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martedì 17 aprile 2018

“Sotto il cielo di Palermo” cosa è accaduto… il romanzo della Gandolfo




Di Augusto Cavadi (siciliainformazioni.com, 16 aprile 2018)

Sulla scia luminosa di Rainer Maria Rilke, Wim Wenders ha provato a raccontarci, in un celebre e riuscito film del 1987, cosa si muova sopra il cielo di Berlino. Più modestamente, ma anche più realisticamente, Mariceta Gandolfo prova a raccontarci cosa si muova Sotto il cielo di Palermo (La Zisa, Palermo 2017,) o, meglio, qualcosa di ciò che si è mosso sotto il cielo palermitano negli ultimi cento anni. Qualcosa: più precisamente alcune vicende delle famiglie dei suoi genitori, il dottor Nino e mamma Ela, intrecciate con le “microstorie” di parenti e amici, più o meno noti, appartenenti alla piccola e media borghesia cittadina. La narrazione, sostanzialmente biografica, non lo è in maniera esclusiva: infatti, come dichiara l’autrice in quarta di copertina, si tratta di “un misto di realtà e d’invenzione: autentiche le ricostruzioni storiche, tratte da fonti accreditate e dalla memoria orale; frutto di fantasia alcune vicende private che rispettano tuttavia carattere e temperamento dei personaggi reali”. In questa narrazione Palermo non risulta mero palcoscenico né una sorta di telone dipinto come sfondo: come dichiara la stessa autrice, nello stesso luogo, si tratta di una vera e propria “protagonista del romanzo, con i suoi riti, le sue tradizioni e il suo dialetto colorito, attraverso le ripercussioni che la Storia avrà sulle vite dei personaggi”. Tra queste tradizioni non potevano mancare, di certo, almeno alcuni accenni alle delizie culinarie che aiutano a perdonare tante altre esperienze assai meno delizianti: se è vero, come spiega alla nipotina un personaggio de La lunga storia di Marianna Ucrìa, che l’inferno possiamo immaginarlo fedelmente come una specie di grande Palermo senza pasticcerie. Personalmente ho sottolineato la pagina dedicata alla “pasta al forno” (traduzione italiana dell’enigmatica pasta cu furnu dialettale) (pp. 42 – 43). Raccontare Palermo è impossibile senza notare le sue molteplici contraddizioni che, ancor oggi, mutatis mutandis, la rendono tanto interessante e stimolante quanto faticosa e scoraggiante. Per limitarmi a una sola evidenziazione: la contraddizione, nella Palermo anteriore al boom economico degli anni Sessanta del Novecento, fra la ricchezza, parassitaria ed esibita, degli aristocratici di origine spagnola e la miseria, accettata come dato naturale da una maggioranza di proletariato e sotto-proletariato (nonostante occasionali vampate di ribellione, ma più fuori le mura della capitale che al suo interno: vedi i “Fasci siciliani” di fine Ottocento). Palermo è, storicamente, come quasi tutto il Regno delle Due Sicilie, una capitale senza borghesia colta e soprattutto produttiva, weberianamente intraprendente. Negli anni Venti, quando la nonna materna dell’autrice arrivò a Palermo dalla nativa Milano, trovò “due città: una era la città del popolo, con le viuzze, i mercati, la gente vestita poveramente che parlava ad alta voce in tono sguaiato con un orribile accento dalle vocali molto aperte, che viveva per strada, mettendo le sedie davanti all’ingresso delle abitazioni troppo piccole e buie per poter ospitare tante persone in una stanza; l’altra era la città dei nobili, con i suoi palazzi grandiosi, le ville magnifiche, le signore elegantissime che andavano due volte l’anno a Parigi per rinnovare il  guardaroba, la Palermo dei ricevimenti, delle corse automobilistiche, del golf. Osservò tutto questo con i suoi acuti occhi azzurri e decise che non avrebbe fatto parte di nessuno dei due mondi: loro erano borghesi, venivano dalla più operosa città d’Italia, non si sarebbero mescolati al popolino ignorante, ma neanche alla nobiltà parassitaria, che viveva in modo grandioso ed era capace di bruciare in una sola notte, al tavolo da gioco o in una cena per cento invitati, le rendite di un anno intero delle loro campagne” (pp. 17 – 18). Lei, il marito commerciante, avrebbe riempito il vuoto storico nel mezzo dei due strati sociali opposti: come i Florio, i Whitaker, gli Ingham, i Woodhouse, i Caflisch… Due notazione in chiusura. La prima è una precisazione. A proposito dello sbarco delle truppe statunitensi in Sicilia nel 1943, e della nomina a sindaci di vari mafiosi, l’autrice scrive che “la mafia era così entrata ufficialmente in politica, infiltrandosi nel principale partito di governo, comprandosi il voto degli elettori” (p. 72). Ma è davvero questo il momento in cui la mafia entra in politica o vi era entrata a metà del secolo precedente? Anzi: la mafia non era diventata mafia proprio quando era entrata nei gangli dello Stato? Lo dimostra, con una serie impressionante di testimonianze, Umberto Santino nel suo recente La mafia dimenticata. D’altronde è proprio in nome di un ambiguo antifascismo dei mafiosi (di quei mafiosi che non erano riusciti a riciclarsi nei quadri del Partito fascista e che erano stati perseguiti dal regime, almeno sino al trasferimento del prefetto Mori) che essi vengono nominati sindaci. La seconda notazione apre uno spiraglio sul futuro. Infatti, come avviene di norma, anche in questo libro lo sguardo attento e curioso sul passato suggerisce – pur senza proporselo intenzionalmente – delle idee per l’immediato futuro. Un esempio lo traggo dalle righe iniziali di pagina 51: “Mondello è tutt’ora bellissima, ma a quei tempi doveva essere una specie di paradiso: anche le foto in bianco e nero lasciano intuire la trasparenza dell’acqua, il bianco accecante della sabbia, il verde fitto dei giardini e dei palmeti. Una volta, quando vennero a Palermo lo zio Ernesto e la zia Dina, i ragazzi, in loro compagnia, avevano preso il battello a vapore che collegava giornalmente il porto di Palermo col porticciolo di Mondello e quella gita per mare era rimasta indelebilmente impressa nei loro cuori” (p. 51). Dunque l’idea di un collegamento giornaliero fra Palermo e Mondello via mare non è solo una bizzarra fantasia che mi accompagna da molti anni, ma è stata effettivamente realizzata quasi un secolo fa ! Perché non potrebbe realizzarsi nuovamente, magari estendendosi in estate tra porti siciliani più distanti?


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