L' EDITRICE La Zisa pubblica "Terra di Frontiera. Una stagione politica in Sicilia 19441960", opera inedita di Girolamo Li Causi, terminata nel 1974, e non più rivista dall' autore. Il libro (a cura di Davide Romano, interventi di Italo Tripi e Oliviero Di Liberto, 224 pagine, 9,90 euro) è una lunga riflessione critica, ed autocritica, sull' attività svolta dal Pci e dalle classi dirigenti siciliane, negli anni della ricostruzione post-bellica, dai mesi immediatamente successivi allo sbarco delle truppe anglo-americane sino alla formazione dei governi Milazzo. Un arco di tempo lungo un quindicennio, durante il quale Li Causi assolse anche l' incarico di segretario regionale del partito. Da questo suo osservatorio privilegiato emerge il ritratto vivo e spesso pungente di uomini e vicende che hanno segnato la storia passata e presente dell' Isola. Li Causi (nato Termini Imerese nel 1906, morto a Roma nel 1977) è stato uno dei massimi dirigenti nazionali del Partito comunista italiano, al quale aderì giovanissimo poco dopo la sua fondazione. Parlamentare per diverse legislature, è stato per alcuni anni vice presidente della Commissione nazionale antimafia. Collaboratore e direttore di numerosi periodici, ha pubblicato: "Il lungo cammino. Autobiografia 19061944" (Editori Riuniti, 1974). «Il merito di ridare oggi voce ad un uomo politico come Girolamo Li Causi - scrive Italo Tripi nella prefazione - non risiede soltanto nella ricognizione storica di un periodo straordinariamente importante come il quindicennio 1944-1960, ma serve anche a mettere in luce il profilo e la consistenza di un politico lungimirante e tenace nel sostenere le ragioni di una scelta. Il sempre più diffuso bisogno di "ritorno alla Storia" è indicativo delle difficoltà che stiamo attraversando e serve a recuperare il senso di un percorso, di un cammino, di una storia appunto che ci riguarda, ci appartiene». (Repubblica, 25 marzo 2009)
La casa editrice La Zisa nasce nel 1988 a Palermo e in breve tempo si afferma nel settore dell'editoria di qualità proponendo classici ormai dimenticati e nuovi autori di talento.
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venerdì 29 gennaio 2010
QUANDO L' ISOLA ERA FRONTIERA. GLI ANNI RUGGENTI DI LI CAUSI
L' EDITRICE La Zisa pubblica "Terra di Frontiera. Una stagione politica in Sicilia 19441960", opera inedita di Girolamo Li Causi, terminata nel 1974, e non più rivista dall' autore. Il libro (a cura di Davide Romano, interventi di Italo Tripi e Oliviero Di Liberto, 224 pagine, 9,90 euro) è una lunga riflessione critica, ed autocritica, sull' attività svolta dal Pci e dalle classi dirigenti siciliane, negli anni della ricostruzione post-bellica, dai mesi immediatamente successivi allo sbarco delle truppe anglo-americane sino alla formazione dei governi Milazzo. Un arco di tempo lungo un quindicennio, durante il quale Li Causi assolse anche l' incarico di segretario regionale del partito. Da questo suo osservatorio privilegiato emerge il ritratto vivo e spesso pungente di uomini e vicende che hanno segnato la storia passata e presente dell' Isola. Li Causi (nato Termini Imerese nel 1906, morto a Roma nel 1977) è stato uno dei massimi dirigenti nazionali del Partito comunista italiano, al quale aderì giovanissimo poco dopo la sua fondazione. Parlamentare per diverse legislature, è stato per alcuni anni vice presidente della Commissione nazionale antimafia. Collaboratore e direttore di numerosi periodici, ha pubblicato: "Il lungo cammino. Autobiografia 19061944" (Editori Riuniti, 1974). «Il merito di ridare oggi voce ad un uomo politico come Girolamo Li Causi - scrive Italo Tripi nella prefazione - non risiede soltanto nella ricognizione storica di un periodo straordinariamente importante come il quindicennio 1944-1960, ma serve anche a mettere in luce il profilo e la consistenza di un politico lungimirante e tenace nel sostenere le ragioni di una scelta. Il sempre più diffuso bisogno di "ritorno alla Storia" è indicativo delle difficoltà che stiamo attraversando e serve a recuperare il senso di un percorso, di un cammino, di una storia appunto che ci riguarda, ci appartiene». (Repubblica, 25 marzo 2009)
giovedì 28 gennaio 2010
Alessia Cannizzaro, “Buttana di lusso. Confessioni di una escort”, La Zisa, pp.80, euro 9,90
E l'onorevole mi disse: "Picchiami, sono un bambino cattivo"
Una città a luci rosse annidata tra le pieghe di un perbenismo di facciata. Palermo è anche questo. E a svelarne il suo lato oscuro è Chiara (o almeno così dice di farsi chiamare), una escort palermitana che da anni lavora proprio nella sua città. Sesso a pagamento, in casa o in trasferta, appartamenti di lusso come alcove, o hotel fuori porta. Tra i suoi clienti politici, avvocati, professionisti in genere, tutta gente della “Palermo bene”. Chiara ci racconta, senza falsi pudori, vizi e virtù di una città sommersa, conditi da particolari piccanti e non sempre prevedibili. Un libro/confessione che farà tremare i palazzi del potere…
Alessia Cannizzaro è giornalista professionista, laureata in Scienze della Comunicazione e in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale. Da anni lavora per tv e testate locali e nazionali. E proprio per un quotidiano palermitano ha condotto un’inchiesta sulla Palermo a luci rosse.
sabato 23 gennaio 2010
CLT - Palermo / S. Rosalia, l’“impostura” interclassista dei gesuiti
Roma, 22 gen (Velino) - “Ego Rosalia Sinibaldi Quisquine et rosarum domini filia amore dni mei Iesu Cristi ini hoc antro habitari decrevi” (Io Rosalia di Sinibaldo, padrone della Quisquina e delle Rose, per amore del mio Signore Gesù Cristo, ho deciso di vivere in questa grotta): recita così, in un latino medievale impastato di siciliano, l’incisione nella grotta della Quisquina (Ag), attribuita alla Santuzza. Più volte, negli ultimi decenni, era stata avanzata la tesi che quel rinvenimento, risalente al 1624, fosse in realtà un falso storico. Adesso ci sono le prove (o almeno così pare) che dietro quel graffito non ci sia la nobile eremita, vissuta nel XII secolo, ma la “mano” interessata della Compagnia di Gesù, ben 500 anni più tardi. A svelare forse definitivamente l’arcano è Giancarlo Santi nel suo “Ego Rosalia. La Vergine palermitana tra santità ed impostura” (La Zisa). Testo-chiave dell’indagine è un manoscritto conservato nella biblioteca comunale di Palermo, pubblicato per la prima volta in appendice al volume e finora trascurato dagli studiosi, che proverebbe come l’“operazione Santa Rosalia” sia stata concepita a tavolino a Palermo per volontà “politica”. “All’inizio del ‘600, Rosalia era una vecchia santa dimenticata, la cui devozione era limitata a poche persone nei pressi del monte Pellegrino, dove secondo la tradizione avrebbe trascorso i suoi ultimi giorni - afferma Santi al VELINO -. In pochi mesi, però, riuscì a scalzare tutti gli altri, nonostante il capoluogo siciliano contasse all’epoca quattro protettrici (Agata, Cristina, Oliva e Ninfa, ndr) e ben 21 santi protettori”.
