lunedì 30 settembre 2013

Arriva nelle migliori librerie: Ellenogatti - Gatti e Grecia - Agenda 2014 (Ed. La Zisa, Euro 9,90)


È noto che il gatto è caro, insostituibile compagno di artisti, scrittori e poeti. Non fanno eccezione gli intellettuali della Grecia moderna, dei quali vengono presentati in questa agenda alcuni brani (per lo più tradotti in italiano per la prima volta), incentrati su questo animale misterioso e irresistibile. Completano il quadro alcuni ritratti di “gatti qualunque”, che si impongono allo sguardo con il fascino del loro quotidiano.

Auguri per il 2014!

I curatori dell’agenda:

Fabio Ciralli è nato a Palermo nel 1961. Laureato in Fisica, ha svolto attività di ricerca all’estero (CERN di Ginevra e DESY di Amburgo), prima di lavorare come docente nella scuola secondaria superiore; insegna in un liceo di Palermo. I suoi principali interessi sono la didattica della fisica e della matematica e l’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica. Coltiva la passione per la fotografia ed ha accettato con curiosità la sfida di fotografare i gatti per questa agenda.


Maria Caracausi è nata a Palermo nel 1959. Dopo la laurea in Lettere classiche e il Dottorato di ricerca in Filologia greca e latina, ha insegnato alcuni anni Latino e Greco al Liceo Classico. Ricercatrice di Neogreco presso l’Università di Palermo, si occupa soprattutto di poesia del Novecento. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche e traduzioni dal greco moderno (Gatsos, Kalvos, Karkavitsas, Papadiamandis, Seferis, etc). Gatti e Grecia le passioni dominanti nella sua vita.

venerdì 27 settembre 2013

La cura dell’oltraggio, recensione del libro di Margherita Ingoglia



La cura dell’ “oltraggio”
… S’egli ha fatto questo a sangue freddo,
che cosa non farebbe a sangue caldo?”
Cervantes (Don Chisciotte)

Un inappagato eros lirico-poetico – offerto come una macchina da guerra e vorticosa voragine – gira, rivolta e brucia a nudo e “brama il fuoco tra le cosce” della follia amorosa ( Tua, p. 29), e “senz’aria” adagia in “plurimi, carnali diletti” (Inquieta vanitas, p. 44); un teatro di “lingue deliranti” in lotta tra le desublimazione dell’anima e il fluttuare dirompente del corpo con le sue ragioni oniriche quanto sragione in gioco … “per dilaniarne il senso” (Il pensare, p. 18), “mentre gli uragani alitano sulla nostra carne” (La dannazione di un abbraccio, p. 70).
Un linguaggio iconicamente meticcio (né solo visivo, né solo verbale, né solo logico, né solo ritmico…) che si scaraventa sulla pagina con la grazia dissacrante e non curante di un “bicchiere di alchermes” (Silenzio, p. 71); che, informe/dis-forme, fluttua per attaccare il nome del vecchio cuore – il simbolo strumentalizzato dall’illusoria liberazione del potere oppressivo (il potere cattura e non libera anche quando provoca le libertà del sesso) – per trattarlo come un ramo impazzito, disarmonico e “rancido” e salvaguardare la soggettivazione eteroclita autonoma che lo ramifica (imprevedibilmente), lì dove oggi il dominio sui corpi invece passa attraverso la fabbrica dei desideri e del godimento immediato.
Potente quanto raffinato il monologo erotico-narcisistico (la “cura del sé” – M. Foucault –, elevata, credo, a materia della poesia dei tuoi testi), nella sua stratificazione memoriale, porta anche la presenza e la continuità con poeti e poetiche della tradizione culturale che inevitabilmente ci attraversa, mentre lascia l’aureola del poeta idealista e si fa dialogo della vecchia “madre” terra con la fulmineità del “fu” dei guizzi che fanno esplodere i limiti: il “fu” del “fu oltraggio!”.
La scrittura procede coniugando con cura e padronanza costruttiva le “equivalenze” della funzione poetica con la lingua della poesia. Inoltre, le immagini (del pittore o del fotografo), che affiancano il dettato verbale del libro giocano, credo, la funzione di potenziamento “espressivo” come usa fare la stessa anadiplosi (semplice o più articolata), per esempio, ovvero quella parte della tecnologia retorica del “raddoppio” che movimenta “L’attimo”: “ Mio per mio peccato / peccato per mio abbandono alla tentazione/ …” (p. 26).
Come un teatro a scena aperta e montaggio filmico degli atti in corso e in primo piano, l’insegna del conflitto valorizza il contrasto tra i gioiosi peccati della carne (con-fusa/fusa) e il retaggio repressivo della colpa incolpevole e dell’impotente vanità che cerca di offuscare la forza e la potenza dell’anima corporea, carnale.
Certe “correspondences”, variamente connotate – dall’invocazione alla “musa”: Nox et omnia-preghiera della notte”, p. 15; dalla rivisitazione di Cecco Angiolieri: “… Minima ed immensa…”, p. 56, … alle “tentazioni” – “covami / confondimi / superami / eternami” (Inquieta vanitas, p. 44) della Patrizia Valduga –, sono sia il segno di un legame con il passato (che non ci lascia), sia il segno di una soggettività che lo visita e lo ridice con la coscienza del proprio tempo e una sensibilità intellettuale che è propria a ciascuno.
Del resto il poeta è sempre parlato anche da una lingua che non domina, se al mondo è venuto costruito da un tessuto culturale e storico-contestuale che gli permette di dire e scrivere; così come la continuità con chi ci ha preceduto è solo segno di una vitalità che è sotto la cenere e che poi, come una “rovina” palpitante, riemerge non appena soffia il pensiero delle passioni; quel pensiero riflettente che con la sua temporalità tempestiva-intempestiva è sommosso dall’urgere del non contemporaneo dimenticato ma non scomparso; la presenza che non molla e si fa contemporaneo struggere coniugando artificiale e reale (“mi struggerò in lacrime sopra una fantasia”, Puskin).
Credo che l’ascendenza romantica dell’amore come follia e delirio del corpo, o il ricorso a Venere, Adone, Narciso, nell’insieme della tua scrittura poetica, giochino come il ritorno del rimosso e un rinforzo del sognare: “perché occorre sempre avere un sogno nella vita!” (Cerca la vera bellezza, p 85).
Il valore d’uso di questa prova poetica “… e il corpo fu oltraggio” di Margherita Ingoglia, donna del secolo XXI, il tempo del virtuale e del simulacro, ri-propone (invece) la potenza concreta del corpo e della carne come il grido della vita che aborre tanto l’immateriale ideologizzato quanto il materiale manipolato dell’“uniforme” dell’eterno presente di questo secolo del marketing del sesso “anarchico” come della libertà desocializzata. Il rifiuto dell’omologazione uniformante, che disprezza il dis-forme e cartavetra l’eterogeneo nel recinto delle forme canonizzate, non poeticamente, essere più incisivo e parlante.

Se nei depositi dell’archeologia dell’anima, c’è la lacerazione del senso nelle/delle notti di luna piena e la genealogia del lupo predatore, il violentatore dell’“uniforme” e della rapina all’ordine, allora salut all’ “oltrage”, l’esplosione dell’oltraggio che irride il limite e la norma e canta la fusione oltre il principio di realtà e del piacere per una pulsione che solo la logica poetica è in grado di concettualizzare sensualmente.

venerdì 13 settembre 2013

Shalòm, Sono aperte le iscrizioni al Corso base low cost di ebraico moderno



Sono aperte le iscrizioni al Corso base low cost di lingua ebraica moderna “Shalòm” organizzato dall’associazione culturale per il dialogo interreligioso La Tenda di Abramo in collaborazione con le Edizioni La Zisa.
Il corso sarà tenuto da un insegnante di madrelingua ebraica e partirà nel mese di ottobre del 2013. Strutturato in 10 incontri (uno a settimana), avrà un costo complessivo, e comprensivo di materiale didattico, di euro 120. Le lezioni si terranno presso i locali della casa editrice La Zisa in via Lungarini 60, a Palermo. A richiesta, verrà rilasciato un attestato di frequenza.
Le iscrizioni dovranno essere effettuate presso la segreteria della casa editrice sita in via Lungarini 60, a Palermo (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,00 alle ore 13,00).


