C'era una volta Palermo con le sue librerie. Non è un
incipit da fiaba, ma da necrologio. Perché di quelle insegne che segnavano il
paesaggio urbano e intellettuale della città resta oggi più la memoria che la
presenza fisica. E dietro ogni saracinesca abbassata, ogni scaffale vuoto, ogni
edicola dismessa, si cela una storia più ampia: quella di una città che sta
perdendo i suoi luoghi della cultura scritta.
Il tramonto delle librerie storiche
La Flaccovio, regina di via Ruggero Settimo per
generazioni di palermitani, è caduta nel 2013 come un'aristocratica che non
resiste al secolo plebeo degli smartphone. Era più di una libreria: era un
salotto intellettuale, un punto di riferimento per studenti universitari,
professori, appassionati di cultura. Le sue vetrine esibivano non solo
bestseller, ma anche le novità editoriali più raffinate, i saggi che
nessun'altra libreria cittadina osava tenere in vista.
Broadway, in via Rosolino Pilo, ha tirato giù la
saracinesca nel 2019, dopo diciannove anni di onorata carriera. Specializzata
in narrativa e cinema, aveva saputo creare una comunità di lettori affezionati
che si ritrovavano tra i suoi scaffali per consigli e scoperte letterarie. La
sua chiusura ha privato la città di uno degli ultimi presidi della cultura popolare
di qualità.
Altroquando, la fumetteria-libreria che faceva pensare
a un avamposto di Parigi nel cuore di Palermo, aveva già chiuso nel 2013. Era
il regno dei graphic novel, delle edizioni d'autore, dei libri che profumavano
di inchiostro fresco e creatività. Un luogo dove generazioni di giovani avevano
scoperto che la letteratura poteva essere anche disegnata, colorata, ribelle.
Poi, a catena, la Sciuti (fine 2023), storica libreria
di quartiere che aveva resistito per decenni ai cambiamenti del mercato. E da
ultimo il Punto Einaudi, travolto da un addio nazionale: dal primo gennaio 2025
i "punti" sono rimasti solo sulla carta intestata della storia
editoriale italiana.
La città dei lettori sembra aver smarrito i suoi
scaffali. Ogni chiusura non è solo un evento commerciale, ma un piccolo lutto
culturale che impoverisce il tessuto urbano. Perché una libreria non è mai solo
un negozio: è un luogo di incontro, di scoperta, di serendipità intellettuale.
L'editoria in fuga: quando anche gli editori se
ne vanno
Qualche casa editrice palermitana resiste eroicamente:
Sellerio, con la sua vocazione per la narrativa di qualità e i gialli
mediterranei; Dario Flaccovio Editore, che ha saputo rinnovarsi puntando su
tecnologia e formazione professionale. Glifo Edizioni, nata nel 2013, continua
a occuparsi di editoria per l'infanzia e saggistica, mentre Edizioni Kalós, da
più di trent'anni si dedica a storia, arte, cultura e tradizione siciliana.
Ma la diaspora è comunque in corso. La Zisa, editore
di battaglie culturali e letteratura impegnata, nel 2023 si è trasferita a
Firenze, perché persino l'Arno sembra più ospitale dell'Oreto per fare cultura.
Una scelta simbolica che racconta di un'isola sempre più periferica anche nel
mondo dei libri.
Le vecchie glorie sono finite nel cimitero della
memoria: Flaccovio Editore ha chiuso i battenti nel 2013, dopo aver pubblicato
per generazioni saggi, romanzi e opere di autori siciliani. Duepunti edizioni
si è dissolta nel 2014, portando con sé un catalogo di autori emergenti che non
hanno più trovato casa editrice. E il deserto editoriale si allarga
inesorabilmente.
Palermo, che fu capitale letteraria del Meridione, che
diede i natali a Pirandello e ospitò Sciascia, oggi appare come una cattedrale
gotica con le navate vuote: l'architettura culturale resiste, ma mancano i
fedeli.
I giornali: da giganti a fantasmi
Se le librerie cadono, i quotidiani non se la passano meglio.
Il Giornale di Sicilia ha seguito la parabola tragica dei pazienti terminali. I
numeri sono spietati: nel 2008 stampava 67mila copie, nel 2015 era già sceso a
34mila, nel 2017 viaggiava poco sopra le 22mila. Nel 2022 ancora 5.609 copie,
nel luglio 2023 erano 5.078: più che un quotidiano, un bollettino condominiale.