Invocata nel corso di una processione durante la peste del 1624, la Santuzza avrebbe fermato l’epidemia, che fino ad allora aveva ucciso 30 mila palermitani, un quarto del totale della popolazione. Quello stesso pomeriggio furono scoperte le sue reliquie e poco più di un mese dopo, alla Quisquina, fu ritrovata la grotta del suo primo eremitaggio con la celebre incisione, scoperta casualmente da due intagliatori di pietre palermitani. Il tutto condito di miracoli e guarigioni inspiegabili, come attesta il “Di Santa Rosalia Vergine Palermitana”, l’edificante opera del gesuita Giordano Cascini, che ne aveva ricostruito l’albero genealogico facendola discendere addirittura da Carlo Magno. Le deposizioni giurate raccolte nel manoscritto analizzato da Santi, però, raccontano un’altra storia, ben più complessa. La diffusione della vulgata sulla Santuzza, infatti, non era stata lineare, tanto che nel 1642 alla Congregazione dei Riti fu presentata una denuncia per cancellare dal Martirologio romano il riferimento alla discendenza dal re carolingio e la dimora alla grotta della Quisquina. Il tribunale ecclesiastico aprì un’inchiesta per acquisire notizie sui miracoli che si erano verificati e sul ritrovamento dell’antro e ascoltò dodici testimoni del paese in cui, meno di 20 anni prima, era stata scoperta la caverna.
“Le loro deposizioni e il linguaggio utilizzato non combaciano con la versione tramandata nei loro scritti dai gesuiti, dimostrando che l’iscrizione è un falso - spiega Santi -. Uno di loro afferma esplicitamente che l’ordine di andare a guardare lì dentro era venuto dal governatore Giuseppe Emanuele Ventimiglia. La scoperta dell’iscrizione fu dunque la conseguenza di un volere manifestato a Palermo dalle alte gerarchie isolane”. Una decisione “politica”, maturata in un fase drammatica della città, flagellata dalla peste. Il motivo? Nessuna delle quattro patrone era nata a Palermo, al contrario di Rosalia, e in un momento tanto difficile la Santuzza, di casato nobile ma vissuta in assoluta povertà, rappresentava l’optimum, perché era una santa “interclassista” in cui tutti i ceti sociali potevano riconoscersi. Soprattutto, permise ai gesuiti di “sconfiggere” i francescani, che stavano cercando di imporre il culto di Benedetto il Moro, e di gestire da quel momento in poi il patronato della città. “Rosalia sarà sempre una santa gesuita e una fonte di potere e vantaggi per la Compagnia di Gesù”, scrive Santi. Un modello di successo, esportato anche nelle terre di missione della Compagnia, dalla Cina al nuovo Mondo, soprattutto in California e Paraguay. Grazie anche all’epigrafe posticcia. Ma come diceva Francis Bacon, le cui parole aprono il volume, “l’uomo preferisce credere a ciò che gli piacerebbe fosse vero”.
(Paolo Fantauzzi) 22 gen 2010 18:35
giovedì 21 gennaio 2010
Gian Antonio Stella recensisce “La zona grigia” di Nino Amadore (ed. La Zisa)
Corriere della Sera
Opinioni & CommentiTuttifrurri
di Gian Antonio Stella
IL DISORDINE CHE FA COMODO AGLI ORDINI
A cosa servono gli Ordini se non tengono ordine tra i loro iscritti, pretendendo il rispetto delle regole deontologiche? Era una domanda lecita dopo la scelta dell'Ordine degli Avvocati di non muover foglia contro i neo-colleghi imputati della truffa all'esame di Catanzaro, quando copiarono in 2.295 su 2.301 lo stesso tema. E legittima dopo la scoperta che l'Ordine dei Medici non si era mai accorto (in venti anni!) che Girolamo Sirchia aveva al Policlinico una segretaria pagata non dall'ospedale ma da un'industria farmaceutica fornitrice. Ma è una domanda obbligata oggi dopo la lettura di La zona grigia / Professionisti al servizio della mafia edizioni «La Zisa». In cui Nino Amadore, del Sole 24 Ore, ricostruisce le ambiguità e i silenzi dei vari Ordini nei confronti degli associati coinvolti in faccende di mafia, camorra, 'ndrangheta. Colletti bianchi che, a sentire il presidente di Cassazione Gaetano Nicastro, sono indispensabili ai criminali: «Cosa Nostra gode purtroppo di una vasta rete di fiancheggiatori nell'ambito di una certa borghesia mafiosa, fatta di tecnici, di professionisti, di imprenditori, di esponenti politici e della burocrazia». Come potrebbero certi padrini potentissimi ma semi- analfabeti investire nell'edilizia in Lussemburgo, nell'acquisto di un pacchetto azionario alle Cayman o nell'acquisto di 12 miliardi di metri cubi di gas dall'azienda ucraina Revne per «un valore di mercato di tre miliardi di euro» senza «un'accorta analisi fatta da gente preparata, che conosce i mercati »? Come potrebbero appropriarsi degli appalti pubblici senza la complicità di architetti, ingegneri, commercialisti, funzionari regionali e comunali ben decisi a regolarsi sul loro lavoro come le tre scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano? Amadore ricorda, tra gli altri, il caso del tributarista coinvolto nell'«operazione Occidente » che vide l'arresto di 46 persone appartenenti in parte al giro di Salvatore Lo Piccolo. «Accusato di aver riciclato il denaro delle 10 famiglie mafiose si è difeso: "Ho solo fatto il mio lavoro di consulente, di certo non vado a chiedere la fedina penale di tutti i miei clienti". » Tema: i suoi «probiviri» non han niente da dire? Sempre lì torniamo: «quando» un Ordine può intervenire? Nel caso del processo per il riciclaggio del «tesoro » (stima: 150 milioni di euro) di Vito Ciancimino, il libro segnala come i professionisti condannati siano stati due: il tributarista palermitano Gianni Lapis e l'avvocato internazionalista romano Giorgio Ghiron. Cinque anni e 4 mesi a testa. Ma se Lapis è stato subito sospeso dall'Ordine di Palermo, Ghiron risulta, molti mesi dopo la sentenza, ancora al suo posto. O così dice il sito dell'Ordine di Roma. Come mai? Il destino personale dell'uomo, va da sé, non c'entra: se è innocente lo dimostrerà in Appello. Auguri. Ma resta il tema: perché, come sostiene il presidente dell'Ordine dei Medici Annibale Bianco, un Ordine dovrebbe attendere la sentenza in Cassazione per censurare un iscritto? Che ce ne facciamo di una sanzione supplementare se c'è già una sentenza che magari espelle il condannato dalla professione? Se un Ordine non serve a tenere ordine «al di là» degli iter giudiziari, a cosa serve? A organizzare belle cene in compagnia?