Per info: Tel. +39 091 5509295 o scrivere a: info@lazisa.it 

venerdì 6 settembre 2013

“GABBIE INVISIBILI” una recensione di LILIANA MICCICHE’



“Gabbie invisibili” potrebbe essere una storia come altre, ma non è così. Sono tante piccole storie, quanti i diversi personaggi, all’interno di una grande storia, quella della famiglia Mac Mahon. Su tutti i personaggi, ciascuno protagonista della propria storia, campeggia la figura di Annie, che assume il ruolo di protagonista assoluta dell’intero racconto. Per chi, da bambina, ha vissuto gli anni Cinquanta, Annie, compenetrata nel ruolo di chi deve comunicarsi per la prima volta, ed è felice di farlo, sembra incarnare tutte le brave bambine di quegli anni, con le loro ansia e i loro timori. Già dalle prime pagine sono chiari alcuni temi e topoi fondamentali: le regole discriminate e discriminanti, per maschi e femmine; l’assolutismo della Chiesa e dell’uomo di fede che non ammette punti di vista diversi; la paura della confessione che induce a mettersi a nudo, ma nel contempo la consapevolezza di avere agito secondo l’imprinting ricevuto; e, ancora, andando avanti, la competizione del figlio con il padre; la brava ragazza che ritarda il suo ingresso all’università per aiutare la famiglia; le scelte dei figli diverse da quelle che vorrebbero i genitori; la vera amicizia tra due persone del tutto differenti. E’ questo il tessuto ideologico dell’intero racconto, che suscita l’attenzione e la mantiene viva per tutto l’arco dello sviluppo narrativo, la cui cronologia giunge ai nostri giorni. L’ambiente è il New Jersey, ma potrebbe essere anche l’ Italia…, non è una componente fondamentale. Ciò che importa è l’evoluzione di una società lanciata nel progresso, un mondo che cambia, lasciando dietro di sé i frammenti di una famiglia che si spezza, un mondo che porta nuove verità, ricche di esaltanti promesse: il boom economico, la nuova morale sessuale, la vita militare che schiude nuovi orizzonti e lascia trasparire il sangue che scorre nel Vietnam. In questo nuovo scenario, in cui Annie cresce e diventa adulta, accadono vari colpi di scena che lasciano presagire chissà quali sviluppi: Annie, che fino ad ora ha impersonato il Bene, si innamora di Jeremy, il fratello acquisito dal quale è attratta sessualmente, e con lui consuma l’unico rapporto fisico. Jeremy, simbolo del peccato refrattario ai buoni consigli, dopo essersi macchiato di crimini orrendi, pare acquisisca una sensibilità e una maturità che non gli appartengono: piange vere lacrime, parte per il Vietnam per combattere una guerra che ritiene giusta e che pensa possa essere per lui motivo di palingenesi. In realtà nulla cambia: cambiano i tempi, i luoghi, le circostanze, ma gli uomini restano tali e quali. La brutalità della guerra negherà a Jeremy l’unica dignità che gli resta, la dignità di soldato, e noi lo ricorderemo come une eroe negativo, un antieroe. Annie, dopo un’altalena di momenti di felicità e di tormento, durante i quali cerca risposte nella religione che l’ha sempre sostenuta, matura la decisione di sposare Kevin, il marito-padrone. Con il matrimonio, tutto si ricompone-_l’unica smagliatura è stata la storia col fratello- e il cerchio si chiude: Annie, nonostante le sollecitazioni di Rob di cui forse è innamorata, e benchè desideri col marito quel rapporto paritario imposto dal neofemminismo, da cattolica non riesce a sciogliere le briglie delle istituzioni, la Chiesa e la famiglia, e, come spinta da una accettazione fatalistica della propria vita, si sottomette interamente al marito, così come ha fatto nei confronti della madre. La mancata determinazione la consegna ad una infelicità permanente. Annie resterà per sempre col marito che non ama più e dal quale non è amata, dove non c’è posto per la ribellione ma solo per l’implosione. Annie è prigioniera di se stessa, della sua stessa vita, di cui, per certo, non è mai stata la vera protagonista.
Le esperienze dell’Autore ragazzo, dell’Autore medico, dell’Autore trapiantato in America vengono assemblate nella mente di Colonna Romano e trovano la loro dimensione attraverso il filtro evocativo della fantasia, per comporre un universo dell’invenzione, che affonda le sue radici nel sentimento del passato e del presente. Nella narrazione, la fabula si alterna all’ intreccio e l’aspetto tematico, l’impossibilità di ciascuno  dei personaggi di uscire dai propri schemi mentali e pragmatici e la consapevolezza di essere condannato a restare in quella “forma” che ognuno di loro si è data, diventa denominatore comune di personaggi differenti che si mantecano con la loro diversità emotiva. Le loro caratteristiche e le loro storie irrisolte. La limpidezza dello stile dà concretezza alle vicende e alla realtà dell’animo umano. Le tecniche di cui l’Autore si serve, il discorso diretto, l’analessi, una pseudo metalessi rendono la narrazione più vivace.


Erino Colonna Romano, “Gabbie invisibili. Una rivoluzione vista da lontano”, romanzo, Edizioni La Zisa, pp. 256, euro 16,00

In una piccola cittadina del New Jersey, Riverton, dagli anni cinquanta ai nostri giorni, si svolge la vita di Ann, una donna che quasi inconsapevolmente conduce una silenziosa battaglia con se stessa per liberarsi da quelle strutture mentali e psicologiche che la tengono ingabbiata con fili invisibili e, per questo, tanto più crudeli, all’interno di un modello di vita che intimamente rifiuta, ma che non è in grado di abbandonare. Da bambina, Annie è ubbidiente e “la vita le sembrava un gioco divertente con istruzioni facili da osservare”; da adolescente e, poi, da adulta, quelle istruzioni e quelle regole ricevute da un’educazione tradizionalista e religiosa diventeranno la sua prigione, le toglieranno la libertà di scegliere e di amare. Nata negli anni del baby boom, l’esplosione demografica verificatasi nei 10- 15 anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, Ann vive nel mezzo della rivoluzione culturale degli anni sessanta. La Beat Generation, i sit-in e le marce, i movimenti per i diritti civili e per l’uguaglianza delle donne, con la loro forte spinta innovativa, a poco a poco metteranno in crisi le sue certezze con interrogativi angoscianti così come i personaggi e le vicende che attraverseranno la sua vita: la tragica fine della sorella, il rapporto imprevedibile col fratellastro, la singolare amicizia con Cathy, il rapporto irrisolto con la madre, la difficile relazione col marito, le scelte operate dalle figlie. Sono tutti personaggi che, non diversamente da Ann, sembrano avvitarsi su se stessi, prigionieri di scelte illusorie.