E non è che i "cugini" di Catania se la
passino meglio. La Sicilia aveva nel 2011 oltre 51mila copie. Nel 2013 erano
già 27mila, nel 2018 appena 18.645. Oggi, meno di 5.500. Da grande quotidiano
regionale a foglio di provincia, la parabola è identica.
I dati ADS sono impietosi: «La diffusione quotidiana
media dei giornali siciliani, esclusa la Repubblica, è scesa da 25.363 a 23.545
copie». Non serve essere economisti per capire che qui non si parla di
fisiologico calo, ma di vera e propria eutanasia. Il Giornale di Sicilia nel
2020 registrava -16,4% di lettori e -37,5% di copie vendute. È come se un
teatro da mille posti avesse ridotto il pubblico a cento, con l'orchestra che
continua a suonare come se niente fosse.
L'unico dato in crescita? Le edizioni online: +25,2%
per il GdS nello stesso anno, +54,8% per La Sicilia. Ma anche lì si parla di
briciole rispetto all'impero perduto della carta. Il web cresce, ma non compensa
minimamente il crollo della carta stampata. Soprattutto, manca quella ritualità
del giornale cartaceo che per generazioni ha accompagnato i palermitani nel
loro rapporto quotidiano con le notizie.
Il nuovo ecosistema digitale: tanti siti, poca
profondità
Il panorama informativo siciliano oggi si è
frammentato in decine di testate online: LiveSicilia, ilSicilia, BlogSicilia e
molti altri. Ogni provincia ha i suoi portali di informazione locale, ogni
comune sembra avere il suo "giornale online". Ma si tratta spesso di
operazioni editoriali fragili, con pochi giornalisti, budget risicati e una
tendenza alla cronaca spicciola piuttosto che al giornalismo di inchiesta.
Il paradosso è evidente: mai come oggi Palermo ha
avuto tanti "giornali", ma mai come oggi l'informazione è stata così
superficiale e frammentata. Manca quella funzione di agenda setting che i
grandi quotidiani storici riuscivano a svolgere, quella capacità di orientare
il dibattito pubblico e di tenere sotto i riflettori i problemi strutturali
della città.
Le edicole: addio alle vetrine della democrazia
Nel frattempo spariscono anche le edicole, che sono
sempre state le vetrine materiali di questa civiltà in disarmo. In provincia di
Palermo, tra il 2019 e il 2023, sono scomparsi 21 chioschi. Nel 2024 la città
ha visto smontare un'edicola storica del 1929, un piccolo monumento alla storia
dell'informazione cittadina.
Non è soltanto un luogo di vendita che scompare, ma un
pezzo di paesaggio urbano e di socialità: un'edicola che chiude toglie anima a
una piazza, la rende più anonima, meno vissuta. L'edicolante era spesso una
figura di riferimento del quartiere, colui che conosceva i gusti letterari e
informativi dei suoi clienti, che consigliava una rivista o anticipava le
notizie del giorno. Senza edicole, Palermo perde non solo carta, ma anche
teatro sociale.
Il confronto con il resto d'Italia: perché qui è
diverso
Si dirà: è il mondo che cambia, non solo Palermo. È
vero, ma solo in parte. Anche a Milano i giornali hanno perso tiratura, anche a
Roma si vendono meno copie. Ma lì le librerie non chiudono tutte insieme, e la
borghesia che compra un libro in libreria o sfoglia il quotidiano al bar esiste
ancora. A Torino, l'editoria resiste con Einaudi, Bollati Boringhieri, UTET, e
le librerie indipendenti non solo sopravvivono, ma spesso prosperano.
L'editoria italiana nel 2025 ha registrato un calo del
3,6% nelle vendite, ma questo dato nazionale nasconde profonde differenze
territoriali. Al Nord e al Centro esistono ancora anticorpi culturali: università
più strutturate, un ceto medio più numeroso e con maggiore propensione alla
spesa culturale, politiche locali di sostegno alla lettura.
A Palermo, invece, il declino è più feroce e
apparentemente irreversibile, perché non ci sono anticorpi. Qui si chiude, e
basta. E il vuoto resta vuoto. Manca una strategia cittadina per salvaguardare
questi presidi culturali, mancano incentivi per chi vuole aprire una libreria
indipendente, manca persino la consapevolezza che perdere una libreria
significa impoverire il tessuto sociale di un quartiere.