mercoledì 20 gennaio 2010
Giancarlo Santi, “Ego Rosalia. La vergine palermitana tra santità e impostura”, Ed. La Zisa
Recensione di Davide Romano
La devozione dei palermitani, e non solo, verso la vergine Santa Rosalia è universalmente nota, meno nota è invece la vicenda che riguarda l’invenzione, assai probabile, della sua figura…
Il titolo del saggio è stato suggerito dalle due parole che danno inizio all’iscrizione incisa da santa Rosalia nella grotta della Serra Quisquina, eremo in cui, secondo la leggenda, la romita visse a lungo prima di trasferirsi nella più nota cavità del Monte Pellegrino. Attraverso il nome Sinibaldi, la terza parola dell’iscrizione, il gesuita Giordano Cascini riuscì nel ‘600 a ricostruire alcuni tratti della sconosciuta vita della Santa, soprattutto la sua discendenza da Carlo Magno. Per avvalorare l’autenticità dell’incisione, Cascini raccontò nella sua celebre opera, Di Santa Rosalia Vergine Palermitana, come avvenne la casuale scoperta del graffito da parte di due muratori palermitani. La narrazione di Cascini ha fatto storia divenendo una diffusa e radicata credenza garantita dalla Compagnia di Gesù.
Da sempre tuttavia sono stati avanzati dubbi sulla veridicità dell’iscrizione, l’unico documento che prova la storicità di Rosalia “Sinibaldi”.
L’ipotesi del falso è sostenuta in una coraggiosa opera, Santa Rosalia nella storia e nell’arte di monsignor Paolo Collura, che sin dal suo apparire, nel 1977, ha suscitato molte polemiche ma ha pure segnato una svolta negli studi rosaliani. Nel 1988 Valerio Petrarca ha poi colmato alcune lacune del discorso di Collura individuando non solo un realistico artefice dell’impostura ed il suo movente, ma chiarendo anche il contesto storico e devozionale in cui sarebbe maturato il sospettato imbroglio. Con la suggestiva ricostruzione di Petrarca, l’affaire Quisquina diventa un autentico romanzo giallo in cui si narra di un intrigo palermitano inatteso e sconcertante. Se risultasse provato per via documentale quanto ipotizza lo studioso, ovvero che l’iscrizione fu incisa dalla Compagnia di Gesù per costruire una degna Patrona di Palermo, ci troveremmo innanzi al più clamoroso falso religioso del ‘600 siciliano.
L’incisione della Quisquina, ritenuta da alcuni una impostura e da altri un indelebile segno della santità di Rosalia, è dunque l’ambigua protagonista della ricerca qui condotta.
Quanto c’è di attendibile nelle affermazioni di chi sostiene l’autenticità del graffito e di chi invece ne denunzia la falsità? I fatti che portarono alla sua avventurosa scoperta si svolsero davvero nel modo in cui sono stati raccontati dai gesuiti? E se alla Quisquina si perpetrò un falso, chi fu il colpevole?
L’Autore trova le difficili risposte in un inedito manoscritto della Biblioteca Comunale di Palermo riuscendo così a colmare un secolare vuoto negli studi rosaliani.
Ego Rosalia si svolge come un’intrigante detective story in cui, partendo dal dubbio, si indaga per svelare l’enigma nascosto nell’iscrizione. Ben documentato e di facile lettura, il saggio si rivolge sia allo studioso, sia al lettore interessato ai segreti che si celano nella sfuggente vicenda di Rosalia “Sinibaldi”, illusoria immagine creata dagli uomini, caricatura della poco conosciuta ma storica santa Rosalia.
Giancarlo Santi, nato a Siracusa nel 1946, vive a Catania; giornalista pubblicista, ha collaborato con il Touring Club Italiano, con la terza pagina del quotidiano La Sicilia e con varie riviste scrivendo di feste popolari, di tradizioni religiose, di itinerari culturali siciliani. Nel 2001 ha pubblicato La strada dei Santi, viaggio sentimentale per le feste religiose di Sicilia. Si interessa di speleologia ed è coautore dei libri Le grotte del territorio di Melilli (1997) edito dal Comune di Melilli e Dentro il Vulcano, le grotte dell’Etna (1999) edito dall’Ente Parco dell’Etna.
La devozione dei palermitani, e non solo, verso la vergine Santa Rosalia è universalmente nota, meno nota è invece la vicenda che riguarda l’invenzione, assai probabile, della sua figura…
Il titolo del saggio è stato suggerito dalle due parole che danno inizio all’iscrizione incisa da santa Rosalia nella grotta della Serra Quisquina, eremo in cui, secondo la leggenda, la romita visse a lungo prima di trasferirsi nella più nota cavità del Monte Pellegrino. Attraverso il nome Sinibaldi, la terza parola dell’iscrizione, il gesuita Giordano Cascini riuscì nel ‘600 a ricostruire alcuni tratti della sconosciuta vita della Santa, soprattutto la sua discendenza da Carlo Magno. Per avvalorare l’autenticità dell’incisione, Cascini raccontò nella sua celebre opera, Di Santa Rosalia Vergine Palermitana, come avvenne la casuale scoperta del graffito da parte di due muratori palermitani. La narrazione di Cascini ha fatto storia divenendo una diffusa e radicata credenza garantita dalla Compagnia di Gesù.
Da sempre tuttavia sono stati avanzati dubbi sulla veridicità dell’iscrizione, l’unico documento che prova la storicità di Rosalia “Sinibaldi”.
L’ipotesi del falso è sostenuta in una coraggiosa opera, Santa Rosalia nella storia e nell’arte di monsignor Paolo Collura, che sin dal suo apparire, nel 1977, ha suscitato molte polemiche ma ha pure segnato una svolta negli studi rosaliani. Nel 1988 Valerio Petrarca ha poi colmato alcune lacune del discorso di Collura individuando non solo un realistico artefice dell’impostura ed il suo movente, ma chiarendo anche il contesto storico e devozionale in cui sarebbe maturato il sospettato imbroglio. Con la suggestiva ricostruzione di Petrarca, l’affaire Quisquina diventa un autentico romanzo giallo in cui si narra di un intrigo palermitano inatteso e sconcertante. Se risultasse provato per via documentale quanto ipotizza lo studioso, ovvero che l’iscrizione fu incisa dalla Compagnia di Gesù per costruire una degna Patrona di Palermo, ci troveremmo innanzi al più clamoroso falso religioso del ‘600 siciliano.
L’incisione della Quisquina, ritenuta da alcuni una impostura e da altri un indelebile segno della santità di Rosalia, è dunque l’ambigua protagonista della ricerca qui condotta.
