo paesino annegato nel feudo, a gestire anche i riti della Passione e del Venerdi' santo, affidati alla loro confraternita, la compagnia dei Bianchi della Maddalena. In altri termini, sono anche i padroni di Cristo, della statua che ogni anno si va ad appendere alla croce, che non puo' essere toccata dai componenti delle altre confraternite di braccianti e artigiani. Cosi' si accende un altro scontro, perche' - sostengono questi ultimi - Cristo e' di tutti. Scontro che si concludera' con il 'furto' del Cristo da parte dei 'Rossi', i piu' accesi antagonisti dei 'Bianchi'. (Ansa)


Nonuccio Anselmo, giornalista professionista, dal 1971 ha legato la sua attività al Giornale di Sicilia, dove è stato redattore capo. Ha scritto diversi saggi di storia e di folklore e i romanzi Farmacia Bisagna (Palermo, 2000) e I leoni d’oro (Palermo, 2004).

venerdì 17 luglio 2009

In libreria - "La pagliuzza e la trave. Indagine sul cattolicesimo contemporaneo" di Davide Romano, La Zisa



In libreria - "La pagliuzza e la trave. Indagine sul cattolicesimo contemporaneo"
di Davide Romano. Presentazione di Marcelle Padovani. Prefazione di Anna La Rosa. Con un contributo di don Vitaliano della Sala(La Zisa, pp. 152, ISBN 978-888128091-9)