Il paradosso palermitano: il teatro senza
pubblico
Il paradosso è che Palermo, città barocca per
eccellenza, non rinuncia mai al teatro. Così, mentre i dati dicono che la carta
è morta, i palermitani continuano a vivere come se i giornali fossero ancora
quelli di un tempo. Ricordano le prime pagine urlate sul maxiprocesso, i titoli
sparati sulla mafia, le inchieste che facevano cadere governi regionali, e si
illudono che il giornale sia ancora lì, a fare opinione e a scuotere le
coscienze.
Ma intanto lo leggono sempre meno. Il giornale,
insomma, resta un rito identitario, ma senza più fedeli. È come se la città
continuasse a celebrare messe in una cattedrale vuota: il rito c'è, ma
l'assemblea è altrove, distratta da altri altari digitali.
Anche per le librerie vale lo stesso discorso: Palermo
si commuove quando chiude una libreria storica, sui social si moltiplicano i
post nostalgici e gli appelli a "comprare più libri". Ma poi, nei
fatti, i palermitani preferiscono ordinare su Amazon o scaricare ebook. Il
sentimento c'è, ma non si traduce in comportamenti di acquisto che possano
sostenere l'economia reale della cultura.
I sopravvissuti: chi resiste e perché
Non tutto è perduto, però. Una Marina di Libri, il
festival del libro di Palermo, continua a svolgersi ai Cantieri culturali alla
Zisa, dimostrando che esiste ancora un pubblico per gli eventi letterari.
Alcune librerie specializzate resistono puntando su nicchie specifiche: quelle
universitarie vicino agli atenei, quelle religiose nei quartieri più
tradizionali, qualche libreria per ragazzi che ha saputo rinnovarsi con eventi
e laboratori.
G.B. Palumbo Editore continua la sua attività,
concentrandosi soprattutto su editoria scolastica e servizi didattici online. È
una strategia di sopravvivenza: specializzarsi su mercati di nicchia ma
stabili, dove la concorrenza dei giganti dell'e-commerce è meno aggressiva.
Anche nel panorama dell'informazione qualcosa si
muove: alcuni dei nuovi portali online stanno investendo in giornalismo di
qualità, assumendo cronisti esperti, puntando su inchieste e approfondimenti.
Ma si tratta ancora di esperimenti fragili, spesso dipendenti da finanziamenti
pubblici o da sponsor privati.
Le cause profonde di un declino
Perché Palermo ha perso così rapidamente i suoi luoghi
della cultura scritta? Le cause sono molteplici e interconnesse. C'è ovviamente
il fattore tecnologico: l'avvento del digitale ha rivoluzionato le abitudini di
lettura e informazione di tutti, non solo dei palermitani.
Ma ci sono anche cause più specificamente locali. La
crisi economica che ha colpito il Meridione negli ultimi vent'anni ha ridotto
il potere d'acquisto delle famiglie, e i libri e i giornali sono spesso i primi
beni culturali su cui si risparmia. La disoccupazione giovanile, che a Palermo
tocca punte drammatiche, ha svuotato la città dei suoi potenziali lettori più
giovani.
C'è poi un problema strutturale nel rapporto tra
istituzioni e cultura: troppo spesso le politiche culturali locali si sono
concentrate su grandi eventi e manifestazioni di richiamo turistico,
trascurando la rete capillare di librerie, edicole e piccole case editrici che
costituisce l'ossatura della vita culturale quotidiana di una città.
Quello che si perde: non solo carta, ma memoria
In conclusione, i numeri parlano chiaro: Palermo sta
perdendo la sua carta. Non quella dei documenti, che la burocrazia continua a
produrre con zelo medievale, ma quella che profumava di inchiostro fresco e di
possibilità infinite. La carta delle librerie che chiudevano tardi la sera, delle
case editrici che scoprivano nuovi talenti, dei giornali che facevano paura ai
potenti.
E senza carta, una città rischia di perdere anche la
sua memoria. Perché i libri e i giornali non sono solo merci, ma depositi di
memoria collettiva, strumenti di elaborazione critica della realtà, spazi di
confronto democratico.
Una città senza giornali non è solo una città meno
informata: è una città meno libera. E Palermo, che di libertà e di giornali ne
ha pagato il prezzo con il sangue dei suoi cronisti, dovrebbe ricordarselo
prima che sia troppo tardi.
Il rischio è che, tra qualche anno, i turisti visitino
Palermo come si visita Pompei: per ammirare i resti di una civiltà che fu. Solo
che, al posto delle terme e dei teatri romani, troveranno le vetrine vuote delle
librerie e i chioschi abbandonati delle edicole. Testimoni silenziosi di
un'epoca in cui, in questa città, si leggeva ancora.