Quanto c’è di attendibile nelle affermazioni di chi sostiene l’autenticità del graffito e di chi invece ne denunzia la falsità? I fatti che portarono alla sua avventurosa scoperta si svolsero davvero nel modo in cui sono stati raccontati dai gesuiti? E se alla Quisquina si perpetrò un falso, chi fu il colpevole?
L’Autore trova le difficili risposte in un inedito manoscritto della Biblioteca Comunale di Palermo riuscendo così a colmare un secolare vuoto negli studi rosaliani.
Ego Rosalia si svolge come un’intrigante detective story in cui, partendo dal dubbio, si indaga per svelare l’enigma nascosto nell’iscrizione. Ben documentato e di facile lettura, il saggio si rivolge sia allo studioso, sia al lettore interessato ai segreti che si celano nella sfuggente vicenda di Rosalia “Sinibaldi”, illusoria immagine creata dagli uomini, caricatura della poco conosciuta ma storica santa Rosalia.
Giancarlo Santi, nato a Siracusa nel 1946, vive a Catania; giornalista pubblicista, ha collaborato con il Touring Club Italiano, con la terza pagina del quotidiano La Sicilia e con varie riviste scrivendo di feste popolari, di tradizioni religiose, di itinerari culturali siciliani. Nel 2001 ha pubblicato La strada dei Santi, viaggio sentimentale per le feste religiose di Sicilia. Si interessa di speleologia ed è coautore dei libri Le grotte del territorio di Melilli (1997) edito dal Comune di Melilli e Dentro il Vulcano, le grotte dell’Etna (1999) edito dall’Ente Parco dell’Etna.
Dario Piombino-Mascali, “Il Maestro del Sonno Eterno”, Edizioni La Zisa-Palermo, pp. 144, euro 12
Quali segreti custodisce Rosalia Lombardo, la ‘Bella Addormentata’ delle Catacombe di Palermo, ritenuta a ragione la più bella mummia del mondo? Quali alchimie hanno permesso la perfetta conservazione di una bambina di due anni, a quasi un secolo dalla sua morte? Chi ne è stato l’artefice? Tali interrogativi, rimasti per lunghissimo tempo irrisolti, trovano ora finalmente risposta in questo saggio dell’antropologo Dario Piombino-Mascali. Una ricostruzione appassionante della vicenda che lega la piccola Rosalia Lombardo ad Alfredo Salafia, imbalsamatore palermitano dai contorni finora velati dalla leggenda. Un viaggio avvincente, che l’autore compie prendendo per mano il lettore e conducendolo nel cuore di una storia mai rivelata prima, se non attraverso frammenti e contraddizioni. Un’attenta e meticolosa indagine, che coniuga il rigore scientifico ad uno stile accattivante ed esaustivo.
Dario Piombino-Mascali (dario.piombino@eurac.edu), nato a Messina nel 1977, è ricercatore presso l’Accademia Europea (EURAC) di Bolzano, dove coordina il Progetto “Mummie Siciliane”. Borsista della National Geographic Society, è stato recentemente insignito del titolo di membro onorario dall’American Society of Embalmers. Collabora attivamente con il Museo Archeologico dell’Alto Adige, i Musei Vaticani ed i Musei Reiss-Enghelhorn per lo studio scientifico di mummie umane.
Arriva in libreria – “Ego Rosalia. La Vergine palermitana tra santità ed impostura”, Ed. La Zisa, pp. 464, euro 25,90
Il titolo del saggio è stato suggerito dalle due parole che danno inizio all’iscrizione incisa da santa Rosalia nella grotta della Serra Quisquina, eremo in cui, secondo la leggenda, la romita visse a lungo prima di trasferirsi nella più nota cavità del Monte Pellegrino. Attraverso il nome Sinibaldi, la terza parola dell’iscrizione, il gesuita Giordano Cascini riuscì nel ‘600 a ricostruire alcuni tratti della sconosciuta vita della Santa, soprattutto la sua discendenza da Carlo Magno. Per avvalorare l’autenticità dell’incisione, Cascini raccontò nella sua celebre opera, Di Santa Rosalia Vergine Palermitana, come avvenne la casuale scoperta del graffito da parte di due muratori palermitani. La narrazione di Cascini ha fatto storia divenendo una diffusa e radicata credenza garantita dalla Compagnia di Gesù.
Da sempre tuttavia sono stati avanzati dubbi sulla veridicità dell’iscrizione, l’unico documento che prova la storicità di Rosalia “Sinibaldi”.
L’ipotesi del falso è sostenuta in una coraggiosa opera, Santa Rosalia nella storia e nell’arte di monsignor Paolo Collura, che sin dal suo apparire, nel 1977, ha suscitato molte polemiche ma ha pure segnato una svolta negli studi rosaliani. Nel 1988 Valerio Petrarca ha poi colmato alcune lacune del discorso di Collura individuando non solo un realistico artefice dell’impostura ed il suo movente, ma chiarendo anche il contesto storico e devozionale in cui sarebbe maturato il sospettato imbroglio. Con la suggestiva ricostruzione di Petrarca, l’affaire Quisquina diventa un autentico romanzo giallo in cui si narra di un intrigo palermitano inatteso e sconcertante. Se risultasse provato per via documentale quanto ipotizza lo studioso, ovvero che l’iscrizione fu incisa dalla Compagnia di Gesù per costruire una degna Patrona di Palermo, ci troveremmo innanzi al più clamoroso falso religioso del ‘600 siciliano.
L’incisione della Quisquina, ritenuta da alcuni una impostura e da altri un indelebile segno della santità di Rosalia, è dunque l’ambigua protagonista della ricerca qui condotta.
Quanto c’è di attendibile nelle affermazioni di chi sostiene l’autenticità del graffito e di chi invece ne denunzia la falsità? I fatti che portarono alla sua avventurosa scoperta si svolsero davvero nel modo in cui sono stati raccontati dai gesuiti? E se alla Quisquina si perpetrò un falso, chi fu il colpevole?
L’Autore trova le difficili risposte in un inedito manoscritto della Biblioteca Comunale di Palermo riuscendo così a colmare un secolare vuoto negli studi rosaliani.
Ego Rosalia si svolge come un’intrigante detective story in cui, partendo dal dubbio, si indaga per svelare l’enigma nascosto nell’iscrizione. Ben documentato e di facile lettura, il saggio si rivolge sia allo studioso, sia al lettore interessato ai segreti che si celano nella sfuggente vicenda di Rosalia “Sinibaldi”, illusoria immagine creata dagli uomini, caricatura della poco conosciuta ma storica santa Rosalia.
Giancarlo Santi, nato a Siracusa nel 1946, vive a Catania; giornalista pubblicista, ha collaborato con il Touring Club Italiano, con la terza pagina del quotidiano La Sicilia e con varie riviste scrivendo di feste popolari, di tradizioni religiose, di itinerari culturali siciliani. Nel 2001 ha pubblicato La strada dei Santi, viaggio sentimentale per le feste religiose di Sicilia. Si interessa di speleologia ed è coautore dei libri Le grotte del territorio di Melilli (1997) edito dal Comune di Melilli e Dentro il Vulcano, le grotte dell’Etna (1999) edito dall’Ente Parco dell’Etna.
sabato 16 gennaio 2010
“Il libro nel cassetto” La casa editrice La Zisa seleziona operare letterarie di nuovi autori in lingua italiana.