Pietro Colonna Romano (soprannominato Erino) nasce a Palermo il 14 agosto 1948. Si laurea in Medicina all’Università di Palermo nel 1976 e l’anno seguente si trasferisce negli Stati Uniti. Per sedici anni insegna Anestesiologia alla Hahnemann University di Philadelphia. Da dodici anni lavora come anestetista al Pennsylvania Hospital di Philadelphia. È sposato e padre di due figli. Questo è il suo primo romanzo, scritto in inglese e poi liberamente tradotto in italiano.

venerdì 30 agosto 2013

XXIX Premio internazionale di Poesia Città di Marineo, premiato Mario Tamburello (La Zisa)


Palermo, 30 agosto 2013 - La Giuria del Premio, organizzato dalla Fondazione culturale “Gioacchino Arnone” di Marineo, nella seduta dell’11 luglio scorso ha attribuito il primo premio per la poesia al grande poeta Vincenzo Cerami, appena una settimana prima della sua scomparsa, e ha designato gli altri vincitori del Premio. Nell’ambito della poesia edita in lingua siciliana il secondo premio è stato attribuito a Mario Tamburello con la raccolta ON-OFF. L’autore si appresta a pubblicare il secondo titolo con la nostra casa editrice.
È una raccolta pregna di vita quella di Tamburello, una fitta maglia di versi in cui s'annidano meditazioni sull'amore, i sogni, il quotidiano, i rapporti intimi con gli altri, la poesia e, in ultima istanza, il compito stesso del poeta. Con la matura consapevolezza di chi ha patito il dolore, l'autore esprime un bisogno profondo di relazioni autentiche, un desiderio di pietas nei confronti del prossimo scevro da qualsiasi retorica d'occasione. È per questo che gli oggetti, i ricordi e le voci conferiscono spessore a quest'esigenza di umanità, amalgamandosi e veicolando un messaggio semplice ed essenziale. L'itinerario espressivo si modella sul dialetto siciliano, che dà voce ai sentimenti allo stato puro e, attingendo al passato, si fa strumento di racconto del presente.
Mario G. B. Tamburello nasce nel 1962 a Milano da genitori siciliani. Insegnante di matematica e biologia, impiegato dell’ospedale Sacco di Milano quale referente della qualità per la Direzione Medica di Presidio. Dal 2010 all’Azienda Ospedaliera di Legnano nel ruolo amministrativo prima presso il Comitato Etico ora presso l’Unità di Cure Palliative e Terapia del Dolore. Già vicepresidente di un’associazione onlus dedicata alla disabilità da malattie neurologiche e difensore civico comunale, è stato assessore ai Servizi Sociali a Cuggiono, comune in provincia di Milano, dove risiede con la moglie M. Carmela e i figli Jacopo e Antonio.



mercoledì 28 agosto 2013

"Il giornalista Davide Romano minacciato da Davide Picardo, portavoce del CAIM" di Alessandra Boga



Il giornalista Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano, ha denunciato che il Coordinamento delle Associazioni Islamiche milanesi (CAIM) ha deciso di invitare per le celebrazioni di fine Ramadan l’imam giordano  Riyadh al Bustanji, il quale esalta l’invio di bambini come terroristi suicidi. Per tutta risposta, Romano rischia di essere denunciato per “diffamazione e istigazione all'odio razziale e religioso” (sic!) da Davide Piccardo, portavoce del CAIM e figlio di Hamza Roberto Picardo, segretario generale dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UC.O.I.I.), legata ai Fratelli Musulmani. Piccardo jr. l'ha minacciato a mezzo stampa.

Ad aggravare il tutto c’è il fatto che il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, non ha neppure preso posizione riguardo ad un episodio così surreale ai danni di un cittadino che ha solo difeso il diritto alla vita dei bambini. Peggio: il Comune di Milano ha partecipato all’iniziativa (Romano si augura che si sia trattato solo “di una svista”).
Perciò su Facebook è nata la fanpage di solidarietà “Non lasciamo Davide Romano da solo a difendere i bambini”: per chiedere con una petizione “chiarezza sulle dichiarazioni a favore del martirio dei bambini-kamikaze”, per domandare che Pisapia faccia sentire la sua voce in difesa del giornalista, e per far capire che Milano non è in balia dei diktat islamici.
Racconta Romano: "Avendo saputo che l'imam Al-Bustanji avrebbe partecipato all'evento di fine Ramadan" (condotto la preghiera di più di oltre10mila musulmani, all’Arena Civica, ndr) mi sono informato su chi fosse . Ho trovato un'intervista in cui racconta, tra le altre cose, di avere incontrato un bambino di meno di 10 anni che voleva farsi martire a Gerusalemme”. Mi aspettavo”, aggiunge, “un racconto dell'imam in cui spiegava come ha fatto a far recedere il bambino da un proposito così folle. Qualunque adulto ragionevole l'avrebbe fermato. Invece no: di fronte a un bambino con propositi suicidi, l'imam inizia a esaltarlo”.
La comunità ebraica milanese ha preso una netta posizione contro l’iniziativa del CAIM, arrivando a sospendere i rapporti con l’organizzazione islamica. Parole di condanna per l’invito all’imam integralista sono arrivate anche da molti consiglieri comunali del capoluogo lombardo e non solo.
Dal canto suo, Romano ha chiesto a Piccardo di puntare il dito contro il terrorismo, in particolare quello che impiega bambini; ma lui nega che l’imam abbia inneggiato all’odio (parola vaga e ambigua) e al martirio (dal che si evince che, a suo avviso, il terrorismo suicida islamico è martirio?). Il giovane Piccardo si limita a continuare a tirare in ballo la “questione palestinese” che il portavoce della sinagoga milanese non ha neanche citato. “La mia presa di posizione”, spiega Davide Romano, “era solo e unicamente legata al comportamento di un leader religioso di fronte a un bimbo con propositi di quel genere. I diritti dell'infanzia vengono prima di tutto”. Perciò il portavoce del Beth Shlomo ha chiesto le dimissioni del portavoce del CAIM, se egli non dovesse “rivedere” le proprie posizioni.
“Mai ho messo piede in un aula di tribunale e mai avrei pensato di doverlo fare per un accusa così assurda”, afferma. “Mi resta la consapevolezza di essere nel giusto, cosa che mi farà affrontare il processo a testa alta”.
Rimane comunque una punta di amarezza, dovuta proprio al fatto che Pisapia non abbia preso posizione e che il Comune abbia avuto parte nelle celebrazioni a cui è stato inviato Al Bustanji.
“Dal sindaco di Milano, un avvocato e un politico noto per il suo garantismo e la difesa dei diritti dei più deboli, mi sarei aspettato qualcosa di più”, dice Romano. “Quando mi capita di andare a parlare nelle scuole parlo spesso di come la qualità delle istituzioni dipenda anche dall'impegno dei cittadini a partecipare alla vita pubblica. Di come sia importante non delegare tutto alla politica. E' quello che ho fatto. Mai mi sarei aspettato di essere lasciato solo. Mai avrei pensato che il mio sindaco non prendesse posizione tra chi difende i diritti dell'infanzia e chi li viola. Mai avrei pensato che proprio lui si voltasse dall'altra parte di fronte a una denuncia così infamante. Ora però, inizio a farlo”. 

martedì 6 agosto 2013

Il senatore Lucio Malan (Pdl-Forza Italia) dal suo blog se la prende con la casa editrice, per una sua pubblicazione, e con un pastore valdese

UN PASTORE PARLA DI “BRANI BIBLICI AFFETTI DA OMOFOBIA”. E CITA ROMANI 1. Allora è vero che con la legge anti omofobia la Bibbia è fuorilegge!

