IN UNA società che ha
fatto della velocità il suo punto di forza, affrontare l' esistenza con una
marcia più bassa, costringe ad una vita da perdente, da spettatore delle vite
altrui. Liborio, il quarantenne protagonista di Occhio magico, li avverte dolorosamente
gli spazi vuoti della propria, ma li accetta passivamente un po' per abitudine
e un po' perché, a cominciare da sua madre, gli hanno sempre fatto intendere
che va così perché è così che deve andare: «Suo figlio era forte e sano, a
parte i periodi in cui si demoralizzava e si abbandonava a se stesso. Era
soltanto perché era una persona delicata nei sentimenti, sensibile. Lei lo
aveva capito sin da bambino che sarebbe restato sempre un bambino. A lei il
compito di proteggerlo come ogni madre fa con il proprio figlio, per sempre e
senza l' intromissione di nessuno, almeno fino a quando una donna sarebbe stata
in grado di amarlo tanto quanto lei». Nella monotonia di un' esistenza fatta di
giornate sempre uguali, improvvisamente, l' amore per una ragazza e la
prospettiva di un lavoro che potrebbe consentirgli l' autonomia, sconvolgono il
suo piccolo mondo fragile. Aurora Rainieri è brava nel dipingere con efficacia
gli smarrimenti della mente di Liborio, la sua ricerca di una svolta che lo
renda, finalmente, protagonista della propria esistenza. La sua scrittura è un
pugno nello stomaco che invita a riflettere sull' esistenza di quanti, non
riuscendo a star dietro al ritmo della vita, ne restano ai margini.
Aurora Rainieri, “Occhio magico”, Edizioni La Zisa, Pagine
160, Euro 12
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