“Il libro nel cassetto”. La casa editrice La Zisa (http://www.lazisa.it/) seleziona opere letterarie di nuovi autori in lingua italiana da pubblicare nelle proprie collane di narrativa, poesia e saggistica. Per partecipare è sufficiente inviare la propria opera (corredata da nome, cognome, indirizzo, numeri telefonici, e-mail, una breve nota autobiografica e dichiarazione di proprietà del testo: qualora ci siamo terzi inserire per esteso i nomi degli autori con relativo consenso) entro e non oltre il 28/02/2010 a:
Edizioni La Zisa
via Francesco Guardione, 5/E
90139 – Palermo;
o via e-mail a: manoscritti@lazisa.it
Gli autori delle opere ritenute idonee per la pubblicazione riceveranno una proposta editoriale. I dattiloscritti non saranno restituiti.
Per info: tel. 091 331104 - cell. 328 4728708 o 329 0326070; e-mail: presidente@lazisa.it - segreteria@lazisa.it
martedì 12 gennaio 2010
Dario Piombino-Mascali, “Il Maestro del Sonno Eterno”, pp. 144, euro 12,00, Edizioni La Zisa
Dario Piombino-Mascali, “Il Maestro del Sonno Eterno”, Presentazione di Arthur C. Aufderheide, Prefazione di Albert R. Zink, pp. 144, euro 12,00, Edizioni La Zisa-Palermo
Quali segreti custodisce Rosalia Lombardo, la ‘Bella Addormentata’ delle Catacombe di Palermo, ritenuta a ragione la più bella mummia del mondo? Quali alchimie hanno permesso la perfetta conservazione di una bambina di due anni, a quasi un secolo dalla sua morte? Chi ne è stato l’artefice? Tali interrogativi, rimasti per lunghissimo tempo irrisolti, trovano ora finalmente risposta in questo saggio dell’antropologo Dario Piombino-Mascali. Una ricostruzione appassionante della vicenda che lega la piccola Rosalia Lombardo ad Alfredo Salafia, imbalsamatore palermitano dai contorni finora velati dalla leggenda. Un viaggio avvincente, che l’autore compie prendendo per mano il lettore e conducendolo nel cuore di una storia mai rivelata prima, se non attraverso frammenti e contraddizioni. Un’attenta e meticolosa indagine, che coniuga il rigore scientifico ad uno stile accattivante ed esaustivo.
Dario Piombino-Mascali (dario.piombino@eurac.edu), nato a Messina nel 1977, è ricercatore presso l’Accademia Europea (EURAC) di Bolzano, dove coordina il Progetto “Mummie Siciliane”. Borsista della National Geographic Society, è stato recentemente insignito del titolo di membro onorario dall’American Society of Embalmers. Collabora attivamente con il Museo Archeologico dell’Alto Adige, i Musei Vaticani ed i Musei Reiss-Enghelhorn per lo studio scientifico di mummie umane.
lunedì 11 gennaio 2010
GLI SCIENZIATI SICILIANI ALLA SCOPERTA DEL COSMO, ESCE UN LIBRO PUBBLICATO DALLE EDIZIONI LA ZISA
PIPPO Battaglia è fondatore a Palermo della "Targa Giuseppe Piazzi", un premio internazionale per la ricerca e la divulgazione scientifica. Il suo nuovo libro, "Lucean le stelle. Cenni di storia dell' astronomia di Sicilia", con l' autorevole prefazione di Margherita Hack, aggiunge un tassello nella storia mondiale dell' astronomia, con la prima storia organica dell' astronomia siciliana. L' autore racconta con un linguaggio chiaro e appassionato il grande contributo che nel corso dei millenni filosofi, astronomi e fisici siciliani hanno dato alla conoscenza del cosmo, della materia ed energia che lo compongono. Il testo (pubblicato dall' editrice La Zisa, 222 pagine, 16 euro) è strutturato secondo un ordine cronologico: dalla cosmologia dei pitagorici alle teorie di Empedocle in età antica; dagli studi di Giovan Battista Hodierna e Giuseppe Piazzi in età moderna alle ricerche di Ettore Majorana, per concludere con le analisi dei raggi X e Gamma ad opera rispettivamente di Giuseppe Vaiana (direttore dell' osservatorio astronomico di Palermo) e dell' équipe locale del Cnr diretta dall' astrofisico Livio Scarsi. – (Gabriele Barone, La Repubblica 5 gennaio 2010)
Palermo 13 gennaio, Augusto Cavadi presenta il libro "Il prato e il pozzo" di Maria Teresa De Sanctis (ed. La Zisa)
Il 13 gennaio alle ore 17
a Palermo
presso la Sala delle lapidi a Palazzo delle Aquile
Augusto Cavadi, scrittore e filosofo
presenterà
"Il prato e il pozzo"
racconti
di Maria Teresa de Sanctis
(ed. La Zisa - www.lazisa.it -, pp. 64, euro 7)
l'autrice Maria Teresa de Sanctis
leggerà alcuni brani accompagnata
dal chitarrista Ivan Cammarata, autore delle musiche originali
« ...I protagonisti di questi racconti: attraversati da quell’atroce dualità che è la coincidentia oppositorum. Il dono della vita è anche una ferita e “la morte soltanto vince la morte”. I protagonisti di questi racconti: inventati e inventati per essere veri.. ». (dalla prefazione di Francesco Gambaro)
a Palermo
presso la Sala delle lapidi a Palazzo delle Aquile
Augusto Cavadi, scrittore e filosofo
presenterà
"Il prato e il pozzo"
racconti
di Maria Teresa de Sanctis
(ed. La Zisa - www.lazisa.it -, pp. 64, euro 7)
l'autrice Maria Teresa de Sanctis
leggerà alcuni brani accompagnata
dal chitarrista Ivan Cammarata, autore delle musiche originali
« ...I protagonisti di questi racconti: attraversati da quell’atroce dualità che è la coincidentia oppositorum. Il dono della vita è anche una ferita e “la morte soltanto vince la morte”. I protagonisti di questi racconti: inventati e inventati per essere veri.. ». (dalla prefazione di Francesco Gambaro)
giovedì 7 gennaio 2010
Alessia Cannizzaro, “Buttana di lusso. Confessioni di una escort palermitana”, La Zisa, pp. 144, euro 12,00
Una città a luci rosse annidata tra le pieghe di un perbenismo di facciata. Palermo è anche questo. E a svelarne il suo lato oscuro è Chiara (o almeno così dice di farsi chiamare), una escort palermitana che da anni lavora proprio nella sua città. Sesso a pagamento, in casa o in trasferta, appartamenti di lusso come alcove, o hotel fuori porta. Tra i suoi clienti politici, avvocati, professionisti in genere, tutta gente della “Palermo bene”. Chiara ci racconta, senza falsi pudori, vizi e virtù di una città sommersa, conditi da particolari piccanti e non sempre prevedibili. Un libro/confessione che farà tremare i palazzi del potere…
Alessia Cannizzaro è giornalista professionista, laureata in Scienze della Comunicazione e in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale. Da anni lavora per tv e testate locali e nazionali. E proprio per un quotidiano palermitano ha condotto un’inchiesta sulla Palermo a luci rosse.