C’è un demone maligno che agita sotterraneamente la chiesa cattolica, soprattutto in Italia, dove maggiore è stata fino ad oggi la sua egemonia culturale, e, per molti versi, la sua ingerenza nelle vicende politiche dello Stato: un rancoroso spirito di rivalsa verso quella parte della società che cerca affannosamente di conquistare, una volta per tutte, più larghi spazi di sana e laica libertà.
Siamo oggi ad un punto cruciale di un lungo tragitto iniziato agli albori degli anni Novanta del secolo scorso, in concomitanza con la dissoluzione del partito della Democrazia cristiana, che per un cinquantennio era stato, con alti e bassi, il punto di riferimento e lo scudo protettivo delle gerarchie ecclesiastiche reazionarie e dei ceti sociali più oltranzisti, che, in nome di un distorto principio ecumenico di fede, avevano imposto le loro regole di vita anche a coloro che cattolici non erano e non volevano esserlo. Sarebbe qui troppo lungo elencare tutte le malefatte che i cattolici nostrani hanno compiuto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, in ogni branca della vita pubblica, dall’economia alla scuola, dalla giustizia all’ordine pubblico, dalla sanità alla cultura, dalla negazione dei più elementari diritti civili al degrado delle grandi realtà urbane come dei piccoli centri delle aree interne. Ma una cosa non va sottaciuta, proprio perché all’origine di tutti i mali che oggi attraversano la nostra società: l’intollerabile livello di illegalità diffusa nel quale siamo sprofondati, non di rado con il concorso esplicito del mondo cattolico, sempre pronto a dare generose e sollecite coperture a chi, in nome dell’anticomunismo fino a qualche anno fà, e contro la libertà di coscienza oggi, ha gestito le leve del potere politico ed economico.
Mentre in quest’ultimo quindicennio il mondo occidentale, perfino molti paesi del Sud-America governati fino a non molto tempo addietro da sanguinarie dittature reazionarie appoggiate apertamente dal Vaticano, ha saputo dare risposte adeguate alle richieste modernizzatrici che provenivano da ampi strati della società civile, respingendo al mittente le pesanti accuse che provenivano dalle curie nazionali e dalla centrale romana, nulla di tutto questo è avvenuto in Italia, dove sono addirittura a rischio quelle poche conquiste laiche ottenute dopo anni di estenuanti battaglie civili, come il divorzio e l’aborto.
Il fatto è che il papa e la sua corte di vescovi e cardinali, di monache e sacerdoti, non hanno smesso di considerare l’Italia come un feudo personale, e la nascita dello Stato nazionale come la usurpazione di un suo diritto inalienabile. E con quest’ottica hanno fatto crescere una parte considerevole dei loro fedeli, i quali credono che la loro concezione del mondo sia l’unica giusta e valida per tutti, e che tutti debbono ad essa soggiacere, volenti o nolenti. Sono essi i paladini della tolleranza quando la chiesa cattolica viene osteggiata in qualche parte del mondo, e contemporaneamente i crociati della intolleranza quando si tratta di porre dei veti a chi crede in principi appena diversi dai loro. Riesce loro difficile capire che la libertà è un bene che non ha colore politico né appartenenza religiosa, e che il rispetto delle minoranze è una salvaguardia anche per coloro che appartengono alla maggioranza.
Purtroppo l’Italia ha sofferto per secoli il monopolio cattolico delle fede, in parte accettato per piaggeria o per convenienza, per abitudine o ignoranza, e in parte ottenuto con l’uso della forza, attraverso minacce, ricatti, delitti, persecuzioni di ogni tipo, comminati dai tribunali dell’Inquisizione fino al Settecento, e con altri strumenti, meno violenti, ma non per questo meno repressivi, nei secoli successivi. Una pratica costante e minuziosa che ha colpito e colpisce anche coloro che ad un certo momento della loro vita sacerdotale hanno deciso di appendere all’attaccapanni l’abito talare. Sono tante piccole angherie che vengono fatte passare sotto silenzio, mentre i mezzi di comunicazione di massa sono pronti e proni ad esternare l’apparato coreografico della chiesa trionfante che si celebra ogni domenica nella piazza di San Pietro. Non sono ammesse critiche all’operato delle eminenze tonacate che ogni giorno sproloquiano dai diversi pulpiti che gli vengono offerti su piatti d’argento. Tolleranza agli intolleranti, purché l’Italia resti quel paese semifeudale che è.
Un osservatorio privilegiato per conoscere lo stato della chiesa cattolica odierna è quello siciliano, dove tutte le contraddizioni che l’agitano, sono espresse all’ennesima potenza. Qui operano, è vero, sacerdoti e gruppi cattolici che esprimono posizioni diverse, spesso coraggiose, più aperte al mondo che li circonda. I loro nomi sono conosciuti anche fuori dei confini nazionali, ma la loro fama, bisogna riconoscerlo una volta per tutte, e di gran lunga superiore alla loro reale incidenza nella società nella quale operano. L’obbedienza alla chiesa, purtroppo, impedisce alla loro azione quella carica eversiva che potenzialmente potrebbero esprimere. Non sono degli eretici, e non essendolo le loro parole si perdono nel vuoto, o, nel migliore dei casi, raggiungono coloro che per altra via già si sono collocati sulla stessa lunghezza d’onda.
Di quel che accade nel cattolicesimo siciliano, e non solo, un attento e appassionato osservatore è Davide Romano, uno dei pochi giornalisti liberi che ancora esistono in Italia, e che mi auguro tale resti finché avrà voglia di fare questo mestiere, anche se la libertà potrà fargli pagare prezzi salati. In Italia, in Sicilia, abbiamo bisogno di libertà, che è quella voglia di raccontare sempre e dovunque quel che accade attorno a noi, smascherando le imposture, le ipocrisie, i malandrinaggi che giornalmente si commettono, soprattutto da parte di coloro che si presentano o vengono presentati con l’austera aureola della santità e con le roboanti insegne del potere.