Nell’ultimo numero di Riforma (che a un mese dai fatti non ha ancora dato notizia del predicatore evangelico arrestato a Londra per una legge “anti-omofobia” molto simile a quella in discussione in Italia) c’è un’ampia recensione del libro di Nicolò D’Ippolito, In cammino tra fede e omosessualità, prefazione di “don” Franco Barbero, Edizioni La Zisa. L’autore dell’articolo è il pastore valdese di Palermo Giuseppe Ficara, già membro della Tavola per sette anni e recentemente eletto pastore in una delle due più grandi comunità valdesi, Luserna San Giovanni, dove si insedierà tra breve. Insomma, una delle figure di spicco della Chiesa Valdese, che, peraltro, fino ad ora non si era distinto per posizioni estreme.
La recensione (che siti meno rispettosi di noi del diritto d’autore di Riforma già riportano integralmente) potrebbe essere definita “adesiva”, sembra cioè sposare totalmente le tesi del libro. Ma c’è un punto dove il pastore Ficara ci mette del suo, quando dice “Ho apprezzato la notevole precisione teologica nell’esporre i brani biblici affetti di omofobia: quello di Sodoma nella Genesi, quello di Romani 1; ma anche la problematica degli eunuchi.”
Abbiamo più volte detto che il problema di una legge anti “omofobia”, è che cosa si intenda con questo termine. Tutti sono d’accordo sul fatto che vada punito chi inciti a picchiare i gay. Ma questo comportamento è punibile, già oggi, dall’articolo 414 del codice penale: “Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione: con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti”. Tuttavia c’è chi vorrebbe fare dell’ostilità verso un certo orientamento sessuale una aggravante particolare nel caso di commissione di reati. Una posizione discutibile, dato che – ad esempio – non c’è nessuna aggravante specifica per chi picchia un disabile, ma almeno non sarebbe una misura pericolosa. Il pericolo, abbiamo detto più volte, è che con il testo di legge attualmente in discussione, chi sostiene la maggiore valenza sociale o morale della famiglia tradizionale rispetto a coppie dello stesso sesso, ovvero affermi che l’omosessualità è un peccato davanti a Dio venga ritenuto “omofobo” e dunque punito con il carcere.
Nello stesso numero di Riforma che, a pagina 10 afferma non esserci questo pericolo, e che tutti i cristiani dovrebbero volere la legge anti omofobia, a pagina 7 il pastore Ficara afferma con certezza che Genesi 19 e Romani 1 sono “affetti di omofobia”. È evidente, allora, che leggere in pubblico questi brani mostrando di condividerli sarebbe reato di “omofobia”, previsto dall’attuale testo della legge. E, sempre in base a quel testo, la sola appartenenza a organizzazioni che sostengano tali idee, andrebbe punita con il carcere, da sei mesi a tre anni. La pena è raddoppiata per chi dirige tali organizzazioni.
E questo sulla base dell’autorevole parere di Giuseppe Ficara che, come pastore è sicuramente esperto di Bibbia e come studioso di problematiche legate all’omosessualità, è qualificabile come esperto in omofobia.
Ma una legge dello Stato sbagliata ci importa meno di un pastore che parla di brani della Bibbia“affetti” da qualcosa, che sia omofobia o altro. Quella Bibbia che, secondo la confessione di fede che ha solennemente sottoscritto un giorno, “divina e canonica, ciò è (per) regola della nostra fede e vita”, aggiungendo “che riconosciamo la divinità di questi libri sacri non solo dalla testimonianza della Chiesa, ma principalmente dalla eterna et indubitabile verità della dottrina contenuta in essi, dall’eccellenza, sublimità e maestà del tutto divina che vi si dimostra, e dall’operatione dello Spirito Santo che ci fa ricevere con riverenza la testimonianza la quale ce ne rende la Chiesa, e che ci apre gli occhi per iscoprir i raggi della celeste luce che risplendono nella Scrittura, e corregge il nostro gusto per discernere questo cibo col suo divino sapore”.
I casi sono due: o Giuseppe Ficara, che pure è pastore alacre e predicatore appassionato, sbaglia oggi a parlare di brani biblici affetti da omofobia (che una legge sostenuta da tanti pastori vuol punire con il carcere) o ha sbagliato quando ha sottoscritto la confessione di fede nell’essere consacrato pastore. Noi speriamo davvero che si sia sbagliato nello scrivere quella recensione. Attendiamo si sentirlo da lui.

martedì 30 luglio 2013

«Non importa se la strada è una “trazzera”. Fede e omosessualità, un cammino reso meno arduo dalla preghiera» di Giuseppe Ficara (Riforma, numero 30, 2 agosto 2013, pagina 7)