LIBRI: CRISTINA BOBBIO FIRMA 'PAPAGENA, ZUCCHERINO MIO' (ED. LA ZISA)=
GUIDA SEMISERIA AI LIBRETTI D'OPERA
Palermo, 5 gen. - (Adnkronos) - Leggere i libretti d'opera, prima di entrare in teatro, puo' risultare un'impresa ostica e noiosa.
Puo' suscitare, addirittura, reazioni opposte a quelle immaginate dagli autori. A guidare tutti gli appassionati in una comprensione piu' efficace dei libretti ci ha pensato la genovese Cristina Bobbio, autrice del libro 'Papagena, zuccherino mio. Guida semiseria ai libretti d'opera', pubblicato dalle edizioni La Zisa.
La Bobbio affronta con leggerezza ed ironia i testi dei libretti, rilevandone le incongruita' e accentuando nel contempo gli aspetti peculiari del melodramma. Aspetti che, da sempre, continuano ad appassionare milioni di cultori in tutto il mondo.
(Clt/Pn/Adnkronos) 05-GEN-10 16:25
martedì 5 gennaio 2010
“ ‘Ndrangheta, la mafia liquida” di Davide Romano e Maurizio Rizza
Alla conclusione anticipata della XV legislatura, la Commissione parlamentare Antimafia il 20 febbraio 2008 ha trasmesso alle Presidenze delle Camere la relazione annuale, redatta dallo stesso presidente Francesco Forgione, imperniata sulla ’ndrangheta calabrese e oggi pubblicata dalla casa editrice palermitana La Zisa (" 'Ndrangheta. La relazione della Commissione Antimafia" (pagg. 216, euro 15, www.lazisa.it).
Si tratta di un documento, come i lettori potranno constatare, di notevole fattura sia nella esposizione dei fatti accertati, che nella denunzia della estrema pericolosità di una organizzazione criminale – per troppo tempo sottovalutata, nonostante talune sottolineature da più parti avanzate già da qualche lustro – che oggi controlla tutto il territorio calabrese, che ha intessuto rapporti di collaborazione con analoghe organizzazioni criminali operanti in Italia e all’estero, e che negli ultimi trent’anni, nel nostro Paese, ha messo salde radici in quasi tutte le regioni del centro-nord.
Come sovente colpevolmente accade, sono stati alcuni eclatanti omicidi – nel caso specifico, la strage compiuta a Duisburg in Germania, nell’agosto 2007, e l’assassinio del Vice Presidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno – a mettere in primo piano l’esigenza di colmare i ritardi e i vuoti o a suscitare l’interesse diffuso nei confronti di temi scottanti, soprattutto quelli inerenti alla diffusione della criminalità organizzata di tipo mafioso, che altrimenti rimarrebbero destinati al silenzio o, nel migliore dei casi, alle snobbate analisi storico-sociologiche degli studiosi.
La relazione Forgione, da questo punto di vista, seppure non lo dichiari espressamente, vuole essere un monito alle istituzioni, in primo luogo, ma anche a tutte le categorie sociali e ad ogni singolo cittadino, di non prendere mai sottogamba taluni fenomeni che a prima vista possono apparire limitati nel territorio o di piccola entità. Se opportunamente presi in tempo certi morbi, anche i più gravi, possono essere curati e debellati definitivamente, senza il bisogno di ricorrere a misure drastiche e talora infruttuose, quando ormai il corpo è stato pesantemente intaccato e non c’è più speranza di completa guarigione. Fuor di metafora, se la pericolosità della ‘ndrangheta fosse stata colta al suo primo manifestarsi con i sequestri di persona e la richiesta dei relativi riscatti, oggi non ci troveremmo al punto in cui siamo, con la sua ramificata presenza in quasi tutto il territorio nazionale; con la potenza economica dei suoi clan, tale da poter condizionare pesantemente la vita di intere comunità, di interferire o condizionare i consigli comunali di non pochi comuni persino del nord Italia, di possedere decisive quote azionarie in imprese di medie e grandi dimensioni, di gestire in prima persona grandi centri commerciali, o di acquistare intere banche.
La ’ndrangheta non è strutturata come la siciliana Cosa nostra, – le sue strette maglie famigliari non hanno mai consentito, se non nell’ultimo periodo, di penetrare al suo interno –, sa meglio mimetizzarsi nella società, e non ricorre o non ha fatto ricorso, se non in pochissimi sparuti casi, agli omicidi eccellenti, ma la sua presenza nella gestione degli appalti pubblici, come nel caso sottolineato del tratto di autostrada che percorre il territorio calabro, risale agli anni Sessanta, ed un occhio vigile lo avrebbe notato di sicuro, se solo avesse voluto dare un’occhiata meno distratta. O, più recentemente, la condizione della intera Sanità, con lo sperpero di denaro pubblico e la morte di cittadini in particolare gli anziani, non poteva e non doveva passare inosservata da parte di chi aveva il compito precipuo di vigilare sulla sua regolarità. Non ci sono scusanti di alcun genere e per nessuno, di fronte a certi comportamenti delinquenziali fin troppo evidenti.
Se il Meridione ha gravi colpe per le sue sciagure, anche il Settentrione non ha alcun diritto a protestare la propria adamantina pulizia morale. Sul versante del malaffare Nord e Sud d’Italia vanno di pari passo, sono molto più vicini di quanto non sembri a prima vista. Tra la Calabria e la Lombardia (diventata ormai la quarta regione italiana per densità mafiosa), almeno nel campo della prevenzione del crimine, non c’è molta differenza. In tutte e due vi sono esponenti delle classi dirigenti che colludono in qualche modo o lasciano campo libero o si illudono di restare immuni o, pur sapendo, nulla fanno per prendere le necessarie precauzioni. Lo stesso discorso, seppure con talune sostanziali differenze, vale anche per il Lazio, il Piemonte, la Liguria e l’Emilia-Romagna, dove al posto della ’ndrangheta o insieme ad essa si annidano le cosche della camorra, di cosa nostra o della sacra corona unita. In nessun caso il denaro degli affari può essere una scusante o un alibi dietro al quale nascondersi, soprattutto quando mette in gioco la sicurezza e la vita degli altri.