Un piccolo spaccato di questo mondo, falso e bugiardo, spudorato e tracotante, che vede insieme prelati e politici, lo si legge in un suo volumetto da pochi giorni in libreria (“La pagliuzza e la trave. Indagine sul cattolicesimo contemporaneo”, presentazione di Marcelle Padovani, prefazione di Anna La Rosa, La Zisa, pp. 152, Euro 12,00), che si avvale di un contributo di Don Vitaliano Della Sala, l’ex parroco di Sant’Angelo a Scala, in provincia di Avellino, rimosso dal suo incarico per aver scelto di seguire nella sua testimonianza di fede il Cristo dei Vangeli e non la curia di Roma.
Bisogna leggerlo questo libro, tutti, siciliani e non. I temi affrontati non riguardano, infatti, questioni prettamente regionali, come a prima vista potrebbe sembrare. In quest’isola, infatti, tutto diventa chiaro, anche le cose più confuse e impenetrabili, basta soltanto guardarsi intorno e aver voglia di capire. Qui più che altrove la chiesa è tradizionalmente collusa col potere, corrotto e corruttore, anzi è essa stessa potere, sempre uguale da secoli. In questa terra ha dato prova evidente del suo fallimento, soprattutto laddove essa pretende di interpretare i bisogni e le aspettative dei cittadini in ordine alla solidarietà sociale e alla famiglia. A meno che non si vogliano considerare tali le elargizioni di sussidi, elemosine e altre similari iniziative. Non di questo hanno bisogno i cittadini, ma del sostegno fermo e incondizionato a tutte le battaglie per il riconoscimento dei diritti ad una esistenza dignitosa e pienamente integrata nel contesto sociale. Su questo versante rimane invece sorda e muta. Sintomatiche, al riguardo, sono le sue prese di posizione sulla legge che intende regolarizzare le coppie di fatto.
Lo stesso discorso si può e si deve fare sulla questione dell’impegno della chiesa nella lotta alla mafia, che ancora oggi, nonostante l’anatema di papa Giovanni Paolo II e di pochi prelati, e le coraggiose iniziative di qualche sacerdote finito, purtroppo, tragicamente, non ha minimamente intaccato la tracotante connivenza di esponenti politici, soprattutto cattolici, con questa organizzazione criminale. C’è da chiedersi se e fino a quale punto la chiesa, nel suo complesso, abbia le carte in regole per alzare la voce, incutere timore e mobilitare le coscienze. Alla prova dei fatti non mi sembra. Occorrerebbe una dirittura morale che la chiesa non ha, non ha mai avuto, e non avrà mai fino a quando essa stessa non sarà immune da quella ricerca di favori, da quelle compromissioni materiali di cui è solita pascersi con abbondanza. Tanto che non sembra del tutto peregrina la constatazione da taluni sollevata che una cosa è la chiesa cattolica, altra cosa è il messaggio di Cristo.
Di tutto questo il libro di Davide Romano offre una documentazione ricca, circostanziata ed inoppugnabile. Al punto che viene da domandarsi se non sia necessario, per salvare l’Italia, divorziare una volta per tutte dalla chiesa cattolica. E forse, così facendo, salvare anche la chiesa da una lenta ed inesorabile morte per ignominia. (Maurizio Rizza)
Indice del volume:
• Presentazione di Marcelle Padovani
• Prefazione di Anna La Rosa
• Un’altra chiesa è possibile di don Vitaliano della Sala
• Introduzione di Davide Romano
• In difesa di chi lascia la tonaca. Ovvero quando il prete s’innamora
• La sinistra, la destra e la profezia del cardinale. Il cardinale Tonini spiega perché la chiesa italiana vuole la destra al governo
• Neofascismo e integralismo cattolico. Tutti i nomi di una inconfessabile santa alleanza
• Le correnti tradizionaliste nella chiesa siciliana. Il movimento dello scismatico e scomunicato monsignor Lefebvre sbarca in Sicilia con sostegno di qualche vescovo cattolico
• I santi terreni del devoto Bartolo Sammartino. Fare carriera, politica, all’ombra della Curia.
• Divine ma resistibili ascese. Biografia non autorizzata del cardinale Salvatore De Giorni, megafono di Ruini
• La guerra di cifre della Curia dei veleni. Strani affari e conti che non tornano…
• Quei politici, come Cuffaro e non solo, che usano Dio. Parla un teologo e prete di frontiera
• La vittoria di Berlusconi? Nella chiesa tutti contenti tranne uno. Cronaca di una vittoria annunciata
• L’accorato anatema di papa Wojtyla in terra di mafia. La lezione dimenticata.
• Quei silenzi così ingombranti. La chiesa siciliana tace sulle sue alleanze con mafia e politica collusa. Lo dice il vescovo di Trapani, monsignor Micciché
• Il prete e il mafioso. La vicenda di padre Frittitta, cappellano del boss Aglieri
• Fu il primo vescovo antimafia. La vita di monsignor Giuseppe Petralia, vescovo di Agrigento
• La chiesa e la mafia. Una questione ancora irrisolta. Le riflessioni dello storico Francesaco Michele Stabile
Appendice:
• Il vescovo e la mafia. Due interventi di monsignor Angelo Rizzo sul deputato democristiano Claogero Volpe
• In memoria dell’on. Calogero Volpe. Orazione funebre
• La chiesa, la mafia e la Dc
L'autore: Davide Romano (Palermo), giornalista, specializzato in informazione religiosa, si occupa di pubbliche relazioni e cura diversi uffici stampa. Ha scritto e scrive per numerose testate, tra le quali: Il Giornale di Sicilia, Il Mediterraneo, La Repubblica, Centonove, Antimafia2000, L'Ora, La Rinascita della Sinistra, Jesus, Avvenimenti, L'Inchiesta Sicilia, Narcomafie e Riforma. E' stato anche fondatore e direttore responsabile del bimestrale di economia, politica e cultura Nuovo Mezzogiorno e del mensile della Funzione Pubblica Cgil Sicilia Forum 98.
Con la casa editrice La Zisa ha pubblicato: L'amore maldestro (2001), La linea d'orizzonte tra carne e Cielo (2003, con Salvatore Insegna), La buriana e altri racconti (2003), Nella citta' opulenta. Microstorie di vita quotidiana (2003, 2004), L’anima in tasca (2004), Piccola guida ai monasteri e ai conventi di Sicilia (2005), Il santo mendicante. Vita di Giuseppe Benedetto Labre (2005) e Dicono di noi. Il Belpaese nella stampa estera (2005).