Il titolo del libro* non deve indurre a una interpretazione errata del suo contenuto. In cammino tra fede e omosessualità non significa che c’è un cammino che permette il passaggio dalla fede all’omosessualità come se l’omosessualità si contrapponesse alla fede e ne dichiarasse la sua assenza. Si tratta piuttosto di un cammino biografico che l’autore riporta, il suo, il quale, partendo dalla fede giunge alla fede, a una fede cioè più matura e consapevole, non ipocrita, ma che cerca ogni giorno di essere sempre più autentica. Ma Nicolò non arriva finalmente a destinazione e scrive così la sua storia; Nicolò scrive per dire che la fede è sempre un percorso e mai un capolinea, la fede è un work in progress, un cammino, appunto: non per nulla in copertina vi è una trazzera. Non c’è disegnata un’autostrada perché devi vivere ogni momento dei tuoi passi, non puoi sorvolare velocemente con un’automobile perdendo tutto il senso della vita. Così l’autore può affermare: «la vita è un divenire, un continuo crescere. Guai a pensare di essere arrivati» (p. 108).
Nicolò d’Ippolito esordisce spiegando che, dopo la scoperta della sua omosessualità, la considerò come una punizione di Dio, e che comunque non poteva accettare né come punizione né come evento della vita perché desiderava una «famiglia», avere dei figli, una vita «normale». Ma la sua visione di famiglia e di figli era ancora quella tradizionale per la quale la sua condizione diventava un impedimento affinché si realizzasse. In effetti, l’autore spiega bene quale fosse il vero problema: «Forse non mi accettavo ancora» (p. 22). In tutto il racconto storico, che non è cronologico se non per quanto riguarda una consapevolezza di sé sempre più matura, vi è un filo rosso che non si interrompe mai ed è la preghiera al Padre. Non ci sono occasioni in cui il Padre non sia interpellato, o non ci si affidi a lui. Nicolò ha pregato anche per chi lo ha ferito intimamente, come don Pancrazio che nell’omelia inveisce contro la classe docente, a suo dire, amorale e sviante perché di sinistra. Curiosa l’omelia contro il demonio che le donne avrebbero fra le cosce (p. 55). Ovviamente l’interpretazione della realtà e della preghiera è tutta di Nicolò, quindi autentica: come egli ha vissuto i problemi e come ha vissuto la preghiera di richiesta e la risposta che spesso non perveniva, mentre altre volte era più che chiara. «Non capivo perché ogni volta che mi sentivo soddisfatto precipitavo nella disperazione. E il Padre mi lasciava senza risposte» (p. 27). Eppure a p. 68, in una condizione di grande agitazione e quasi disperazione, una bella risposta Nicolò se la dà: «E se fossi stato lo strumento per far capire che dove c’è amore c’è Dio? Gesù lo aveva fatto “ed era finito sulla croce”, mi ripetevo. “Ma col suo amore ci aveva salvati tutti”».
Perciò le scelte, ma soprattutto gli stati d’animo devono diventare palpabili per essere una risposta del Padre o una richiesta al Padre. Delle gocce luminose indicano una risposta positiva, un intervento del Padre con la gioia che ne consegue, e delle presenze attorno a sé indicano la lotta che Nicolò intraprende dopo un’astinenza casta di due anni, ricominciando a vivere includendovi la propria sessualità piuttosto che reprimerla; Nicolò lotta per perseguire la propria affermazione, la propria identità di essere umano con le proprie peculiarità. Rinuncia alla rinuncia, dice basta alla repressione della sua sessualità perché nessuno ha il diritto di chiederglielo, neppure il «Padre».
L’insistenza ossessiva di Nicolò nel convincere il lettore circa il fatto che gli omosessuali nascono tali perché si tratta di un fatto genetico, indipendentemente dalla scientificità di questa affermazione, vuole semplicemente affermare con forza che gli omosessuali sono creati da Dio, sono una buona creazione di Dio, sono figli di Dio e quindi, come tutti, un dono di Dio. Perciò Nicolò afferma: «Oggi è assodato che omosessuali si nasce e non si diventa, se mai ci si scopre, ci si accetta anche in età adulta, vivere contro natura sarebbe un peccato contro il corretto sviluppo psicofisico affettivo di ogni essere umano, e contro Dio, Padre e Madre» (p. 87). Ho apprezzato la notevole precisione teologica nell’esporre i brani biblici affetti di omofobia: quello di Sodoma nella Genesi, quello di Romani 1; ma anche la problematica degli eunuchi. Là dove è riportata la lezione del pastore Giampiccoli relativa ai quattro termini per definire l’essere umano c’è un piccolo errore di trascrizione a pag. 74: infatti non è Adòn/Adonà per definire l’uomo tratto dalla terra, ma Adam/Adamah. Ma bisogna sapere l’ebraico per notare l’errore. Nicola scrive per parlare della sua gaytudine, come egli la definisce. Ma perché ce n’è bisogno? Perché non è riconosciuta la dignità delle persone omosessuali. «Ho lottato per vivere con dignità e non finirò mai di asserire il mio orientamento sessuale sino a quando lo Stato italiano mi farà vivere come cittadino di serie B. Quando anche in Italia avremo una legge contro l’omofobia e per i matrimoni omosessuali finirò di parlare della mia gaytudine perché allora sarò un cittadino, un fratello come gli altri» (p. 96). In conclusione voglio citare delle parti molto belle sulle chiese, là dove, parlando della sua frequentazione della Comunità di San Saverio, Nicolò dice: «Non ci sono cristiani migliori per l’appartenenza a una chiesa. Ci sono esseri umani che, come tali, possono essere intelligenti o meno, superficiali o responsabili, colti o ignoranti. L’importante è vivere da cristiano.
Non ci sono etichette. Continuo a considerarmi valdese per quanto la chiesa porta avanti per innovazioni e interpretazione della Bibbia. Da noi la comprensione è in itinere, non c’è una verità assoluta, ma in evoluzione». Credo che all’autore questa autobiografia gli sia servita per fare il punto della situazione: dove sono arrivato? Quale futuro? Ci sono alti e bassi, cadute e riprese: bene – dice Nicola – così posso capire meglio, riflettere, crescere e andare avanti. «Il Padre non ci dà nulla che le nostre spalle non possono sopportare… Adesso so che c’è lui a sorreggermi, anche quando non lo sento» (p. 106). Ma ecco che torna la speranza che, fin dalle prime pagine, aveva fatto capolino, prima come rivendicazione, ora, appunto come speranza che dà un senso compiuto alla vita, all’esistenza nella certezza che il Padre esaudisca nella preghiera: «E continuo a credere, a sperare che un giorno anch’io possa avere un compagno, una famiglia e vivere benedetti dalla comunità nel nome del Padre» (p. 106).

*Nicolò D’Ippolito, “In cammino tra fede e omosessualità”, prefazione di don Franco Barbero, Edizioni  La Zisa, pp. 112, euro 9,90

mercoledì 24 luglio 2013

Linda Rando condannata per diffamazione. Ecco i fatti, tra disinformazione, censura e buona educazione