Come non può avere alcuna giustificazione la progettazione ed esecuzione di alcune grandi opere di ammodernamento del nostro Paese, come per esempio l’alta velocità, certamente necessaria, quando dietro ad esse si muovono interessi illegali. O ancora, sbandierare come infrastrutture necessarie altre costruzioni, come il Ponte sullo Stretto di Messina, non solo dispendioso ma assolutamente inutile, promettendo migliaia di posti di lavoro, finiti i quali, tutto ritornerebbe al punto di partenza. Prima di procedere con queste iniziative, – solo, per intenderci, quelle realmente portatrici di ricchezza di lunga durata –, è necessario indagare ed avere tutte le garanzie necessarie sulla probità di coloro che, correttamente, hanno vinto il bando di concorso per la loro realizzazione. E in ogni caso, anche in quelle in cui non se ne riconosca la opportunità, come nel caso del Ponte sullo Stretto, – che fino ad oggi è costato al contribuente italiano una somma assai ragguardevole finita per l’intero nelle tasche di consulenti, progettisti, speculatori e quanti altri, senza alcun beneficio per la collettività – di accertarsi fino in fondo sulle reali intenzioni di tutti coloro che in un modo o nell’altro vi ruotano attorno, sui gruppi di pressione economici e politici che sollevano piazze e muovono marce su Roma, per poterli inchiodare di fronte alla pubblica opinione prima ancora che nelle aule di Tribunale.
Ecco perché quando si parla di legalità e sviluppo (sia al Sud che al Nord), bisogna intendersi bene sul significato da dare a queste che sembrano due magiche parole. Una espressione ormai abusata, – che suona bene nei comizi o nei dibattiti televisivi, proprio per la banalizzazione dei concetti che i due luoghi producono o consentono –, alla quale invece bisogna dare contenuti più precisi, articolati e persuasivi. È arrivato il momento, se si vuole essere coerenti con le promesse di pulizia e di lotta alla criminalità mafiosa, di porre la parola fine alla demagogia, al populismo, o peggio ancora all’accaparramento e mercato dei voti dietro la promessa facile di realizzare progetti che non modificano l’assetto attuale della società italiana.
Non è morale, se mai lo è stato, contrabbandare la necessità di sedare la fame di lavoro stabile di milioni di cittadini con promesse velleitarie e spesso dannose, al solo scopo di ingrossare le tasche già piene degli amici degli amici. Non crediamo di sbagliare se affermiamo che la lotta alla criminalità mafiosa è ben lungi dall’essere giunta ad un punto più che soddisfacente, proprio perché su questo fronte non si sono compiuti i passi in avanti che sulla carta spesso vengono enunciati. La politica italiana, e non solo la politica, denuncia ancora notevoli ritardi proprio sul versante della legalità e dello sviluppo, come si evince del resto dalla splendida relazione del Presidente Forgione.
Un’ultima annotazione, prima di concludere. Dalla costituzione della prima Commissione nazionale antimafia ad oggi, ci si è concentrati essenzialmente sulle organizzazioni siciliane, trascurando le altre manifestazioni criminali analoghe sparse nel restante meridione, con la conseguenza che oggi ci troviamo a dover fare i conti con la ’ndrangheta calabrese che è stata lasciata libera di rafforzarsi ed espandersi oltre i confini all’interno dei quali è germogliata. Sarebbe il caso di non commettere ancora una volta lo stesso errore. Da oggi in poi è d’uopo contrastare la mafia calabrese, senza perdere di vista la pugliese, la campana, oltre a quella siciliana, che, sebbene colpita in alcuni punti vitali nel recente passato, non per questo deve considerarsi sconfitta in via definitiva.
Trent’anni di Relazioni antimafia hanno dimostrato senza ombra di dubbio che l’Italia continua ad avere un diffuso deficit di legalità che attraversa obliquamente tutte le sue diverse componenti. Ed è questo uno dei motivi principali della crisi che oggi attraversa il nostro Paese che è contemporaneamente morale, sociale, istituzionale ed economica.
Come, quando e perché siano venuti meno il rispetto e la osservanza delle regole è, a nostro avviso, la questione sulla quale tutti dobbiamo sentirci impegnati a riflettere. Con l’avvertenza che la riflessione può diventare un inutile orpello se non è accompagnata da comportamenti virtuosi.
Si tratta di un documento, come i lettori potranno constatare, di notevole fattura sia nella esposizione dei fatti accertati, che nella denunzia della estrema pericolosità di una organizzazione criminale – per troppo tempo sottovalutata, nonostante talune sottolineature da più parti avanzate già da qualche lustro – che oggi controlla tutto il territorio calabrese, che ha intessuto rapporti di collaborazione con analoghe organizzazioni criminali operanti in Italia e all’estero, e che negli ultimi trent’anni, nel nostro Paese, ha messo salde radici in quasi tutte le regioni del centro-nord.
Come sovente colpevolmente accade, sono stati alcuni eclatanti omicidi – nel caso specifico, la strage compiuta a Duisburg in Germania, nell’agosto 2007, e l’assassinio del Vice Presidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno – a mettere in primo piano l’esigenza di colmare i ritardi e i vuoti o a suscitare l’interesse diffuso nei confronti di temi scottanti, soprattutto quelli inerenti alla diffusione della criminalità organizzata di tipo mafioso, che altrimenti rimarrebbero destinati al silenzio o, nel migliore dei casi, alle snobbate analisi storico-sociologiche degli studiosi.
La relazione Forgione, da questo punto di vista, seppure non lo dichiari espressamente, vuole essere un monito alle istituzioni, in primo luogo, ma anche a tutte le categorie sociali e ad ogni singolo cittadino, di non prendere mai sottogamba taluni fenomeni che a prima vista possono apparire limitati nel territorio o di piccola entità. Se opportunamente presi in tempo certi morbi, anche i più gravi, possono essere curati e debellati definitivamente, senza il bisogno di ricorrere a misure drastiche e talora infruttuose, quando ormai il corpo è stato pesantemente intaccato e non c’è più speranza di completa guarigione. Fuor di metafora, se la pericolosità della ‘ndrangheta fosse stata colta al suo primo manifestarsi con i sequestri di persona e la richiesta dei relativi riscatti, oggi non ci troveremmo al punto in cui siamo, con la sua ramificata presenza in quasi tutto il territorio nazionale; con la potenza economica dei suoi clan, tale da poter condizionare pesantemente la vita di intere comunità, di interferire o condizionare i consigli comunali di non pochi comuni persino del nord Italia, di possedere decisive quote azionarie in imprese di medie e grandi dimensioni, di gestire in prima persona grandi centri commerciali, o di acquistare intere banche.
La ’ndrangheta non è strutturata come la siciliana Cosa nostra, – le sue strette maglie famigliari non hanno mai consentito, se non nell’ultimo periodo, di penetrare al suo interno –, sa meglio mimetizzarsi nella società, e non ricorre o non ha fatto ricorso, se non in pochissimi sparuti casi, agli omicidi eccellenti, ma la sua presenza nella gestione degli appalti pubblici, come nel caso sottolineato del tratto di autostrada che percorre il territorio calabro, risale agli anni Sessanta, ed un occhio vigile lo avrebbe notato di sicuro, se solo avesse voluto dare un’occhiata meno distratta. O, più recentemente, la condizione della intera Sanità, con lo sperpero di denaro pubblico e la morte di cittadini in particolare gli anziani, non poteva e non doveva passare inosservata da parte di chi aveva il compito precipuo di vigilare sulla sua regolarità. Non ci sono scusanti di alcun genere e per nessuno, di fronte a certi comportamenti delinquenziali fin troppo evidenti.