Postato da Massimiliano Maccaus

E’ assurto al mainstream nazionale, tramite il sito web de Il Fatto Quotidiano, il caso di Linda Rando, la blogger condannata dal tribunale di Varese per la presenza sul proprio sito – così dicono – di commenti da qualcuno giudicati diffamatori della propria reputazione.
Linda è l’amministratrice del blog writer’s dream, e parla a migliaia di persone dei problemi del mondo dell’editoria e della scrittura. Di recente s’è schierata contro i cosiddetti editori a pagamento; quelli che, per intenderci, pubblicano le opere dietro corrispettivo, archiviando l’ideale romantico dell’imprenditore che crede in un autore, lo finanzia, e ne condivide a proprio rischio i successi e gli insuccessi. Non si tratta tanto di crisi di talenti, anzi: gli aspiranti autori sono sempre di più, ma per gli editori diventa sempre più difficile scegliere se e come investire, e alcuni (tanti?) si sarebbero riciclati in questo compromesso.
Linda, dicevamo, s’è schierata, affrontando l’argomento sul proprio blog. Ha avuto quindi l’idea – scrive Alessandro Madron sul pezzo de Il Fatto Quotidiano che se n’è occupato sul web, presto ripreso e rilanciato da decine di altri siti web e quotidiani tradizionali –“di creare delle liste nelle quali elencare tutti gli editori che in qualche forma si facevano pagare dagli autori per pubblicare i loro libri”.
La discussione – prosegue Il Fatto – “ ha dato vita ad una lunga sequenza di commenti, alcuni dei quali oggettivamente lesivi dell’onorabilità e della dignità delle case editrici citate”. Una di queste, quindi, ha portato Linda innanzi al Tribunale di Varese. “Sono andati a colpo secco su di me” – si legge nell’articolo – “ritenendomi responsabile del contenuto dei commenti scritti dai lettori”.
Facciamo chiarezza. Della vicenda ci eravamo occupati in Caffè News qualche giorno fa: stupiti dalla notizia, siamo stati tra i primi a contattare Linda, a offrirle la nostra solidarietà e a chiederle, ottenendola, copia della sentenza. Dopo averla letta, abbiamo deciso di non pubblicare alcun articolo in proposito. I presupposti e i fatti non danno invero, a legger la sentenza, alcuna ragione a Linda, né abbiamo intravisto tra le motivazioni alcuna ingiustizia, malversazione o persecuzione giudiziaria. Linda ha pubblicato sul proprio blog, dal 2008 al 2010, contenuti gravemente diffamatori per terzi (“cloache editoriali”, “strozzini”, “cosche mafiose”, “repressa del cazzo”: “affermazioni travalicanti il diritto di critica” – si legge in sentenza – obiettivamente tali da ledere l’onore della casa editrice), ed è stata condannata: multa e risarcimento, più le spese. Se ricorrerà in appello, come annuncia di fare, la vicenda proseguirà in secondo grado. Nessuna notizia, quindi, a nostro giudizio, a meno di non considerare notiziabile la circostanza che chi sbaglia paghi. Per noi, quindi, nessun articolo, e non ne avremmo parlato più.
Nei giorni successivi però, con nostro grande stupore, abbiamo visto la notizia cavalcata dai media nazionali, con un taglio teso ad avvalorare in chi legge l’idea che la blogger abbia subito un torto giudiziario. Prospettiva che purtroppo travisa del tutto il contenuto stesso della sentenza.
Si legge infatti su Il Fatto, per esempio, che “il blog è stato trattato come un qualunque giornale cartaceo, per cui Linda, in qualità di responsabile della pubblicazione, secondo il giudice – che cita espressamente la legge sulla stampa del 1948 – avrebbe dovuto intervenire censurando i commenti diffamatori”.
Da una lettura persino superficiale della sentenza, però, ci si rende facilmente conto che non occorre essere giuristi per capire che questo non è vero. Sarebbe bastato semplicemente leggerla con maggiore attenzione: “nel caso di specie” – recita infatti – “il sito writersdream.org non ha caratteristiche di informazione ascrivibili alla stampa, ma costituisce la base per la costruzione di un gruppo settoriale di interesse, composto da scrittori esordienti, o aspiranti tali, mediante la discussione di temi comuni”. Il giudice quindi non ha affatto assimilato il blog a una testata giornalistica, e conseguentemente non ha applicato per esso la normativa cui queste soggiacciono, ma ha considerato invece il sito web niente più che “un mezzo di pubblicità” delle offese recate (“documentate ampiamente“), in parole povere una specie di megafono privo di dignità giornalistica, pur ammettendo che compete al giudice, volta per volta, decidere se un sito web possa qualificarsi, o meno, come “stampa”.
Venendo alla vexata quaestio della condanna avvenuta a causa dei commenti pubblicati dai lettori del blog, considerata su Il Fatto online la vera notizia, tanto da assurgerne a titolo: « Diffamazione, blogger condannata: “Responsabile per i commenti dei lettori », ci amareggia constatare che in sentenza la questione dei commenti non è affrontata se non marginalmente: “l’attribuzione di responsabilità all’imputata”, recita infatti il dispositivo, “è diretta”.
Linda Rando è stata condannata intanto per quanto da lei stessa scritto (“intraprendeva una campagna denigratoria”), e poi – è qui l’unico accenno ai commenti – per quant’altro di diffamatorio fosse pubblicato sul sito da lei amministrato, intendendosi implicita la sua approvazione dei commenti pubblicati dai lettori. Gli autori dei commenti, si legge, “semmai concorrono nel reato, ma di essi in questo processo non v’è traccia d’identificazione, né sono imputati”. Se mai restasse un dubbio, basta leggere quanto dichiara a Il Fatto la stessa blogger: “ancora oggi non sono riuscita a trovare i commenti oggetto della condanna”. Hai visto mai. In ordine alla responsabilità oggettiva dell’amministratore di un sito sui commenti per suo tramite postati in rete, nulla da dire: basta applicare un filtro, ed approvarli tutti ad eccezione di quelli da codice penale. Chi non lo fa, bene che si sappia, ne ha colpa, e condivide le responsabilità con l’offensore. Il reato, infatti, non solo si commette in casa mia ma, di più, si commette a causa del fatto che ho lasciato imprudentemente la porta aperta.
La vicenda, fuor dal processo, è comunque di primissima attualità, e per due motivi.
Il primo è sotto gli occhi di tutti, e pone molti interrogativi, nel constatare il persistere d’un certo modo di fare informazione travisando fatti pur evidenti in nome dello scoop giornalistico, finendo così per confezionare la notizia, piuttosto che raccontarla. La notizia, a nostro avviso (ma è la stessa etica giornalistica a parlare) non può sovrapporsi ai fatti, ma deve piuttosto riferirli, certo commentandoli in vario modo, ma senza mai piegare la realtà. Se sono leciti differenti punti di vista nella redazione di un articolo – quelli che gli addetti ai lavori chiamano tagli redazionali – ecco che questi devono sempre sapersi mantenere nell’alveo dell’obiettività oggettiva. Che in questo caso, come in altri, e purtroppo sempre più spesso, è venuta a mancare.
Il secondo si legge nel dispositivo della sentenza, nel punto in cui il giudice considera, relativamente alla condotta complessiva della blogger, le circostanze aggravanti che le sono contestate equivalenti all’attenuante della giovane età e “di una sottovalutazione delle condotte illecite, frutto di una diseducazione di cui essa stessa è vittima, in un contesto sociale di falsamente proclamata liceità di qualsiasi lesione dell’altrui personalità morale, tanto più se veicolata dai mezzi di comunicazione”. Il giudice di Varese ha qui preso atto del dilagare di una violenza verbale non più tollerabile, tanto nel mondo reale che in quello digitale, esito di una cultura distorta entro la quale sembrerebbe essere invalsa l’opinione che la rete è una zona franca nella quale, protetti dall’anonimato del nickname, è lecito sparare a zero contro tutti e tutto, lasciarsi andare ai commenti più triviali, ed esternare ogni pensiero proveniente dalla pancia come mai ci si sognerebbe di fare nella realtà.
Non è così. E sarebbe ora di capire che la rete è strumento di comunicazione mediata che non ci pone al di fuori, ma ancor a più stretto contatto con la realtà. E come accettiamo che i contratti che stipuliamo in rete sono contratti veri, o che i conti correnti online sono conti correnti veri, parimenti dobbiamo riconoscere che le offese che rivolgiamo ad altri in rete sono offese vere e, di più, destinate a persistere per tempi che non potremo controllare, e a circolare con velocità che ancor adesso neppure comprendiamo.
L’argomento contrario fa leva spesso sulla censura: “come principio non censuriamo i commenti”, si legge nell’intervista rilasciata da Linda a Il Fatto Quotidiano. Il blog, dice, “è uno spazio di libera espressione e ciascuno dovrebbe poter dire quello che pensa, assumendosene la piena responsabilità”. Ebbene, anche a rischio d’apparire retrogrado, dirò che se qualcuno dei miei commensali, invitati una sera a cena a casa mia, si sognasse d’insultare gli altri gratuitamente, lo censurerei eccome, e gli indicherei pure la porta, senza timore d’esser passato per quello che non consente la libertà d’espressione del pensiero.
Libertà d’espressione non è infatti il poter cedere ad ogni impulso coprolalico, non è rutto libero, e non ha esito nella sovranità d’insultare tutti impunemente. Non si tratta infatti di censura, ma sono chiamate in causa, assai più banalmente, alcune elementari, quanto dimenticate, regole di ordinaria buona educazione.


lunedì 22 luglio 2013

Shalòm, Sono aperte le iscrizioni al Corso base low cost di ebraico moderno


Sono aperte le iscrizioni al Corso base low cost di lingua ebraica moderna “Shalòm” organizzato dall’associazione culturale per il dialogo interreligioso La Tenda di Abramo in collaborazione con le Edizioni La Zisa.
Il corso sarà tenuto da un insegnante di madrelingua ebraica e partirà nel mese di settembre del 2013. Strutturato in 10 incontri (uno a settimana), avrà un costo complessivo, e comprensivo di materiale didattico, di euro 120. Le lezioni si terranno presso i locali della casa editrice La Zisa in via Lungarini 60, a Palermo. A richiesta, verrà rilasciato un attestato di frequenza.
Le iscrizioni dovranno essere effettuate presso la segreteria della casa editrice sita in via Lungarini 60, a Palermo (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,00 alle ore 13,00).
Per info: Tel. +39 091 5509295 o scrivere a: info@lazisa.it 

Progetto Accademia. La tesi di laurea può diventare un vero libro



La casa editrice La Zisa offre una grande opportunità a laureandi e laureati, proponendo la pubblicazione delle tesi di laurea già discusse o da discutere all’interno della nuova collana “Accademia”. È possibile inviare i testi, insieme ai propri dati (nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico), entro e non oltre il 31 ottobre 2013 al seguente indirizzo: Edizioni La Zisa, via Lungarini 60 – 90133 Palermo; o via e-mail a: lazisaeditrice@gmail.com, in formato doc o pdf.

Gli autori delle opere ritenute idonee per la pubblicazione riceveranno una proposta editoriale. I manoscritti non saranno restituiti. Tutte le tesi selezionate, tra le più originali e brillanti, saranno immesse sul mercato sotto forma di saggi dotate di codice Isbn per essere identificate in tutto il mondo, di bollino Siae per la tutela del diritto d’autore e di codice a barre e verranno promosse e distribuite su tutto il territorio nazionale.

Il progetto “Accademia” che non ha precedenti in Italia, persegue l’obiettivo di diffondere e far conoscere le nuove visioni di chi ha svolto un serio lavoro di ricerca, impostazione e analisi riguardo le più svariate tematiche. La pubblicazione della tesi può valere, inoltre, un maggiore punteggio ai concorsi pubblici, arricchire il curriculum vitae ed è la memoria tangibile di un giorno importante da dedicare ad amici cari e parenti.


Per informazioni: www.lazisa.it, info@lazisa.it o tel. 0915509295.

domenica 21 luglio 2013

Davide Romano di La Zisa, ''Magistrati come Paolo Borsellino sono eroi isolati'' . libreriamo.it - recensioni libri



Il presidente della casa editrice palermitana, impegnata da 25 anni sul fronte della lotta alle mafie e all’illegalità, nell’anniversario della strage di via d’Amelio richiama alla necessità di un ricordo che non sia solo retorica celebrazione, ma concreto impegno quotidiano

MILANO – Che senso ha una lotta alle mafie portata avanti da pochi eroi se il nostro Paese non vuole essere liberato? È la riflessione sollevata da Davide Romano, presidente della palermitana Edizioni La Zisa, nel giorno dell’anniversario di morte di Paolo Borsellino: al di là delle celebrazioni retoriche, sarebbe necessario un impegno concreto e costante contro l’illegalità. Romano ci consiglia qualche lettura dal catalogo della casa editrice, da 25 anni attenta al tema della lotta alle mafie e della collusione tra criminalità organizzata e potere.  

Quanto è importante mantenere viva la memoria di un eroe come Paolo Borsellino?
Ci si potrebbe chiedere perché sia più facile rendere omaggio a un magistrato morto che sostenere un magistrato vivo che si batte contro le mafie e l’illegalità. L’impegno dovrebbe essere non soltanto quello di una retorica celebrazione, cui assistiamo ogni anno, ma di una seria lotta contro la cultura dell’illegalità e soprattutto contro l’illegalità presente nella classe dirigente.
Da parte nostra, uno dei primi titoli che abbiamo pubblicato, negli anni Ottanta, è stato una raccolta di interventi di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, oltre che di Rocco Chinnici, su temi come la legalità, lo Stato, le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni, in un’epoca in cui loro erano sotto attacco da parte anche di certa politica che oggi li osanna. 

Qual è stato il valore dell’opera di Borsellino nella lotta alla mafia?
Borsellino, Falcone e altri come loro hanno avuto un ruolo fondamentale. E hanno giocato questo ruolo in totale solitudine, il che rende il loro sforzo ancora più eroico e significativo. Quello che mi domando è se la lotta alle mafie possa essere lasciata nelle mani di pochi eroi: se un popolo non è in grado di liberarsi e non vuole essere liberato, ha senso continuare la battaglia?

Il vostro catalogo dedica grande attenzione a questi temi. Può consigliarci qualche lettura in questa particolare occasione?
La casa editrice è nata 25 anni fa e fin dall’inizio ha dedicato grande attenzione a questi argomenti, anche quando non erano così popolari come oggi. Negli anni abbiamo continuato questo impegno attraverso la saggistica e anche attraverso biografie – per esempio quella scritta da Rosaria Brancato, “Con i tuoi occhi”, dedicata alla vittima della mafia Graziella Campagna. 
Un testo che in particolare mi sentirei di consigliare è “La zona grigia” di Nino Amadore, che affronta un tema fondamentale per la conoscenza e la comprensione del tema mafioso: il rapporto con i colletti bianchi, con il potere economico e politico. Noi abbiamo attualmente un governatore sostenuto da un partito che era alleato al precedente governatore, sotto inchiesta per mafia. Secondo me una riflessione pubblica su questo argomento andrebbe avviata: è possibile che gli stessi esponenti politici sostengano prima un governo e poi un altro? Ricordare Borsellino andrebbe fatto anche in questo modo.

Attraverso quali progetti la casa editrice ha intenzione di portare avanti in futuro il suo impegno su questo fronte?
Continuiamo con la nostra programmazione, ma soprattutto cerchiamo di agire in modo concreto contro l’illegalità. Dal 2007 abbiamo contrassegnato i nostri libri con il bollino “pizzo free”. Noi non paghiamo il pizzo a nessuno, né alla mafia, né alla politica, né alla burocrazia. 
Il progetto è costruire una possibilità: dimostrare che oltre alla clientela e all’emigrazione si possa pensare a un’impresa alternativa in Sicilia.

Ci illustra più in generale il catalogo della casa editrice?
Oltre a questo filone, che rappresenta un po’ la ragion d’essere della casa editrice, c’è anche una grande attenzione alla storia del movimento sindacale e alla storia della sinistra italiana, quella più nobile – abbiamo pubblicato i diari inediti di Li Causi, così come scritti di Napoleone Colajanni. Siamo molto attenti anche alle minoranze più critiche – abbiamo pubblicato per esempio “Il popolo della Bibbia”, la storia dei valdesi di Teodoro Balma, o “Apologia dell’ebraismo” di Dante Lattes. Con nostra grande sorpresa l’anno scorso di noi parlò Saviano, che nel corso di una sua presentazione citò un nostro testo: “La grande crisi del ’29” di Ugo Pettenghi. Ci sono poi anche collane di narrativa, centrate sulla storia locale e, anche qui, sulle minoranze: abbiamo un filone di narrativa scritta da omosessuali. 
Vorrei ricordare anche il nostro impegno a fianco dell’associazione Prometeo, onlus che opera nel campo della lotta alla pedofilia. Sono usciti per la casa editrice due libri sulla pedofilia del presidente e fondatore Massimiliano Frassi, “Perché nessuno mi crede?!” e “Il libro nero della pedofilia”, e un altro dello stesso argomento di Nicolò Anghileri, “Destini che nessuno sa”. 

19 luglio 2013

venerdì 19 luglio 2013

XXXIX Premio internazionale di Poesia Città di Marineo: al nostro autore Mario Tamburello va il secondo premio di poesia in lingua siciliana


La Giuria del Premio, organizzato dalla Fondazione culturale “Gioacchino Arnone” di Marineo, nella seduta dell’11 luglio scorso ha attribuito il primo premio per la poesia al grande poeta Vincenzo Cerami, appena una settimana prima della sua scomparsa, e ha designato gli altri vincitori del Premio. Nell’ambito della poesia edita in lingua siciliana il secondo premio è stato attribuito a Mario Tamburello, con la raccolta ON-OFF. L’autore si appresta a pubblicare il secondo titolo con la nostra casa editrice.
È una raccolta pregna di vita quella di Tamburello, una fitta maglia di versi in cui s'annidano meditazioni sull'amore, i sogni, il quotidiano, i rapporti intimi con gli altri, la poesia e, in ultima istanza, il compito stesso del poeta. Con la matura consapevolezza di chi ha patito il dolore, l'autore esprime un bisogno profondo di relazioni autentiche, un desiderio di pietas nei confronti del prossimo scevro da qualsiasi retorica d'occasione. È per questo che gli oggetti, i ricordi e le voci conferiscono spessore a quest'esigenza di umanità, amalgamandosi e veicolando un messaggio semplice ed essenziale. L'itinerario espressivo si modella sul dialetto siciliano, che dà voce ai sentimenti allo stato puro e, attingendo al passato, si fa strumento di racconto del presente.