Se il Meridione ha gravi colpe per le sue sciagure, anche il Settentrione non ha alcun diritto a protestare la propria adamantina pulizia morale. Sul versante del malaffare Nord e Sud d’Italia vanno di pari passo, sono molto più vicini di quanto non sembri a prima vista. Tra la Calabria e la Lombardia (diventata ormai la quarta regione italiana per densità mafiosa), almeno nel campo della prevenzione del crimine, non c’è molta differenza. In tutte e due vi sono esponenti delle classi dirigenti che colludono in qualche modo o lasciano campo libero o si illudono di restare immuni o, pur sapendo, nulla fanno per prendere le necessarie precauzioni. Lo stesso discorso, seppure con talune sostanziali differenze, vale anche per il Lazio, il Piemonte, la Liguria e l’Emilia-Romagna, dove al posto della ’ndrangheta o insieme ad essa si annidano le cosche della camorra, di cosa nostra o della sacra corona unita. In nessun caso il denaro degli affari può essere una scusante o un alibi dietro al quale nascondersi, soprattutto quando mette in gioco la sicurezza e la vita degli altri.
Come non può avere alcuna giustificazione la progettazione ed esecuzione di alcune grandi opere di ammodernamento del nostro Paese, come per esempio l’alta velocità, certamente necessaria, quando dietro ad esse si muovono interessi illegali. O ancora, sbandierare come infrastrutture necessarie altre costruzioni, come il Ponte sullo Stretto di Messina, non solo dispendioso ma assolutamente inutile, promettendo migliaia di posti di lavoro, finiti i quali, tutto ritornerebbe al punto di partenza. Prima di procedere con queste iniziative, – solo, per intenderci, quelle realmente portatrici di ricchezza di lunga durata –, è necessario indagare ed avere tutte le garanzie necessarie sulla probità di coloro che, correttamente, hanno vinto il bando di concorso per la loro realizzazione. E in ogni caso, anche in quelle in cui non se ne riconosca la opportunità, come nel caso del Ponte sullo Stretto, – che fino ad oggi è costato al contribuente italiano una somma assai ragguardevole finita per l’intero nelle tasche di consulenti, progettisti, speculatori e quanti altri, senza alcun beneficio per la collettività – di accertarsi fino in fondo sulle reali intenzioni di tutti coloro che in un modo o nell’altro vi ruotano attorno, sui gruppi di pressione economici e politici che sollevano piazze e muovono marce su Roma, per poterli inchiodare di fronte alla pubblica opinione prima ancora che nelle aule di Tribunale.
Ecco perché quando si parla di legalità e sviluppo (sia al Sud che al Nord), bisogna intendersi bene sul significato da dare a queste che sembrano due magiche parole. Una espressione ormai abusata, – che suona bene nei comizi o nei dibattiti televisivi, proprio per la banalizzazione dei concetti che i due luoghi producono o consentono –, alla quale invece bisogna dare contenuti più precisi, articolati e persuasivi. È arrivato il momento, se si vuole essere coerenti con le promesse di pulizia e di lotta alla criminalità mafiosa, di porre la parola fine alla demagogia, al populismo, o peggio ancora all’accaparramento e mercato dei voti dietro la promessa facile di realizzare progetti che non modificano l’assetto attuale della società italiana.
Non è morale, se mai lo è stato, contrabbandare la necessità di sedare la fame di lavoro stabile di milioni di cittadini con promesse velleitarie e spesso dannose, al solo scopo di ingrossare le tasche già piene degli amici degli amici. Non crediamo di sbagliare se affermiamo che la lotta alla criminalità mafiosa è ben lungi dall’essere giunta ad un punto più che soddisfacente, proprio perché su questo fronte non si sono compiuti i passi in avanti che sulla carta spesso vengono enunciati. La politica italiana, e non solo la politica, denuncia ancora notevoli ritardi proprio sul versante della legalità e dello sviluppo, come si evince del resto dalla splendida relazione del Presidente Forgione.
Un’ultima annotazione, prima di concludere. Dalla costituzione della prima Commissione nazionale antimafia ad oggi, ci si è concentrati essenzialmente sulle organizzazioni siciliane, trascurando le altre manifestazioni criminali analoghe sparse nel restante meridione, con la conseguenza che oggi ci troviamo a dover fare i conti con la ’ndrangheta calabrese che è stata lasciata libera di rafforzarsi ed espandersi oltre i confini all’interno dei quali è germogliata. Sarebbe il caso di non commettere ancora una volta lo stesso errore. Da oggi in poi è d’uopo contrastare la mafia calabrese, senza perdere di vista la pugliese, la campana, oltre a quella siciliana, che, sebbene colpita in alcuni punti vitali nel recente passato, non per questo deve considerarsi sconfitta in via definitiva.
Trent’anni di Relazioni antimafia hanno dimostrato senza ombra di dubbio che l’Italia continua ad avere un diffuso deficit di legalità che attraversa obliquamente tutte le sue diverse componenti. Ed è questo uno dei motivi principali della crisi che oggi attraversa il nostro Paese che è contemporaneamente morale, sociale, istituzionale ed economica.
Come, quando e perché siano venuti meno il rispetto e la osservanza delle regole è, a nostro avviso, la questione sulla quale tutti dobbiamo sentirci impegnati a riflettere. Con l’avvertenza che la riflessione può diventare un inutile orpello se non è accompagnata da comportamenti virtuosi.
lunedì 4 gennaio 2010
LIBRI: PER LE EDIZIONI LA ZISA ANNA MAURO FIRMA 'STRACCHIOLITUDINE' =
Palermo, 4 gen. - (Adnkronos) - Raccontare la storia degli 'invisibili', coloro che non hanno voce in capitolo ma che cercano di imporre la loro presenza in una societa' che tende ad ignorarli e che per loro nutre un profondo disprezzo. Questo l'obiettivo che la palermitana Anna Mauro persegue nel saggio "Stracchiolitudine" in libreria per le Edizioni La Zisa.
Franca, la 'stracchiola' protagonista del libro, e' una delle tante donne invisibili: una donna mossa dal desiderio di essere libera che coltiva il desiderio di riscattarsi. Franca, nonostante tutto, e' una donna spassosa, esilarante, che ai margini della societa' non ci vuole stare 'manco scannata morta' e che per questo decide, alla pari di politici, assassini e presentatori televisivi, di scrivere il suo libro per averlo pubblicato. Un solo, piccolo neo: e' semianalfabeta.
Nata e radicata a Palermo dal lontano 1957, dove vive ed insegna Anna Mauro sostiene di essere l'unica eccezione che conferma la regola 'L'ironia e' delle persone intelligenti'. Si definisce scriborroica e femminopatica.