Mario G. B. Tamburello nasce nel 1962 a Milano da genitori siciliani. Insegnante di matematica e biologia, impiegato dell’ospedale Sacco di Milano quale referente della qualità per la Direzione Medica di Presidio. Dal 2010 all’Azienda Ospedaliera di Legnano nel ruolo amministrativo prima presso il Comitato Etico ora presso l’Unità di Cure Palliative e Terapia del Dolore. Già vicepresidente di un’associazione onlus dedicata alla disabilità da malattie neurologiche e difensore civico comunale, attualmente è assessore ai Servizi Sociali a Cuggiono, comune in provincia di Milano, dove risiede con la moglie M. Carmela e i figli Jacopo e Antonio.


mercoledì 17 luglio 2013

Concorso di poesia religiosa “POESIA PER DIO, QUASI UNA PREGHIERA”



La casa editrice La Zisa indice un concorso per la selezione di opere poetiche a tema religioso, per promuovere la cultura, la poesia e la fede quali mezzi idonei a valorizzare gli ideali umani. La partecipazione è riservata a componimenti inediti (massimo 30 righe) a tema religioso su ogni aspetto della fede e valore cristiano e vi possono partecipare autori italiani e stranieri.

I lavori devono essere indirizzati a: Edizioni La Zisa, via Lungarini 60 – 90133 Palermo e inviati entro e non oltre il 30 novembre 2013; in alternativa è possibile spedirli all’indirizzo e-mail: lazisaeditrice@gmail.com, in formato doc o pdf, inserendo anche le proprie generalità, l’indirizzo e-mail, il proprio recapito e numero telefonico. Si consiglia anche di allegare all’elaborato un breve profilo dell’autore.


La segreteria comunicherà tempestivamente le opere selezionate che andranno a comporre l’antologia poetica di raccolta di tutti i lavori finalisti, antologia edita dalla casa editrice La Zisa che avrà per titolo “Poesia per Dio, quasi una preghiera”. Per richiedere ulteriori informazioni inviare una mail a info@lazisa.it oppure telefonare al numero 0915509295

La casa editrice La Zisa indice il concorso di narrativa “STORIE A QUATTRO ZAMPE”


La casa editrice La Zisa indice il concorso di narrativa per la selezione di racconti e storie di animali oppure di umani per i quali la convivenza con gli animali sia fondamentale, racconti veri o immaginari a lieto fine di animali domestici o selvatici, anche narranti in prima persona.

Le opere di narrativa devono pervenire sotto forma di racconto e non superare le cinque cartelle (circa 150 righe corrispondenti a 10.000 battute spazi inclusi). I lavori devono essere indirizzati a: Edizioni La Zisa, via Lungarini 60 – 90133 Palermo e inviati entro e non oltre il 30 novembre 2013; in alternativa è possibile spedirli all’indirizzo e-mail: lazisaeditrice@gmail.com, in formato doc o pdf, inserendo anche le proprie generalità, l’indirizzo e-mail, il proprio recapito e numero telefonico. Si consiglia anche di allegare all’elaborato un breve profilo dell’autore.


La segreteria comunicherà tempestivamente le opere selezionate che andranno a comporre l’antologia letteraria di raccolta di tutti i lavori finalisti, antologia edita dalla casa editrice La Zisa che avrà per titolo “Storie a quattro zampe”. Per richiedere ulteriori informazioni inviare una mail a info@lazisa.it oppure telefonare al numero 091 5509295.

sabato 13 luglio 2013

In libreria: Mario Moncada di Monforte, “La terra promessa Speranza o illusione?”, Edizioni La Zisa, prefazione di Salvatore Carrubba, pp. 304, euro 15


In questo romanzo, che per le riflessioni del protagonista è anche qualcosa di più di un romanzo, i fatti sono raccontati direttamente da Eugenio che li inquadra nelle vicende del suo tempo e li accompagna con le sue considerazioni, le sue speranze, le sue delusioni. Lungo la sua vita, da un’iniziale, quasi esclusiva, riflessione sulle vicende palermitane e siciliane, i fatti e le esperienze allargano l’attenzione del protagonista agli eventi e alle situazioni dell’Italia, dell’Europa e del mondo fino a fargli raggiungere un panorama che guarda all’umanità nel suo insieme. Eugenio è consapevole dell’insignificanza delle vicende della sua vita di cui limita i ricordi solo a qualche evento più significativo. La sua attenzione è rivolta soprattutto a quanto accade attorno nel contesto globale nel quale ricerca prospettive che lascino aperto l’orizzonte per quella speranza universale che è nella cultura ricevuta dalla madre. In conclusione, quanto ho scritto non è soltanto un romanzo né un romanzo storico sugli eventi degli ultimi settantacinque anni in Europa e nel mondo. Quello che viene proposto è un tentativo di cogliere, lungo la vita di un protagonista, il senso complessivo degli avvenimenti mondiali nella prospettiva dei rapporti fra le genti, le culture e le economie. [...] In queste pagine, nell’analisi della successione degli eventi dell’ultimo secolo, per tentare di precisarne i progressivi sviluppi, ho ritenuto utile riprendere argomenti di altri miei lavori che, in fondo, erano seme di una ricerca costante: capire la fondatezza della speranza umana di raggiungere la “terra promessa”. (dall’Introduzione dell’autore)

Mario Moncada di Monforte si è formato culturalmente presso la Olivetti di Ivrea, in quella irripetibile atmosfera creata dall’umanesimo di Adriano Olivetti e dall’impegno civile e culturale di Paolo Volponi. Dopo il 1967 ha costituito e diretto in Sicilia le prime aziende siciliane di informatica. È socio fondatore e membro del Consiglio direttivo di “Salvare Palermo”, fondazione onlus per la tutela del patrimonio culturale e ambientale palermitano. Studioso di problemi storico-sociali, utilizza un’attenta informazione per guardare agli avvenimenti del nostro tempo con un realismo costruttivo che non dimentica l’eroica fragilità della dimensione umana. Ha pubblicato i seguenti saggi: La nazione siciliana (Palermo, 1973); L’uomo totale (Palermo, 1996); Occidente senza futuro (Roma, 1998); Palermo domani (Palermo, 2000); Israele, fine della speranza? (Roma, 2002); Guerra al terrorismo? (Roma, 2003); Vite parallele: Giuseppe Mazzini e Osama Bin Laden (Roma, 2005); Palermo umiliata (Palermo, 2007); Israele, un progetto fallito (Roma, 2009); Israele, uno Stato razzista (Roma, 2010); e il romanzo La profezia del Gattopardo (Roma, 2011). Nel 2012 gli è stato attribuito il 50° Premio Calabria per il libro Israele, un progetto fallito.


Il Premio Calabria di letteratura e giornalismo è nato nel 1963 ed ha rappresentato il momento conclusivo di quell’annata letteraria. Il Premio nasceva nella considerazione che in una terra isolata e individualista, com’era la Calabria, la premiazione dei soli calabresi avrebbe accentuato il distacco dalle altre realtà nazionali. Fin dal suo avvio, il Premio Calabria ha ricevuto lusinghieri consensi in Italia e all’estero per l’azione di attenta ricerca di nuovi e valenti autori fra i quali è indicativo ricordare il Premio conferito nel 1966 ad Heinrich Böll che dopo, nel 1972, ha ricevuto il Premio Nobel. Non meno rilevante il Premio riconosciuto nel 1999 al Nobel Ilya Prigogine. Nel 1967, il Premio Calabria fu assegnato a Leonida Répaci, continuando ad arricchire una galleria di premiati di tutto rispetto sul piano nazionale e su quello internazionale. Fra gli studiosi siciliani si devono ricordare, fra gli altri, il Premio del 1978 conferito al giornalista scrittore Giuseppe Fava e quello del 1997 allo storico Francesco Renda. Nel 2012, anno del cinquantenario, il Premio Calabria è stato attribuito all’autore.